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I vincitori del GABF e alcune considerazioni sul concorso americano

PrintNegli stessi giorni (o quasi) in cui a Roma si teneva Eurhop, in Colorado andava in scena l’edizione 2014 del Great American Beer Festival, la più importante manifestazione sulla birra craft degli Stati Uniti. Anche quest’anno l’evento ha continuato a crescere secondo un trend ormai consolidato, offrendo il meglio che la nazione può offrire in termini di (micro)birrifici. Cartina di tornasole è stato l’atteso concorso birrario legato al festival, che ha mostrato numeri in ascesa in termini di birre iscritte, produttori partecipanti e medaglie assegnate. Come avrete capito si tratta di un concorso enorme, ma che proprio per questa ragione negli ultimi tempi ha sollevato qualche perplessità. Il problema principale, come vedremo, è quello di restituire una fedele fotografia qualitativa del movimento americano. Ma data la sua veloce trasformazione, è un’impresa a dir poco improba.

Uno degli aspetti più controversi del concorso del GABF – per la verità comune ad altre competizioni, se non addirittura a documenti internazionali – è la quantità sterminata di categorie nella quale iscrivere una birra. Il numero è aumentato moltissimo negli ultimi tempi a causa del tentativo di stare dietro alla grande varietà di tipologie birrarie proposte dai birrifici americani. Il risultato è che quest’anno il GABF ha previsto la bellezza di 90 diverse categorie, ma se consideriamo anche le sottocategorie si arriva all’impressionante cifra di circa 180 stili birrari differenti. Ovviamente tutto ciò si ripercuote sull’organizzazione del concorso, sulle valutazioni dei giudici e persino sulle scelte da compiere per ogni birrificio, che ha il non facile compito di individuare le giuste categorie nelle quali iscrivere le proprie birre.

Di fronte a una profondità così evidente, la domanda è automatica: è davvero necessario prevedere quasi 200 categorie in un concorso di birra? Come accennato, spesso questa parcellizzazione nasce dall’esigenza di coprire tutte le tipologie brassicole, soprattutto in un momento storico in cui la fantasia (o la creatività) spingono i birrai a superare i confini dettati dalle tradizioni. Tuttavia davanti a numeri così spropositati è naturale chiedersi se forse l’intento di partenza non sia stato interpretato in modo troppo lineare, con conseguenze aberranti. La mia opinione è che sta succedendo proprio questo.

Quest’anno si è verificato un caso piuttosto esemplare in questo senso. Una delle tre nuove categorie previste è stata quella delle Kuyt, le antiche birre olandesi di cui vi ho raccontato in un post di inizio anno. Appartengono a uno stile di super nicchia, che sta iniziando timidamente a riaffacciarsi sul mercato di origine grazie all’iniziativa di qualche microbirrificio locale. Nonostante le mode del momento siano in grado di propagarsi rapidamente nella comunità birraria internazionale, è naturale chiedersi che senso abbia inserire una categoria del genere in un concorso di birre americane. Ok, mi concedo il beneficio del dubbio: magari non so che ci sono tanti birrifici statunitensi che si stanno cimentando con questa nuova famiglia di birre. Poi incappo in un post di Yours for good fermentables, scopro il numero di birre iscritte alla categoria e la perplessità aumenta a dismisura: zero. Se ne sentiva davvero il bisogno?

Il tentativo di restare in scia delle trasformazioni in atto nel movimento americano si percepisce anche nel’assegnazione dei premi assoluti ai birrifici. Anche quest’anno, infatti, è stata confermata la suddivisione apparsa per la prima volta nel 2013: alla classica tripartizione in piccoli, medi e grandi è stato aggiunto un ulteriore premio, assegnato alla “Very Small Brewing Company of the Year”. In altre parole il fermento in atto nell’ambiente sta portando a due fenomeni: la presenza crescente di nuovi piccoli produttori e l’ampliamento di quelli un tempo considerati “micro”. Una novità positiva, a patto che – alla stregua di quanto accaduto con le categorie – tra qualche anno non ci troviamo col premio “Very Very Very Very Small Brewing Company of the Year” 🙂 .

Considerazioni personali a parte, di seguito ecco l’elenco di tutti i premi assoluti:

  • Miglior brewpub di piccole dimensioni: Bastone Brewery (MI)
  • Miglior brewpub di medie dimensioni: Saint James (NV)
  • Miglior brewpub di grandi dimensioni: Beachwood (CA)
  • Miglior microbirrificio: Draught Works (MT)
  • Miglior birrificio di piccole dimensioni: Marble Brewery (NM)
  • Miglior birrificio di medie dimensioni: Devils Backbone (VA)
  • Miglior birrificio di grandi dimensioni: AC Golden (CO)

Tra i riconoscimenti si segnala il bis di Devils Backbone, già vincitore nel 2013. Da notare però – a conferma di quanto espresso precedentemente – che lo scorso anno l’azienda del Virginia trionfò tra i birrifici di piccole dimensioni. Dettagli a parte, questo nome è da tenere sott’occhio, poiché appare anche tra i vincitori assoluti del 2012 e più precisamente come piccolo brewpub. Per me è totalmente sconosciuto, qualcuno di voi ne ha sentito parlare o addirittura ha avuto modo di assaggiare qualcosa?

Per quanto riguarda i premi di categoria vi rimando all’ottima pagina del sito del GABF (qui in pdf), dove troverete l’infinità di birrifici medagliati negli scorsi giorni. Nella maggior parte dei casi saranno per voi nomi completamente nuovi, però spulciare le classifiche è sempre interessante. Ben più interessante – almeno secondo me – è la classifica degli stati USA per medaglie ottenute dai rispettivi birrifici. Prima quest’anno si è piazzata la California con 46 medaglie, che ha preceduto il Colorado con 39. Molto staccati gli altri stati, nell’ordine Oregon, Texas, Pennsylvania, Illinois, Washington e via dicendo.

Qualche riflessione sul concorso del GABF anche da parte vostra?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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5 Commenti

  1. bè buono se avessi presentato una Kuyt avrei preso sicuramente una medaglia d’oro 😀 scherzi a parte forse è meglio una categoria per uno stile vero e proprio (anche se di nicchia) piuttosto che una miriade di sottocategorie come dark IPA, black IPA, red IPA, arcobaleno IPA, IPA con frumento, IPA con kiwi, IPA al cammello e così via……

    PS: domanda tecnica: ma le categorie “American-Style Wheat Beer With Yeast” e “American Wheat Beer without Yeast” che intendono??? o_O

  2. alexander_douglas

    a me Kuyt fa venire in mente solo il calciatore della nazionale olandese XD

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