Cimec

Riscoprire l’abbinamento tra pizza e birra: intervista a Francesco Oppido

In una rubrica che parla di abbinamenti tra birra e cibo ogni tanto ci fa piacere incontrare dei personaggi che tanto hanno puntato su questo aspetto, tanto più chi lo fa scegliendo una delle accoppiate assieme più celebrate e vituperate della storia gastronomica moderna: birra e pizza. Oggi il disco lievitato si trova visibilmente in mezzo a due tendenze opposte: una di splendida rinascita o di nuova crescita, in aree della penisola dove non fa parte della tradizione, e l’altra di macchietta buona solo per mangiatori distratti e turisti svampiti. Chissà se la recente acclamazione del mestiere di pizzaiuolo come Patrimonio culturale immateriale dell’Unesco aiuterà a diffondere la vera cultura della pizza napoletana e italiana. Certamente uno di quelli che ha meno bisogno di stimoli in tal senso è Francesco Oppido: simpatico, preparato e a tratti geniale, ha fatto di Bologna una città dove vale la pena fermarsi per una pizza eccellente accompagnata da selezioni birrarie di altissimo livello, protagonista di locali dove questa potenziale affinità diventa storia d’amore.

Ci incontriamo in un giovedì qualsiasi di gennaio, al bancone di uno dei suoi locali, Storie DiPinte (pagina Facebook), a San Lazzaro di Savena (BO), davanti ad una (splendida) Brown Porter di Canediguerra.

Ciao Francesco. Innanzitutto raccontaci chi sei e che percorso hai compiuto prima di divenire pizzaiolo e publican di riferimento.

Un percorso lungo, sempre con le mani in pasta: vengo da una famiglia di pizzaioli, ma sono diventato pasticcere prima di tornare a questo meraviglioso “mestiere genetico”, perfezionato presso la Pizzeria Italia, locale cult della mia città, Crotone. È allora che ho pensato che fosse utile fare un’esperienza fuori: ho scelto Bologna e non sono più riuscito ad andar via.

Curioso scegliere Bologna, dove la pizza non fa proprio parte delle tipicità…

Beh, la città non puoi non amarla. Qui era più facile fare l’imprenditore, ma sulla pizza non c’erano grandi riferimenti, è stata una sfida. Ho gestito due locali col marchio Re di Pizza, una vera gavetta gestionale e tecnica durante la quale ho studiato costantemente la lievitazione, ricercato l’originalità delle ricette e selezionato le prime birre artigianali. Sembra si parli di 100 anni fa, ma anche solo nel 2009 a proporre birre “diverse” sembravi un massone. Non era facile raccontare alle persone di questi prodotti, ma noi (il plurale è in riferimento a Sara Taglieri, la socia di sempre, ndr) ci abbiamo creduto fermamente: per come la vedevamo, semplicemente non c’erano alternative. Così abbiamo iniziato un lavoro di educazione dei clienti, organizzato degustazioni con la presenza dei birrai, avuto attenzione nel selezionare anche birre con attitudini all’abbinamento: perché quest’ultimo, se ben fatto, è un ottimo modo per la valorizzazione reciproca.

Assolutamente d’accordo. Dunque, a quel punto, eravate pronti per il “grande” salto.

Sì, infatti nel 2012 arriva Ranzani 13: volevamo che fosse contemporaneamente la sintesi di tutte le esperienze precedenti, dei nostri viaggi di scoperta birraria e una virtuosa provocazione. L’obiettivo era di coniugare l’accoglienza e la convivialità di una pizzeria con l’informalità di un pub, con la possibilità di divertirsi anche nello scegliere soddisfacenti e originali accostamenti birra-cibo. Per differenziarci come proposta, qui (a Storie DiPinte, ndr), invece, abbiamo pensato più che altro ad un posto da cena, impostato sulla seduta e sui tavoli.

Sono entrambi due locali di grande successo: quale aspetto ha fatto la differenza nell’affermazione delle vostre idee?

La voglia di fare, il sorriso, l’energia e un aspetto, assieme alla competenza, su cui oggi puoi fare davvero la differenza: la creazione di un ambiente confortevole e positivo. Birre e farine le puoi reperire, ma il carattere del locale non lo puoi acquistare. Noi abbiamo puntato sulle realtà agricole e artigiane cittadine e regionali di qualità, cercando rapporti diretti, personali e franchi: tutte le aziende che abbiamo in carta, alcune realmente a centimetro zero, le abbiamo visitate, perché vogliamo raccontare delle storie, operare una prolifica contaminazione partendo dalla enorme capacità di connessione che ha l’enogastronomia, proteggere e valorizzare queste pregiate forme d’artigianato, di cultura e di piacere.

C’è un legame così potenzialmente fecondo tra lievitati e fermentati che non si capisce perché nella stragrande maggioranza delle pizzerie si debba bere male: ti sei fatto un’idea della ragione?

Solo per impreparazione o per mancanza di passione. Chi non lo fa è semplicemente ignorante; quelli che lo fanno per marketing dopo pochi mesi azzerano la loro credibilità. A volte ti capita di andare in un locale per partecipare ad una degustazione e magari stai anche bene, poi ci ricapiti chiedendo le birre della serata cui hai partecipato e ti dicono che erano solo per quell’occasione: così non serve, bisogna dare continuità e avere personale preparato e motivato, altrimenti diventa apparenza senza contenuti, peggio che non sapere nulla.

Cambiando discorso, ma non troppo: il tuo rapporto con il Belgio è sempre stato d’amore, ma negli ultimi anni si è stretto particolarmente, hai novità da raccontarci?

È esploso un mondo di amicizie e belle storie a Bruxelles, in particolare con Jean Van Roy di Cantillon e i ragazzi del Moeder Lambic: tanto che con questi apriremo un locale, dopo l’estate.

Molto bene! Quindi quell’intenzione di cui mi parlavi qualche mese fa è diventata realtà?

Eh sì! Il progetto si chiama Pastamadre. Sarà in pieno centro storico, in Place Roupe, nei locali dell’ex ristorante dell’hotel La Grand Cloche, il più antico della città, che quest’anno sarà completamente rinnovato. La filosofia del locale sarà quella di sempre, con la selezione delle birre operata dal Moeder Lambic, con ricca presenza tricolore sulle 20 spine attive. La cucina invece sarà completamente nostra, tra pizza, pasta, burger e prodotti da forno. Vogliamo essere un punto di incontro adeguato a ogni momento della giornata: saremo aperti dalla tarda mattinata e nel fine settimana già per la colazione e il brunch.

Beh, le premesse sembrano veramente interessanti…

Ma non è tutto. C’è un’apertura ancora più prossima, qui a Bologna, entro un paio di mesi: Sala parto, chiamato così perché vogliamo che diventi un luogo dove germogliano idee e perché qualche decennio fa, in quegli stessi locali, c’era l’area nascite dell’ospedale Sant’Orsola. Lavoreremo in maniera molto approfondita sul rapporto tra cotture e impasti e in carta saranno presenti diversi vini naturali.

E gli abbinamenti?

Come sempre e più di sempre! Nel nuovo locale abbiamo idea di puntarci moltissimo, di costruire una vera e propria carta degli abbinamenti: insolita, poiché la proposta gastronomica sarà conseguenza delle selezioni brassicole ed enoiche. Ci divertiamo a suggerire, mantenendo una visione “aperta”, con il giusto spirito di sperimentazione, pensando sia alle referenze alla spina sia alla cantina. Ci sono birre più adatte alla bottiglia e birre più da “rubinetto” e, soprattutto, clienti diversi. Prima era più facile vendere la bottiglia, anche per via del nostro background di italiani: ora molti comprendono che alla spina possono curiosare assaggiando più etichette.

In chiusura, potresti lasciarci una ricetta e un abbinamento?

Con grande piacere! Pizza fritta (impasto con farina tipo 1 e 20% di farro spelta) con spalla di mora romagnola (Presidio Slow Food) in cottura a bassa temperatura, stracciatella pugliese e albicocca disidratata accompagnata dalla Fou’ Foune di Cantillon.

I primi clienti cominciano a entrare e Francesco ha da fare. Ci salutiamo con un caloroso abbraccio, lo ringrazio ed entro in macchina accorgendomi di una copiosa produzione di saliva: sarà anche la fame, ma con quest’ultima ricetta s’è manifestata la vera acquolina in bocca…

L'autore: Roberto Muzi

Docente, degustatore e consulente di settore. Classe 1980, appassionato di fermentazioni e di tutto ciò che riguardo quello straordinario micromondo abitato da lieviti e batteri, è responsabile regionale per la Guida alle birre d’Italia di Slow Food Editore e giurato in alcuni concorsi nazionali. Ama leggere e bere birra mentre segue il calcio: una semplice scusa, sciocca e inossidabile, per foraggiare il consumo pro-capite italiano.

Leggi anche

D.O.B. (Di Origine Birraria): un menu con le IGP italiane abbinate alla birra artigianale

Si sente spesso parlare di cibi a denominazione di origine come prodotti riconosciuti e tradizionali. …

Il ritorno di Leonardo Di Vincenzo nel mondo della birra: un’intervista in occasione dell’apertura di Gabrini

Per chi vive a Roma quello di Franchi non è un nome qualunque. Per tantissimi …

2 Commenti

  1. “Beh, la città non puoi non amarla. Qui era più facile fare l’imprenditore…”. Effettivamente, con tutti i locali che apre, mi pare che la voglia di essere imprenditore abbia forse sopravanzato quella di fare il pizzaiolo 😀

  2. da Bolognese posso dare conferma che RANZANI 13 e STORIE DI PINTA sono una certezza e che e impossibile per gli amanti della birra e il cibo non andarci, a mio modesto parere sono i migliori !

Rispondi a william Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *