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Assaggi di… MOA – My Own Ale

Quando oggi si parla di nuovi marchi di birra artigianale, è sempre opportuno chiedersi che tipologia di azienda abbiamo di fronte: un birrificio vero e proprio oppure una “semplice” beer firm. Con la seconda espressione si indicano infatti quelle realtà brassicole che non possiedono un impianto di proprietà, ma si appoggiano a strutture altrui (solitamente altri birrifici) per brassare le loro ricette. Bisogna ammettere che questa soluzione – con i suoi pro e i suoi contro – si è molto diffusa in Italia solo negli ultimi tempi, mentre fino a qualche anno fa imprese di questo tipo erano decisamente sporadiche. Il motivo principale, mi vien da pensare, è da rintracciare nell’aumento di dimensioni di tanti birrifici italiani, che si sono ritrovati con impianti utilizzati solo in parte e quindi disponibili a essere destinati a produzioni per conto terzi.

Prendiamo l’esempio della Birra del Borgo. Quando Leonardo Di Vincenzo aprì la nuova sede produttiva, in parte destinò il vecchio impianto alla realizzazione di birre per conto di altre aziende. Tra le tante che si appoggiarono alla struttura di Borgorose ultimamente si è aggiunta anche la creatura di Riccardo “Rik” Miniati: una beer firm battezza MOA, acronimo di My Own Ale. Lo so, l’ho presa un po’ alla larga 🙂 , ma oggi parleremo proprio di alcuni assaggi di questa azienda, che ha debuttato solo nel 2011 e che introdussi in un post datato novembre dello scorso anno.

Il MOA commercializza quattro birre che portano i nomi dei rispettivi gradi plato. Come fatto notare da Angelo in un articolo sul suo Berebirra, uno degli errori commerciali più diffusi tra i birrifici italiani è proprio di non identificare le proprie creazioni con nomi facili da memorizzare. Ricordarsi le differenze da una birra che sia chiama 12Plato rispetto a una che si chiama 16Plato o 14Plato non è l’operazione più facile al mondo, sebbene il riferimento in questione possa offrire un minimo indizio sulla tipologia di birra che andremo ad assaggiare. Ma quello che ci interessa è in fin dei conti il prodotto in sé, che personalmente ho potuto verificare provando due birre della gamma: la 12Plato e la 16Plato.

La 12Plato (5% alc.) è una American Pale Ale di colore ramato chiaro, con riflessi arancio. Da punto di vista visivo la schiuma è il fiore all’occhiello: bianca, compatta, molto persistente. Il naso è di media intensità, ma assai ricco: i profumi sono riconducibili al miele, al caramello e al pompelmo, con una distinta nota resinosa. Al palata inizia dolce e fruttata, ma subito subentra il luppolo a bilanciare le sensazioni. La parte amara inizialmente non si mostra in modo particolarmente aggressivo, poi nel lungo finale cresce d’intensità apparendo più graffiante. In generale si può apprezzare un ottimo equilibrio.

In definitiva la 12Plato è un’APA molto godibile, profumata il giusto, equilibrata al palato e piuttosto dissetante. La sua ricchezza forse si paga in termini di bevibilità, poiché risulta un po’ “cicciona”, ma alla fine è un dettaglio che passa inosservato. Grande attenuazione, sarebbe praticamente perfetta se solo risultasse leggermente più pulita nel finale. Ottima birra insomma, nella quale personalmente ritrovo il tocco Birra del Borgo.

La seconda birra assaggiata è la 16Plato (6,5% alc.), appartenente allo stile delle India Pale Ale. Si presenta di colore ambra scarico con riflessi dorati e una schiuma quasi bianca, a bolle medie, ricca ma non molto persistente. Alla vista appare piuttosto limpida. I profumi, non intensissimi, ricordano gli agrumi e l’erba appena tagliata, mentre è distinguibile un tocco speziato. Al naso il malto non passa in secondo piano, anzi la sua componente dolce è decisamente evidente. In bocca appare morbida, con una carbonazione corretta. La componente amara emerge a metà corsa, con i suoi aromi classici e una delicata astringenza, molto piacevole. Il finale non è particolarmente persistente, mentre anche in questo caso l’equilibrio è grande protagonista.

La 16Plato è quindi una IPA “tranquilla”, ricca ma senza un eccessivo contributo da parte del luppolo, sia a livello olfattivo che gustativo. Ben realizzata, si distingue per essere ottimamente bilanciata e attenuata. Spettacolare per come risulta bevibile, ha nel finale un po’ corto il suo punto debole. Come a dire: tutto perfetto fino al 90′, peccato per il gol subito nei minuti di recupero 😉 . Ma in generale siamo al cospetto di un ottimo prodotto.

In attesa dunque di provare le altre birre della casa, devo ammettere che il MOA mi ha fatto una buonissima impressione con queste due produzioni. Utilizzare un impianto di terzi è in molte occasioni un’incognita, ma possiamo affermare che nel caso di Riccardo Miniati la scelta è stata indovinata. Nelle sue birre ritrovo infatti alcune delle peculiarità delle produzioni Birra del Borgo e questo non può che andare a vantaggio della sua nuova avventura.

Avete avuto modo di provare le birre MOA? Che ne pensate?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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14 Commenti

  1. Come al solito, ma prima di prendersi un nome, una googolata no?
    Fantasia portami via…

    http://www.moabeer.com/about/

    • Ciao, sono Andrea il socio di Rik in birra MOA; sapevamo dell’esistenza di un birrificio in Nuova Zelanda, anche se il nome è lo stesso i significati sono diversi, per loro è il nome di un uccello estinto, per noi è l’acronimo di My Own Ale, ed è su questo che volevamo puntare.

  2. altro caso:VIS Prodotta a Cardana al campo ( va )

  3. Ciao Andrea e grazie per il pezzo. Oltre a me in questa avventura, come già scritto nei commenti, c’è anche l’amico Andrea Bucaletti. Quelle che hai assaggiato penso fossero solo le seconde cotte fatte per entrambe le birre. Ad oggi abbiamo fatto qualche leggera modifica e piano piano stiamo limando le ricette. Non possedere un proprio impianto non ci permette di avere il 100% del controllo ma i ragazzi del Borgo sanno il fatto loro e insieme cerchiamo di realizzare ottimi prodotti. Le ricette comunque sono completamente frutto di Andrea Bucaletti e mio. Anche se i nomi delle nostre birre possono risultare anonimi (ci sono comunque moltissimi altri esempi in commercio) oltre all’indicazione del grado plato, le capsule e la barretta colorata in etichetta, ricordano al consumatore il colore della birra che si troverà a degustare, quindi bianco per la blanche 11Plato, il giallo per la bionda 12Plato, il nero per la chocolate stout 14Plato ed infine il rosso per la Ipa 16Plato. Inoltre queste 4 birre prodotte sono birre pensate per un pubblico non smaliziato e quindi ancora poco incline alle estremizzazioni odierne. Diciamo che questa sarà la base delle birre MOA ma certo non ci fermeremo qui. Abbiamo già in mente una seconda linea dove brasseremo birre certamente più interessanti e pensate per un consumatore più esperto. Quindi non resta che seguirci e Buone Birre!

  4. L’accesso al mondo della produzione brassicola attraverso una brew firm è effettivamente in crescita.

    E’ un’attività NON priva di rischi e, per esperienza personale posso dire che spesso si sottovaluta proprio questo aspetto.

    Non posso che fare il tifo per gli amici del MOA che si imbarcano in questa avventura con grandi capacità e competenza!!!

  5. Una curiosità Andrea, a proposito della 12 hai parlato di grande attenuazione, facendo un rapido calcolo dovremmo essere intorno al 76% in linea con lo stile (che non prevede AA esagerate) occhio che secondo me a volte si utilizza il termine impropriamente!(è piu tecnico che degustativo) 🙂

    • Sì probabilmente hai ragione, avrei dovuto parlare di “corretta attenuazione”. Ho usato quell’espressione per sottolineare la bontà di un aspetto che spesso non è così scontato nelle birre italiane

  6. Rileggere post a distanza di tempo fa sempre bene…
    solo per la cronaca, a febbraio 2013 la “12Plato” ha vinto il secondo premio al concorso Birra dell’Anno di Unionbirrai nella categoria Golden Ale birre alta fermentazione basso grado alcolico.
    Ciao

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