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Assaggi di… Gilac

gilacIn Italia un birrificio nato solo nel 2007 può essere già considerato un veterano, anche quando appartiene a una regione dove la birra artigianale si produce sin dall’inizio della reinassence brassicola nazionale. Così ad esempio non possiamo non inserire in questa fascia il birrificio Gilac di Rivoli (TO), uno dei più “anziani” esponenti del panorama piemontese sebbene non siano pochi i produttori nati precedentemente. Su invito di Dario Codato di Iperdrink (cantina online dedicata alla vendita di vino, birra e distillati di qualità) ho potuto assaggiare gran parte della gamma di Gilac, che fino a oggi, complice la distanza geografica (e quindi la reperibilità dei prodotti), non ero ancora riuscito a provare in maniera completa.

Nonostante i tanti anni di militanza, la linea di Gilac si mantiene circoscritta a un numero contenuto di birre, alternando senza troppi indugi alte e basse fermentazioni e toccando gli stili dei principali paesi brassicoli europei. Se pensate che da quando esiste Cronache di Birra ho spesso inserito il birrificio piemontese nei post sulle nuove creazioni italiane, capirete che la gamma è stata ampliata poco a poco nel tempo, rispondendo a una filosofia che a me non dispiace affatto.

Ma passiamo agli assaggi. Sono partito dalla Dorita (4,5%), una classica Pils. È di colore dorato, abbastanza opalescente e con riflessi quasi verdognoli. La schiuma bianca non è molto abbondante, ma si mantiene ordinata e persistente. Al naso emergono netti il miele e i fiori di campo, oltre a una nota terrosa e pepata che si fonde piacevolmente con un indizio di erba tagliata. In bocca l’ingresso è poco convinto e scivola via rapidamente. Il corpo è corretto, ma l’assenza del profilo maltato iniziale la fa risultare fin troppo watery. Il finale pecca di eleganza: emerge un amaro prolungato, ma non del tutto gradevole, che tende a penalizzare la bevuta.

Ottima sia alla vista che all’olfatto, in bocca la Dorita appare meno convincente. Due sono le pecche di questa birra: la parte maltata evanescente e la mancanza di pulizia nel finale. In definitiva si lascia comunque bere, ma le aspettative derivanti dalle prime, ottime impressioni rimangono senza riscontro. Sarei curioso di provarla alla spina.

La Diva (7,5%) è invece una Belgian Strong Ale di colore arancio chiaro, molto opalescente. La schiuma è di bassa qualità e scompare dopo pochi secondi, contribuendo a definire un aspetto non proprio invitante. Per fortuna le cose migliorano dove conta: al naso risulta molto “belga”, con intensi profumi di pera, pesca, albicocca, banana matura. La nota alcolica è presente, ma in maniera piacevole, e accompagnata da sentori di frutta sotto spirito. Al palato è inizialmente dolce (frutta gialla), mentre si nota subito la nota alcolica con il suo calore, che cresce durante la corsa. Buono il corpo e corretta la gasatura, che la rendono piuttosto scorrevole nonostante il contenuto alcolico. Nel finale tornano la frutta e gli esteri, ma qui si avverte una certa mancanza di eleganza. C’è del fenolico che rende il retrogusto poco piacevole, sebbene il lungo finale dimostri un perfetto impiego del luppolo, usato “semplicemente” per bilanciare.

Il punto di forza della Diva è la sua aderenza allo stile che prende a modello, mostrando le giuste stimmate di provenienza belga. La pecca, come detto, è nella pulizia del finale, dove gli esteri sembrano meno sotto controllo e il fenolico tende a prendere il sopravvento. Il risultato è che alla lunga risulta leggermente meno gradevole e bevibile di quanto meriterebbe. Con pochi accorgimenti può diventare una Belgian Strong Ale di alto livello.

Alla stessa area d’ispirazione appartiene la Sophie, una Belgian Ale da 5,5% alc. Si presenta di colore ambrato scuro con riflessi arancio, schiuma contenuta, compatta ma non molto persistente. Al naso sono evidenti note di frutta rossa e frutti di bosco. L’apporto del lievito è evidente ma pulito, di contro il ventaglio aromatico risulta monocorde, senza aggiungere molto altro alla parte fruttata. Le cose non vanno meglio in bocca, dove, dopo l’ingresso di frutta rossa, si avverte tutta l’evanescenza del corpo, che non sostiene l’intensità iniziale e la rende stucchevole. Il retrogusto amaro bilancia senza esagerare, anche se il concetto di pulizia resta assai lontano.

Tra tutte le birre di Gilac la Sophie è quella che mi è piaciuta meno. L’ho trovata dozzinale e costruita in modo poco logico. Il fruttato è praticamente l’unico carattere che emerge, non sorretto né da un corpo corretto, né da una struttura aromatica adeguata. Il finale amaro risulta quindi del tutto slegato.

Con la Guenda (5%) ci spostiamo invece in Baviera, poiché parliamo di una classica Weizen. Alla vista è di colore dorato chiaro, curiosamente non molto lattiginosa. La schiuma bianca presenta una trama fine, abbastanza ordinata ma non molto persistente. Discreto il perlage. I profumi sono quelli classici dello stile, ma meno intensi del previsto. C’è banana matura insieme a crosta di pane e a uno speziato che ricorda i chiodi di garofano. Si avverte una punta acidula ampiamente accettabile. L’ingresso in bocca è molto dolce di banana e frutta gialla. Il corpo è piuttosto snello e la carbonazione fin troppo evidente. Il retrogusto è caratterizzato da un ritorno di banana e chiodi di garofano, con una freschezza finale molto persistente.

Non so se è voluto, ma la Guenda è una Weizen che risulta poco “coraggiosa”, finendo col sacrificare le sue potenzialità aromatiche. Questo aspetto però la fa scivolare verso l’anonimato, con un corpo watery che ne amplifica i limiti.

Restando in ambito tedesco, la Caesar (5,1%) è infine una Helles di colore biondo/arancio, con riflessi gialli e schiuma abbondante a bolle medie, abbastanza compatta e di media persistenza. Al naso emergono note mielate e una delicata crosta di pane, oltre a fiori di campo. A rovinare in parte l’idillio si avverte un leggero metallico. In bocca entra molto dolce, con miele millefiori in evidenza. Ottimo il corpo e perfetta la carbonazione, molto controllata. Nel retrogusto c’è un ritorno di miele e fiori, con un finale amarognolo che esce alla distanza.

A mio avviso la Caesar è un’ottima Helles, con un colore al limite dello stile e un naso che meriterebbe più intensità. In bocca però è davvero buona, con un ventaglio di aromi semplice ma molto pulito e un corpo azzeccatissimo.

In definitiva i miei assaggi di Gilac sono stati molto altalenanti, sebbene nel complesso siano tutte birre costruite in modo corretto. L’unica che ho trovato di basso livello è stata la Sophie, la ricetta della quale forse andrebbe in parte ripensata. Validissime risultano invece la Diva e la Caesar, mentre la Dorita e la Guenda hanno ancora non pochi margini di miglioramento.

Visto che il birrificio Gilac esiste da diversi anni sicuramente a qualcuno di voi sarà capitato di assaggiarne le birre. Cosa ne pensate?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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2 Commenti

  1. Se la degustazione è stata fatta con bottiglie che riportano il logo qui rappresentato sono piuttosto datate
    Da più di un anno Gilac ha cambiato logo e immagine.
    Mi farebbe piacere poterla incontrare nel nostro nuovo stabilimento e degustare con lei le nuove produzioni

    L’articolo inizia con un commento relativo al numero contenuto di birre, nostra attuale produzione è di 10 birre diverse, 4 ad alta 4 a bassa, una biologica certificata Icea ed una spumantizzata con il metodo “classico”
    Per ulteriori informazioni http://www.gilac.it
    A disposizione per ulteriori verifiche
    Adelmo

    • Ciao Adelmo, no la degustazione è stata fatta con le bottiglie nuove e ho provveduto a sostituire il vecchio logo con quello attuale. Tra l’altro avevo inviato a [email protected] una mail con le mie impressioni, alla quale non ho ricevuto risposta.

      L’accenno al numero contenuto di birre è chiaramente relativo alla tendenza molto più ampia di birrifici aperti anche da meno tempo. Se mi segui sai bene che in genere apprezzo di più chi si concentra su poche ricette rispetto a chi ne sforna subito decine e decine.

      Se passo dalle vostre parti verrò a farvi visita con piacere.

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