Cimec

Due espressioni alternative a “birra artigianale”

Quante volte in passato ci siamo lamentati dell’espressione “birra artigianale”? Nonostante sia questo il modo di riferirsi alle produzioni dei microbirrifici, il suo utilizzo è stato sempre criticato per la sua incertezza semantica, che non permette di individuare con precisione l’oggetto del discorso e dunque lo espone a eventuali strumentalizzazioni. In realtà Unionbirrai anni fa formulò una definizione, che alla luce delle rapide evoluzioni del settore, recentemente è stata modificata. Tuttavia il significato del concetto rimane legato all’interpretazione personale, con alcuni che sostengono la necessità di fissare paletti precisi e altri che appoggiano una definizione più permeabile. Nel mio recente viaggio nei paesi baltici mi sono imbattuto nel concetto di Live Beer, che mi ha fatto riflettere sulle espressioni alternative alla classica “birra artigianale”. Vediamone un paio…

Live Beer

La perifrasi (in lettone Dzīvais alus) è molto diffusa in Lettonia, Lituania e Russia. L’autore della guida alla birra lettone racconta che nella nazione baltica si cominciò a parlare di “birra viva” quando l’espressione fu utilizzata da un microbirrificio locale, probabilmente prendendolo in prestito dai vicini russi. La definizione è assolutamente vaga, tanto che i criteri in base ai quali una birra può definirsi viva sono diversi e arbitrari. Il concetto di Live Beer solitamente include uno o più tra i seguenti aspetti:

  • Non deve essere pastorizzata.
  • Non deve essere pastorizzata e filtrata.
  • Deve essere prodotta da piccoli birrifici.
  • Non deve contenere le cosiddette sostanze-E (come E300, E209, ecc.).
  • Può essere solo servita alla spina.

A detta dell’autore, l’arbitrarietà della definizione espone il concetto alla strumentalizzazione dei birrifici:

Molti birrifici, invece di cercare di educare i consumatori, provano a utilizzare questa oscura espressione come uno strumento di marketing. Uno dei trucchi è di non filtrare la birra, ma pastorizzarla: i lieviti sono morti e non contribuiscono all’evoluzione del gusto, ma la gente sembra apprezzare la relativa opalescenza. […] Solo una cosa è certa: la birra viva può essere venduta a un prezzo superiore rispetto a quella industriale.

Addirittura il consiglio finale è perentorio:

Vi suggerisco di non prestare attenzione all’espressione e di non sprecare tempo cercando birre così definite. Alcune delle più acclamate live beer sono pessime e non c’è alcun motivo per spendere di più solo per un po’ di fanatismo locale.

Un giudizio fin troppo categorico? Difficile da dirsi, ma l’esperienza lettone può essere interessante per capire i problemi di strumentalizzazione a cui accennavo in apertura.

Better Beer

Da qualche tempo a questa parte in America si fa sempre più spesso ricorso a questa espressione, in alternativa alla più classica “craft beer”. A mio modo di vedere i concetti presentano alcune differenze semantiche, sebbene così non si direbbe da una sorta di definizione rintracciabile su Beer Advocate:

Cosa significa “birra migliore”? Secondo noi è birra artigianale, oppure birra che è realizzata artigianalmente in piccole quantità. In generale, esiste un livello di creatività, complessità, passione e qualità nella birra artigianale che semplicemente non è riscontrabile nei prodotti delle grandi industrie, che pensano prima di tutto al loro portafogli e poi alla birra.

In realtà l’espressione craft beer è in parte subordinata a quella di birrificio artigianale proposto della Brewers Association e regolarmente sottoposto a revisione per aggiornarsi ai cambiamenti del mercato. In qualche modo il concetto di better beer mi sembra nato proprio per emanciparsi dalla precisa definizione dell’associazione, peraltro criticata recentemente per l’impressione di variarne i paletti solo in base a questioni economiche.

Da un punto di vista semantico, mi sembra che l’espressione “better beer” sia più estensiva di “craft beer”, che in qualche modo si collega anche alla tipologia di produttore – artigianale, per l’appunto. Una birra migliore potrebbe essere una qualunque birra, in teoria anche quella prodotta da una multinazionale, a patto che abbia qualcosa in più in termini qualitativi rispetto alle produzioni mainstream. Un’accezione che sembrerebbe particolarmente indicata per il mercato statunitense, in cui mi sembra si facciano meno problemi di noi e propongano tranquillamente prodotti artigianali accanto a quelli industriali.

Oltre alle solite (Real Ale, craft beer) vi vengono in mente altre espressioni alternative a quella di “birra artigianale”?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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64 Commenti

  1. i primi tempi si parlava di birra cruda ahah,te lo ricordi?

    • Eh, purtroppo se ne parla ancora…

      • Confermo! Secondo miei consocenti meno che colti dal punto di vista birraio la birra cruda ha le seguenti caratteristiche:
        -torbida
        -biondo scura
        -spesso servita alle feste della birra (quali,mi chiedo?)
        Non sono ancora riuscito a convincerli che sbagliano e questa è la cosa che fa più dispiacere

      • Ah, per evitare fraintendimenti preciso che pensavo all’industriale Dab

  2. “Birra Viva” a me piace, il nome avrebbe un duplice significato:
    non pastorizzata e vitale, dinamica.

    • Sì, “Birra Viva” da proprio un tocco dinamico al significato ed al mondo che ci sta dietro….

    • Forse alla fine l’espressione “birra viva” è quella meno soggetta a critiche semantiche e che riassume il valore aggiunto di un certo modo di intendere la bevanda:

      – Birra artigianale: ha senso concentrarsi sul concetto di artigiano?
      – Birra cruda: totale non sense
      – Birra di qualità: tanto vago da perdere valore

  3. Birra.
    Gli ingredienti sono già obbligatori quindi posso già decidere se non comperare birre che contengono succedanei.
    In etichetta sarebbe utile sapere se la birra pastorizzata e/o microfiltrata.
    Secondo me non serve altro.

  4. A mio parere, visto che si gioca tanto su questo nome di artigianale, la differenzierei con birra naturale, inserendo dei parametri precisi di produzione ossia indicando la non pastorizzazione e la provenienza degli ingredienti.

  5. Birra viva è lo slogan di toccalmatto mi pare

  6. C’è anche quel “premium” che spesso anticipa il nome lager o pils, che qualche volta si vede ancora ma su birre che di qualità ne hanno ben poca.

    E’ molto interessante il concetto di Better Beer, qualcuno io sento proporre in Italia un equivalente “Birra di qualità” invece che Birra artigianale, che non mi dispiacerebbe affatto.

    Live beer sarebbe anche un bel nome, ma da quello che hai descritto mi sembrerebbe praticamente uguale al nostro Birra artigianale.

    • Sì confermo, Live Beer vale quanto il nostro birra artigianale, ma con la differenza che c’è molta meno cultura intorno al suo significato

  7. Secondo me Birra Artigianale come nome è perfetto perchè si contrappone chiaramente alla Birra Industriale.. Bisognerebbe piuttosto obbligare chi la pastorizza a segnalarla in etichetta come Birra Industriale..

  8. Ma la ricerca del nome artigianale o viva o altri, viene dal fatto che la birra artigianale per un cliente medio va confusa con quella industriale? Quindi un danno commerciale per chi cerca di vendere un prodotto di qualità che giustamente costa di più… Oppure perché un cliente non riesce a recepire il messaggio di birra che” dovrebbe” essere superiore?

  9. Concordo con l’utilizzo della parola “Artigianale” per significare:

    – la selezione degli ingredienti e dei procedimenti di produzione tesi solo al miglioramento della qualità;

    – la sperimentazione che un “artigiano” in quanto tale può e deve fare per sua natura;

    – e non in ultimis la passione per il prodotto che produce e che cerca di raccontare.

    Tutte cose che l’industria non può fare.

    Io mi sono inventato un termine intermedio tra i due opposti che, secondo me, può far capire meglio.
    Ho identificato con “tradizionale” quelle birrerie (o birrifici) che invece di seguire le pure leggi del profitto e della quantità, si rifanno alla tradizione, mantenendo comunque una “tradizionale” cura nella selezione delle materie, dei sistemi di produzione, e trasmettendo da anni, talvolta da molti anni, la tradizione di seguire questi principi e la passione di fare una ottima birra, rispettando anche la “tradizione” dello stile prodotto e la sua tipicità.
    In particolare, mi riferisco (ma non solo) alle birrerie tedesche, che nonostante le dimensioni produttive (diciamo non-artigianali) continuano a fregarsene dei più economici sistemi di produzione o di materie prime a minor costo e continuano (appunto) a fare la birra nella loro tradizione, rispettando le ricette originali, e infondendo la stessa passione sul loro prodotto, da sempre..

  10. Spiegatemi perchè “Birra Cruda” è un totale non-sense.
    Si confonde con la birra verde?
    Se non è pastorizzata, è cruda. Espressione grezza ma chiara e non priva di fascino.

    • In termini letterali, crudo significa non cotto. E se pensi che ogni volta che fai una birra fai una “cotta”, c’è qualcosa di contraddittorio nell’espressione. Questo al di là del significato che ha acquisito nel settore brassicolo

      • Birra Cruda è un termine che fa parte del gergo birrario e come molti termini di uno specifico gergo, ad un primo esame possono apparire senza senso, controsenso o ossimori. Pensate che in gergo birrario la microfiltrazione viene anche definita pastorizzazione a freddo!!

        Però si sa che un gergo è un modo d’intendersi dedicato agli addetti ai lavori, non un linguaggio di divulgazione di massa, apparenti controsensi sono una caratteristica peculiare dei gerghi adottati in moltissimi settori, forse servono anche a capire con chi si sta parlando.

  11. @Walter: viene comunque bollita nel processo di luppolatura.

    Il termine “Birra Viva” viene usato anche da birrifici italiani (vedi Toccalmatto), mi sembra coerente.

  12. Birra cruda ha un senso compiuto, ma non significa nulla di più che non pastorizzata. L’ideale sarebbe trovare un termine che indichi che la birra è buona, che sia artigianale non significa che sia migliore, come industriale non significa che non sia buona. Il problema sarebbe poi convincere molti industriali, ma anche molti artigiani a scrivere birra cattiva.

    Birra viva ha un suo fascino e rende abbastanza l’idea, perlomeno esclude, come birra cruda, la pastorizzazione. Ma se viene usato, come scrive Andrea, per birre pastorizzate e non filtrate (la presenza di lievito morto non aumenta di certo la bontà), perde di significato.

    Artigianale significa solo prodotta in piccole quantità, ma non significa nulla di più, poi bisognerebbe porre un limite alle piccole quantità? Per poi ampliarle alla bisogna come in USA?

    Trovo invece interessante il termine birra integrale e se confrontiamo il metodo artigianale, cioè quello classico, con i sistemi industriali (diluizione, filtrazione a 4 stadi, sterilizzazione, pastorizzazione, aggiunta di conservanti, ecc.), ha un suo senso. Poi si sa queste sono seghe mentali, che solo noi appassionati ci facciamo.

  13. Per me birra “cruda” mi sa di birra non bollita…

  14. L’importante è che ci sia scritto sul lato dell’etichetta e a caratteri evidenti NON PASTORIZZATA, NON FILTRATA, RIFERMENTATA IN BOTTIGLIA ed in questo caso mettere anche DAL GUSTO EVOLUTIVO

    Per me la denominazione più importante è la NON PASTORIZZAZIONE della birra che distingue una birra “artigianale” da una “industriale”

    A me basterebbe birra NON PASTORIZZATA anche se questo è una denominazione che potrebbe trarre in inganno il consumatore, che può avere delle reticenze nel consumare un prodotto non pastorizzato a causa della sua ignoranza in materia

    Poi oggi il concetto di “artigianale” è fin troppo abusato e per le birre craft USA e una denominazione fasulla..

    Purtroppo non concordo con Randy Mosher che intende per “craft beer” in primis la passione e la sperimentazione del birraio…

    • Si continua a differenziare la birra artigianale, da quella industriale per via della pastorizzazione, come se questo processo fosse il vero responsabile della scarsa qualità di molte birre industriali.

      Invece la pastorizzazione, benché aliena ai normali processi artigianali, è per così dire il minore dei mali. Certe industrie per produrre le ciofeche, che ben conosciamo, inizia dalle materie prime e stravolge completamente il processo produttivo classico.

      Producono per diluizioni, con succedanei e materie prime le più economiche possibile, filtrano a 4 stasi di cui l’ultimo con filtro in ceramica, che toglie, sapore, colore e gas e poi saturano artificialmente alla stregua di una Fanta.

      Pastorizzano, ma questo da comunque una durata limitata a 6 mesi e poi aggiungono conservanti chimici, che portano la scadenza a 18 mesi.

      Quindi dire non pastorizzata, non rende proprio l’idea ne alla massa, ne agli appassionati. Esistono birre prodotte con materie prime e metodi pregiati, solo pastorizzate, molto buone e superiori a molte birre che pastorizzate non sono ed assaggiandole non diresti mai che hanno subito tale processo.

      C’è anche da specificare che quando si pastorizza, s’imposta una curva di pastorizzazione, che può essere lieve o spinta. In pratica si varia la temperatura ed il tempo di esposizione ed il raffreddamento della birra. Ciò incide parecchio sulla qualità finale.

      In pratica c’è chi regolando questa curva cerca il miglior compromesso tra durata e qualità e chi invece ha a cuore solo la conservabilità. Pertanto c’è pastorizzazione e pastorizzazione.

      • Altra cosa errata è la dicitura rifermentata in bottiglia. Esiste la birra industriale rifermentata in bottiglia, vedi parecchie Weizen, che è un processo completamente diverso, da quello normalmente adottato dagli artigiani Italiani, che semplicemente maturano in bottiglia, tramite rifermentazione, ma questa non si potrebbe definire rifermentazione in bottiglia, perché con tale dicitura s’intende tutt’altro.

        Errore piuttosto evidente di cui in Italia nessuno sembra essersene accorto, sintomo della scarsa cultura birraria, anche tra appassionati ed addetti.
        Basta vedere come molte basse fermentazioni vengano presentate come rifermentate in bottiglia, processo che per le basse sarebbe inutile oltre che dannoso.

        • Lo so.. la vera Bottle Conditioned è con lievito fresco e diverso dal ceppo di fermentazione, quindi anche alcuni noti birrifici belgi sbagliano dicitura sull’etichetta

          Mah.. sulle basse sicuramente è errato e chi loscrive sbaglia

          Quindi secondo te bisognerebbe mettere”maturata in bottiglia” o non mettere nulla o mettere NON FILTRATA

          • Birra rifermentata in bottiglia è un termine usato e conosciuto da molto prima della rinascita della birra artigianale. Questo termine usato anche industrialmente per alcune Weizen tedesche o per molte Belghe, sta a significare che la birra una volta pronta subisce un rifermentazione.
            Cioè una terza fermentazione dopo la primaria e la secondaria (maturazione) ai fini conservativi e come apporto aromatico, nei casi in cui venga impiegato un lievito diverso, per questa terza fermentazione.

            La tecnica può benissimo essere eseguita con lo stesso lievito impiegato per primaria e secondaria. Qualcuno cambia il lievito perché la rifermentazione richiede lieviti più resistenti e lenti, che arricchiscono il profilo aromatico. Con la rinascita delle birre artigianali, in Italia, si sono affacciati sul mercato molti produttori, che non hanno frequentato nessuna scuola birraria, ma hanno imparato l’arte qua e la, chi su internet, chi come home brewer, ecc.

            E’ naturale che tanta passione, ma poca preparazione generino termini sbagliati o travisino il significato di molti termini in uso. Eseguendo questi la maturazione in bottiglia, hanno pensato bene di chiamarla birra rifermentata in bottiglia, perché in effetti la birra subisce una rifermentazione, che in questo caso non è però la terza fermentazione, ma semplicemente un prolungamento della primaria, per saturare tramite priming.

            Chiamarla birra rifermentata il bottiglia non indica il vero, ma confonde solo le idee a chi si avvicina a questo mondo. Naturalmente la cosa è stata fatta per mancanza di informazioni ed in buona fede.

            Le differenze pratiche stanno nel fatto che se eseguo priming e maturazione in bottiglia, non ho nessun genere di controllo su questo processo, se non quello della temperatura. Mentre se svolgo lo stesso processo in un maturatore, oltre alla temperatura, ho la possibilità di regolare la pressione interna e man mano si deposita posso spurgare il lievito in eccesso.

            C’è chi sostiene che per regolare la saturazione di una birra in bottiglia, sia sufficiente calcolare con cura lo zucchero da immettere, con formule precise. Ma ci si dimentica del fatto che non è lo zucchero che gasa la birra, ma il lievito che lo metabolizza, convertendolo in CO2, quindi la variabile non considerata è la vitalità dello stesso, che può variare in base al lavoro svolto in precedenza e a seconda delle condizioni in cui questo si è svolto. (fermentazione primaria, condizioni °C della stessa e tipo di mosto, che subisce a sua volta delle variabili in base alla partita di malto impiegato).

            Quindi i Belgi non sbagliano perche in effetti eseguono la vera rifermentazione in bottiglia, sia con lo stesso lievito, sia con lievito diverso. Ed infatti è difficile trovarle fuori forma. mentre le Italiane che sono solo maturate in bottiglia è difficile trovarle in forma.

            Delle basse non ne parliamo, la rifermentazione non fa parte degli stili a bassa e non ha nessuna utilità conservativa. Sempre che i lieviti siano veramente a bassa.

            Quindi non solo secondo me, ma per amore delle correttezza e della cultura birraria, si dovrebbe scrivere maturata in bottiglia o meglio ancora si dovrebbe eseguire una vera rifermentazione in bottiglia, così che le Italiane siano raramente fuori forma e non raramente in forma.

            Non filtrata dovrebbe comunque essere la regola, se uno filtra dopo la maturazione, probabilmente ha poca dimestichezza con l’uso dei lieviti o ha qualche problema tecnico a livello d’impianto, che non gli facilita la precipitazione, che artigianalmente sostituisce egregiamente la chiarificazione (prima filtrazione).

      • Condivido. Come se non pastorizzare producesse buona birra di default. Anzi, forse a qualcuno gioverebbe la cosa…

        • Ho capito ma visto che uno dei processi principali dell’industria è la pastorizzazione….

          • Perché la pastorizzazione dovrebbe essere uno dei processi principali dell’industria?

            Il processo principale di un industria di birra, generalizzando e considerando più che altro l’industria nazionale, è quello di riuscire a far credere di produrre qualità. Tramite ingenti investimenti in pubblicità ed in sponsorizzazione di eventi, così da creare un immagine del prodotto, così bella ed attraente, da riuscire a nascondere tutti i difetti celati nel prodotto stesso.

            L’80% delle risorse dell’industria è indirizzato a questo. La pastorizzazione è comunque un processo di conservazione “naturale” (notare il termine virgolettato) essendo un processo termico, che sarebbe relativamente invasivo e poco efficace, se a questa non venisse affiancato l’impiego della chimica.

            Tutti demonizzano la pastorizzazione, cosa che non voglio assolutamente giustificare o incentivare, ma che è forse responsabile per un 8%, della pochezza delle birre industriali, mentre il restante 92% è dato da tecniche molto più invasive e deleterie. Ho avuto la possibilità di provare in fabbrica una Heineken non filtrata e non pastorizzata e vi assicuro che migliora di poco ed è comunque bella scarsa.

            Piuttosto che spendere X Euro per trovarmi molto spesso una bottiglia acetica, preferirei si pastorizzasse, magari perdo un 5% o forse un 10% del gusto, ma è sempre meglio che lavandinare il 100%.

            Poi è chiaro che questa tecnica è da considerarsi l’ultima spiaggia, visto che esistono tecniche di conservazione altrettanto efficaci ed effettivamente naturali (senza virgolette). Ma ad esempio per le basse o quella o la catena del freddo.

          • Secondo me la pastorizzazione è il male minore delle birra industriale. Alla fine tra ricette, ingredienti e processi produttivi non si salva proprio niente.

      • Concordo con te

        è logico che se metti dei conservanti sei costretto ad inserirli in etichetta e che del processo di filtrazione industriale sull’etichetta non compare nulla

        Sicuramente è impossibile dare una definizione alla birra di “qualità”

  15. il nome “artigianale” è secondario, può andare bene ma dobbiamo identificare cosa significa (e impedire che venga usato da chi non rientra nei parametri).

    Ad esempio:
    Non pastorizzata: SI
    Non filtrata: molti micro filtrano, ma non microfiltrano. Proviamo a dire “non microfiltrata”? forse confonde più che chiarire.
    Rifermentata in bottiglia: alcuni imbottigliano in contropressione, magari dando una scadenza ravvicinata e richiesta di mantenere il prodotto al fresco, ma non per questo li escluderei dal novero degli artigianali. Quindi NO.
    ettolitri di produzione annua: SI ma su che limite?
    ownership: l’azienda è di proprietà dei birrari (o almeno maggioranza)
    passione e sperimentazione: difficili da misurare, anche la “tre luppoli” sembra essere brassata con passione e usando un laboratorio sperimentale supertecnologico. Vale di più la pugnata di erba cipollina in dry hopping o la spettrometria di massa per qualificare la sperimentalità?
    materie prime: no a riso, granturco e additivi “E”.

    chi ha altre idee ?
    Maurizio

    • simone monetti

      Salve Maurizio, come Unionbirrai ovviamente il problema ce lo si è posto fin dalla fondazione e periodicamente anche in questa sede se ne discute.

      A titolo personale concordo con molte tue osservazioni, che sono anche la definizione di birrificio artigianale per UB che ricordo: no pastorizzazione, no microfiltrazione, indipendenza della proprietà, conduzione di tipo artigianale ed infine la produzione sotto i 10000 hl/anno.
      Ricordo che gli hl prodotti sono importanti al fine di definire i piccoli produttori per la legge italiana.
      Per fare sì che il termine non sia usato bisogna registrare un marchio (c’è..e appare sulla bottiglia Ub) e un disciplinare. Cna ha fatto lo stesso iter per altre produzioni, vedi il gelato.

  16. Alessandro Melis

    Una birra pastorizzata/microfiltrata ma con la presenza di lieviti in rifermentazione, la definireste “viva”?

    • La definirei rediviva:-)
      A parte gli scherzi, un processo è quello di ripulire i lieviti di primaria con microfiltrazione, ri-inoculare e rifermentare. Per me è viva, ma cui prodest?

      • Il processo di rifermentazione o di maturazione in bottiglia o fusto è sostanzialmente un metodo di conservazione naturale, che oltre ad arricchire la birra d’aroma, evita la pastorizzazione. Pertanto se uno pastorizza la birra rifermentata adotta due metodi di conservazione, in contrapposizione.

        Oltre a spendere di più, lavorare di più e consumare più energia ed acqua, per avere un risultato peggiore.

        So che c’è anche chi filtra dopo la primaria e poi re-inocula per la maturazione ed anche in questo, aumentano sbattimento, e consumi e cala la qualità,

        Chi esegue certe procedure, e ce ne sono diversi, ha probabilmente sbagliato lavoro o lo esegue senza nessuna cognizione di causa.

        La birra siffatta non la chiamerei viva, non saprei come chiamarla, ma in compenso ho qualche proposta di come definire il birraio.

  17. Concordo con lo sbattimento, magari meno con la riuscita del prodotto. Un lavoro di comparazione sperimentale fatto all’università di Udine fra due basse fermentazioni provenienti dallo stesso batch, filtrate e inoculata per rifermentazione (l’una) o pastorizzata (l’altra) sembra mostrare un’ottima tenuta della birra “viva” nei confronti di quella “morta” fino a 10 mesi dal confezionamento. Quindi qualche risultato positivo potrebbe esserci.
    Scusate un po’ OT…

    • Assolutamente non OT, direi che il discorso è proprio in tema oltre che molto interessante

    • Stai parlando in termini di conservazione io parlavo di qualità. Invece in termini di conservazione una vera bassa fermentazione, cioè una bassa fatta con lieviti da bassa tipo Weihenstephan o Budvar, (lieviti vivi non trattati ai fini conservativi)non trae nessun vantaggio, in termini di conservazione, con la rifermentazione.

      Questo perché i lieviti da bassa marcirebbero a temperatura ambiente (primaria a 7°C, maturazione a 4°C) e la birra diventerebbe acida acetica, pertanto sarebbe comunque necessaria la catena del freddo.

      A sto punto che senso ha rifermentare? Poi se parliamo di basse fatte con lieviti liofilizzati allora la cosa può avere un senso, ma parliamo di basse per modo di dire.

      Se poi si parla di filtrare e re-inoculare la procedura non ha nessuna utilità pratica, per eliminare il lievito ancora in sospensione basta una precipitazione (shock termico), sia bassa, sia alta che sia.

      • Oltretutto la bassa non prevede il priming, ma l’arresto della fermentazione (spunding) e la maturazione, carbonatazione inclusa, avviene impiegando gli zuccheri residui e non quelli aggiunti (priming), quindi il metodo della bassa esclude categoricamente la rifermentazione. Si parla di produzioni artigianali ed industriali non di home-brewing.

      • Infatti lo studio che ho citato era sperimentale sulle basse, dove non si rifermenta a livello industriale, proprio per dimostrare che la rifermentazione è una pratica conservativa valida anche se provata su uno stile “non da rifermentare”.

        Se parliamo di alte, invece, la filtrazione pre-ri-fermentazione può servire a sveltire la pulitura che col freddo è invece più lenta, e a togliere dalle balle i lieviti morti in fretta. Orval tra gli altri fa così, ma anche in UK (St.Austell ad esempio) con filtri tangenziali. Ma non è comunque una microfiltrazione sterile.

        Il re-inoculo è fatto con un altro lievito, diverso da quello della primaria, pulito e altamente flocculante.

        • Certo perché loro fanno la vera rifermentazione in bottiglia e non una semplice maturazione, come la maggior parte dei birrifici Italiani.

          Maturazione in bottiglia : fermentazione primaria, priming (solo alcune alte), carbonatazione, maturazione. Totale fermentazioni 2: primaria e secondaria.

          Rifermentazione in bottiglia: fermentazione primaria, maturazione in serbatoio, innesto (aggiunta lievito e/o mosto/zuccheri), rifermentazione. Totale fermentazioni 3: primaria, secondaria e rifermentazione. Dove nel caso in questione, viene eseguita una filtrazione, dopo la maturazione e prima della rifermentazione.

          Nel primo caso la birra non è stabilizzata al momento dell’imbottigliamento (si è nelle mani di Dio), nel secondo caso la rifermentazione avviene su una birra già stabilizzata (saturata ed affinata nel gusto), filtrata e si va molto più sul sicuro.

  18. Ciao a tutti,sono un amante della birra ma non un esperto.Sto cercando pian piano di farmi una cultura assaggiandone il più possibile;ecco il mio pensiero:
    -a me l’aggettivo “argianale”piace perché sottolinea il lavoro che ci sta dietro e perché l’Ialia è un paese fondato sugli artigiani…
    -lascerei perdere tutti gli inglesismi o simili,perché la birra italiana è buona e non ha bisogno di prendere spunti da altri paesi
    -l’unico aggettivo alternativo è “viva” perché significherebbe sottointendere che le altre sono “morte”e magari aiuta all’aumento dei consumi
    -sarebbe bello chiamarla”magica” 🙂

    Saluti

  19. a cominciare proprio da “artigianale” tutti questi termini non centrano il punto pienamente secondo me. e tentando di cambiarlo si ottengono anche risultati peggiori.
    La lingua inglese aiuta maggiormente con il termine craft.

    Il punto sarebbe riuscire ad avere una definizione secca di “buona birra” o birra di qualità. Indicando più il risultato che la modalità di lavorazione (che ormai è sfruttata come puro marketing e non garantisce nessun risultato qualitativo) o il volume produttivo

    • e ti pare niente avere una definizione di “buona birra”…
      la bontà è una cosa soggettiva, c’e gente che impazzisce per la nutella e c’è chi la odia 😀

      “birra migliore”, “birra di qualità”, “birra viva” possono essere solo dei nomi che fanno da slogan al un prodotto. Una volta che è stato stabilito il nome, va costituito un organismo di vigilanza, viene redatto il disciplinare di produzione e va registrato il marchio “birra x x x”. In pratica quello che sta cercando di fare UB.

      • C’è solo da chiedersi cosa si stia aspettando, visto che UB esiste da tempo. Attenzione però perché di questa cosa se ne parla ormai da anni e ho sentito (voci di corridoi), che alcune tecniche naturali di produzione sono espressamente bandite, per lasciare spazio invece a tecniche tipicamente industriali di cui non si fa accenno.

        Se UB deciderà, e sarebbe ora, di fare un disciplinare che lo faccia a ragion veduta e con qualcuno alle spalle, che sappia discernere cosa è effettivamente deleterio e cosa no. Fatto male potrebbe fare più danno che altro.

      • Infatti è quasi impossibile, è un bel rompicapo da sempre. Erano esempi per far capire il concetto.
        Il punto è che già tra (micro)birrifici cambia la percezione di cosa sia o non sia artigianale o di qualità.

        In America le definizioni sono andate in crisi a causa dei volumi di anchor e simili. Però resta il fatto che al di là dei numeri si può cmq produrre birra ottima.

  20. io userei Birra Superiore

    • Io no darebbe un idea sbagliata sulle caratteristiche del prodotto, c’è chi non ha usato questa espressione, eppure ha pagato come se l’avesse fatto. Perché implicito nel termine artigianale, ma de che?

  21. Io la chiamerei “Birra Fasista “……o birra “Sosialista”….

    A parte le mie solite scempiaggini proviamo a definire una lista di terminologie per poi avere un schema di lavoro:

    Birra Artigianale ed Industriale: deriva dalla grandezza e dalla struttura dell’azienda produttrice……Artigianale quando il proprietario artigiano dedica completamente il proprio tempo nell’attività aziendale…..e l’azienda ha una tipica struttura di piccola impresa con per es.. al max una ventina di dipendenti….Industriale quando è più grande….

    Birra Viva: quando la birra ha subito un processo di rifermentazione o condizionamento in bottiglia o in fusto con la presenza dei lieviti vivi all’interno del contenitore….

    Birra Cruda: birra non pastorizzata, ma che magari può aver subito un processo di sterilizzazione tramite Microfiltrazione……(vedi DAB etc…)

    Microfiltrazione: filtrazione con pori al di sotto dei 0,2 Micron per poter togliere anche i batteri e quindi sterilizzare il prodotto…..

    Pastorizzazione: processo di trattamento termico sul prodotto finito per rendere sterile il prodotto…alcuni birrifici stranier prima pastorizzano e poi reinoculano livito per la rifermnetazione in bottiglia…..

    Filtrazione: processo fisico per togliere dalla birra dei prodotti solidi indesiderati o i lieviti morti o particelle di luppolo etc….da non confondere con microfiltrazione…..ma può essere uno strumento per fare delle birre di maggior qualità…..

    Centrifugazione: processo fisico che allontana dalla birra i solidi indesiderati…sostituto della filtrazione ma tecnologia costosa per un microbirrificio….anche se alcuni lo hanno adottato con grande successo…

    Birra di Qualita’: la qualità è un concetto di difficile catalogazione…..ci possono essere Qualità Percepite, Qualità Assolute di Natura Tecnica……ripeto non è semplice ..anzi direi che è impossibile avere una definizione Definitiva di qualità e quindi è un concetto generale che io lascerei perdere…poi per me ci sono Birre di Grande Qualità fatte su dimensione artigianale e Birre di Qualità fatte a livello Industriale….come ci sono al contrario birre ciofeca sia a livello artigianale che industriale….

    Ingredienti di Qualità: vale lo stesso discorso del punto precedente….posso avere dei pessimi ingredienti naturali di origine locale o nazionale….e degli ottimi ingredienti che vengon dall’estero o dall’altra parte del mondo….

    Disciplinari di Qualità: non funzionano per le cose appena dette….e di difficile gestione/controllo….non funzionano nemmeno per il Brunello di Montalcino o il Parmigiano Reggiano figurati per la birra…..

    Integrale: cosa significa? che una birra con dei pezzettoni di schifezze all’interno (proteine, pezzi di luppolo, oggetti estranei di varia natura…) e con una scarsa shelf life è meglio di una birra pulita e stabile con una grande costanza aromatica? A me non sembra…..

    E allora?

    Per me: Birra Artigianale (Dimensione) Viva e Cruda (non pastorizzata e non microfiltrata) ed al limite fatta con passione/amore (come dice il vecchio Beppe)…..

  22. Birra viva non deve essere necessariamente rifermentata o maturata nella confezione, può benissimo essere birra maturata in serbatoio e confezionata successivamente.

    Birra integrale non significa con scarti di lavorazione, quali lieviti esausti, proteine ed albumine o trebbie del luppolo. Per integrale si dovrebbe intendere, che non è stato tolto nulla di buono, non comprensivo di scarti. Visto che nella birra industriale si tolgono sapore, colore e gasatura tramite filtrazioni spinte, si uccidono microrganismi tramite pastorizzazione, si sostituisce il malto d’orzo con succedanei, la birra che non subisce tutti questi “furti”, potrebbe essere definita integrale, cioè completa di tutti i propri componenti originari, scarti esclusi ovviamente.

    Poi è chiaro che parlando di termini nuovi e non assodati, ognuno può interpretarli come crede.

    • Sono sicuro che per birra fascista tu intenda Dark-lager e Stout, mentre per socialista le Ambrate. Quindi le bionde e le blanche le mettiamo al centro ed ecco i tre poli…………birrari.

    • Il termine integrale non dice più niente…..è ampiamente abusato…
      Poi ci sono delle splendide birre fatte con succedanei….es. Rodenbach Grand Cru ….e moltissime altre belghe….

      Viva stà a significare che è con i lieviti all’interno…..uno può condizionare, rifermentare, semplicemente bersela dal serbatoio …ma questo è….

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