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Festival birrari italiani: quando il successo travalica i confini nazionali

Un momento del recente Pils&Love

È comune affermare che gran parte del successo della birra artigianale italiana risiede nella creatività dei nostri birrai. E se quella creatività, da sempre segno distintivo del popolo italico, non si esprimesse nel mondo birrario solo al momento di ideare una nuova ricetta? È ciò su cui sto riflettendo in questi giorni, in un periodo dell’anno nel quale la concentrazione di festival a tema raggiunge il suo apice. È vero, tali eventi spesso ripropongono la stessa formula, pur con piccole variazioni: una selezione di birrifici (italiani o anche stranieri) più o meno ampia, street food, musica dal vivo e, nei casi migliori, incontri di approfondimento e laboratori di degustazione. Ci sono però alcune manifestazioni italiane che si sono specializzate su “temi” precisi, acquistando un’identità tale da spingere gli organizzatori a riproporle anche fuori dai confini nazionali. I casi in tutto il mondo sono rari, ma l’Italia appare in prima fila in questo fortunato fenomeno. Segno che anche quando dobbiamo organizzare un evento, riusciamo sempre a metterci del nostro.

L’ultimo esempio risale a qualche giorno fa ed è rappresentato dal Pils&Love, spin-off americano del nostro Pils Pride. Per chi non lo conoscesse, il Pils Pride è un festival ideato 11 anni fa dal Birrificio Italiano e incentrato su un singolo stile birrario: quello delle Pils. Alla base dell’evento c’è la volontà di restituire dignità e attenzione a una tipologia brassicola estremamente diffusa, ma che spesso risulta totalmente snaturata perché riferimento per la maggior parte delle Lager industriali disponibili sul mercato. Non è un caso che l’iniziativa sia partita da un produttore che grazie a una Pils ha raggiunto la sua fama in tutto il mondo: parliamo chiaramente della Tipopils, un nome che ancora oggi riempie il cuore di tanti bevitori. La formula del Pils Pride è rimasta tutto sommato inalterata nel tempo: una selezione straordinaria di Pils dall’Italia e dal resto del mondo (cresciuta numericamente negli anni), interessanti seminari di approfondimento, musica dal vivo e menu dedicato. Dedicare un intero festival a uno solo stile birrario può sembrare un suicidio strategico, è invece il motivo del successo del Pils Pride al punto che, come accennato, quest’anno per la prima volta ha sconfinato oltre oceano per approdare negli Stati Uniti col nome di Pils&Love.

Il Pils&Love si è tenuto lo scorso 15 luglio in un parco antistante lo Spring Point Ledge Lighthouse, nella parte meridionale di Portland (Maine), ed è stato organizzato in collaborazione con il birrificio Oxbow. I visitatori hanno potuto assaggiare oltre 40 Pils provenienti da tutto il mondo, molte delle quali ispirate al filone delle “Italian Pilsner” con dry hopping inaugurato anni fa dal Birrificio Italiano proprio con la Tipopils e poi riproposto da tanti validi produttori in Italia e all’estero. Tanti i birrifici internazionali (molti italiani) presenti al Pils&Love: Banded Horn, Elvo, Ducato, Lariano, Bunker, Cambridge Brewing Co., DC Brau, Fair State, Folksbier, Foundation, Firestone Walker, Ganstaller, Jack’s Abby, Left Hand, Liquid Riot, Lost Nation, Mahr’s Bräu, Notch, North Coast, Russian River, Schonramer, Sierra Nevada, Sly Fox, Smuttynose, Suarez Family, Temescal, Threes, Tired Hands, Trou du Diable, Two Roads,, Urban Chestnut, The Veil, Victory, Von Trapp, Zero Gravity e, ovviamente, Oxbow e Birrificio Italiano. Il festival si è rivelato un successo, sia per la formula che per la location, dimostrando come anche gli Stati Uniti – spesso visti come una nazione birrariamente “estrema” – siano molto sensibili ai classici stili europei, tanto da premiare un’iniziativa dedicata a uno di essi nello specifico.

Se mi seguite con costanza saprete che invece a giugno si è tenuta la versione belga del Villaggio della Birra, alla quale ho avuto la fortuna di partecipare. Si è trattata della seconda edizione in terra straniera di uno dei festival italiani più amati in assoluto, nonché dei più longevi: quella del prossimo settembre sarà la dodicesima incarnazione della manifestazione, che esiste dal 2005. L’idea originaria alla base del progetto dovreste conoscerla bene: far convivere nello stesso evento le culture brassicole d’Italia e Belgio, con produttori provenienti da entrambe le realtà. Negli ultimi anni il tema è diventato più ampio, allargando la partecipazione anche ai produttori del resto del mondo, ma ciò che non è cambiata è la formula, rimasta pressoché immutata nel tempo: interessanti laboratori di degustazione condotti da Kuaska, cotta pubblica, cibo locale e atmosfera rurale (che in un contesto come quello della provincia di Siena è paradisiaca).

L’incontro tra mondi brassicoli così vicini e allo stesso tempo così lontani è stato apprezzato tanto dai visitatori quanto dagli stessi birrai. In particolari i belgi hanno sempre amato il Villaggio della Birra, al punto che lo scorso anno si è riusciti a realizzare uno “scambio alla pari” esportando la manifestazione in terra straniera. Ciò è stato possibile grazie alla collaborazione con il birrificio Kerkom, che ha ospitato le due edizioni del Villaggio della Birra Belgian Edition, riproponendo un contesto molto simile a quello del TNT Pub dove si tennero le prime edizioni della sua controparte italiana. In Belgio la manifestazione non ha ancora raggiunto la fama che ha conquistato in Italia – e ci mancherebbe essendo solo al secondo anno – ma un successo già l’ha ottenuto: far conoscere ai consumatori begli la ricchezza del nostro panorama brassicolo.

Le chiavi per esportare un evento all’estero sembrano quindi essenzialmente due: puntare con decisione su un tema specifico, non necessariamente alla moda, e vantare un ottimo “curriculum” in patria, costruito su anni di edizioni vincenti. Sono elementi che ritroviamo anche in altre iniziative italiane e non è un caso che già si parla di una futura esportazione dell’Arrogant Sour Festival, altro evento che in poco tempo è riuscito a fare breccia tra appassionati e operatori del settore perché ben organizzato e incentrato su un singolo argomento, non così scontato fino a qualche anno fa. Che sia arrivato il tempo di un Arrogant USA Edition? Staremo a vedere.

Stiamo vivendo un momento in cui la classica formula del festival birrario risulta tremendamente inflazionata, tanto da cominciare a mostrare i suoi limiti. La specializzazione, unita a competenza, passione e capacità organizzativa, è forse non solo la chiave per riuscire a portare una manifestazione birraria fuori dai confini nazionali, ma anche per permettere a un evento di rimanere sulla cresta dell’onda negli anni. Da questo punto di vista ci stiamo dimostrando un popolo pieno di idee, capace di tradurle in progetti concreti e ampiamente apprezzati. Quanti altri sono riusciti a creare qualcosa del genere trattando un solo stile birrario, portando i birrifici italiani in una nazione storica come il Belgio o costruendo un festival sulle birre più difficili da bere in assoluto?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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