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Guida alle Birre d’Italia 2015: la mia recensione

guida birre italia 2015Nelle scorse settimane si è parlato diffusamente della Guida alle Birre d’Italia di Slow Food, con la maggior parte delle discussioni (e delle polemiche) incentrate sui riconoscimenti assegnati a birre e birrifici. I premi però non solo che l’elemento più in evidenza di un grandissimo lavoro editoriale, tornato sugli scaffali delle librerie nazionali dopo l’ultima edizione del 2012. La pubblicazione di Slow Food rimane – se non sbaglio – l’unica vera guida ai birrifici italiani, perciò ogni valutazione al riguardo è influenzata da questo inevitabile monopolio. Una situazione che però, ancora una volta, non ha placato la voglia dei curatori Luca Giaccone ed Eugenio Signoroni di realizzare un prodotto di primissima qualità, grazie al supporto di tanti collaboratori sul territorio. Per la recensione di oggi il miglior paragone che si può fare è allora con la precedente edizione della stessa guida…

La prima sostanziale differenza è nei numeri, tutti in aumento: si è passati da 227 birrifici e 1.191 birre censite del 2013 ai 329 birrifici e 1.628 birre dell’edizione 2015. Di fronte a un settore che in due anni è cresciuto in maniera impressionante, certe cifre possono essere considerate come il minimo sindacale da rispettare. Ciò non toglie però che lo sforzo profuso per visitare personalmente tutti i produttori segnalati è enorme e offre un indizio sul tipo di impegno necessario per portare a termine una pubblicazione del genere.

Numeri a parte, le differenze più interessanti emergono a livello grafico, benché l’impaginazione e le soluzioni visive siano rimaste pressoché invariate. Si è proceduto allora a un miglioramento dell’impostazione precedente, finalizzato soprattutto a una maggiore leggibilità. In particolare ora sono molto più facilmente distinguibili i riconoscimenti alle birre: ora ogni birra premiata riporta la rispettiva dicitura (“birra quotidiana”, “birra slow” o “grande birra”), mentre in passato l’unico elemento identificativo era un diverso stile di font applicato al nome del prodotto. Decisamente migliori anche le icone usate per indicare il tipo di fermentazione e di condizionamento in bottiglia. A proposito di simboli, ora ve ne sono alcuni totalmente inediti, atti a indicare quei birrifici che prevedono vendita diretta, mescita nel locale di produzione e visite guidate.

Con quest’ultimo dettaglio probabilmente avrete capito che il livello di informazioni associate a ogni birra o azienda è davvero profondo. Interessante notare come la dicitura “birrificio senza impianto” si sia trasformata nella più coincisa “beer firm” e abbia assunto una posizione di maggior rilievo: non più inserita tra le tante peculiarità del birrificio, ma in testa a tutto, appena sotto il suo nome. È una soluzione che permette di distinguerle meglio, garantendo maggiore trasparenza nei confronti del lettore/consumatore.

Da notare anche la differenza di impostazione dell’articolo introduttivo alla guida, curato da un esperto del settore. Nell’edizione 2013 fu un pezzo a firma Kuaska, con la quale il nostro guru offrì una panoramica della scena brassicola nazionale. Ora che il movimento è diventato più maturo, ci si può inoltrare in discorsi tecnici e specialistici: ecco allora tre pagine dedicate alle birre senza glutine, ovviamente a cura di Alfonso Del Forno.

Per il resto la Guida alle Birre d’Italia conferma quanto di buono mostrato nelle precedenti edizioni. Nello specifico continuo a sottolineare l’ampio valore aggiunto rappresentato dalle parti “narrative”, che rappresentano la gran parte dei contenuti presenti: mi riferisco ai box destinati a raccontare la storia del birrificio, del suo birraio, della relativa filosofia produttiva e di ogni singola birra censita. Sono piccoli pezzi di un puzzle con cui ricostruire lo stato attuale della birra artigianale italiana, evidenziando però l’aspetto umano e le aspirazioni personali che nasconde ogni progetto. Leggere la guida (e non solo consultarla di tanto in tanto) è dunque come percorrere un viaggio (spaziale, ma anche temporale) nelle meraviglie del nostro mondo brassicolo.

In conclusione la Guida alle Birre d’Italia 2015 è una pubblicazione di cui mi sento di consigliare vivamente l’acquisto, sia che siate grandi appassionati, sia che siate semplicemente incuriositi da un settore che state imparando a conoscere. L’unico dubbio potrebbe riguardare chi già possiede la precedente edizione: in tal caso ha senso l’acquisto? È una valutazione che secondo me va fatta personalmente, considerando che l’ambiente in due anni è cresciuto sensibilmente. Se volete restare al passo coi tempi la scelta è scontata, ma c’è anche da dire che la maggior parte dei riconoscimenti riguarda birrifici già premiati due anni fa (quindi con margini di variabilità molto ridotti). In ogni caso è davvero un lavoro eccellente, un plauso a tutti coloro che vi ci sono dedicati.

Guida alle birre d’Italia 2015
a cura di Luca Giaccone ed Eugenio Signoroni
Slow Food Editore
Pagine 445
Prezzo 14,50 euro

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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38 Commenti

  1. Io nella guida ho trovato molti errori e imprecisioni oltre che una serie di premi assegnati in modo che mi fa pensare che chi ha assaggiato le birre o non l’ha in realtà fatto o aveva una preparazione non adeguata… per essere buoni!

    • Eugenio Signoroni

      Ciao Annarella,
      non entro nel merito dei riconoscimenti perché su quelli tanto nessuno sarà mai d’accordo, sappi però che abbiamo assaggiato sia io che Luca Giaccone tutte le birre che hanno ricevuto un riconoscimento, poi magari siamo inadeguati, ma le abbiamo assaggiate. Sulle tante imprecisioni e i molti errori invece sono interessato perché vorrei poterli correggere almeno nella versione digitale della guida che sarà presto in vendita sull’App Store. Se potessi quindi mandarmi una mail a [email protected] te ne sarei davvero grato

  2. Il prodotto piace molto anche a me.
    Ne hai già sottolineato i pregi. Io ne aggiungo solo un paio:
    – come indicato in retro-copertina, le aziende “visionate” sono state decisamente più di quelle inserite quindi, fortunatamente, si è deciso di non includere produttori evidentemente impresentabili.
    – Le beer firm, per scelta, erano escluse dai riconoscimenti (chiocciola, fusto o bottiglia). E qualcuno potrebbe anche dirmi “e grazie al ca..o”…

    Sui lati negativi o almeno criticabili, credo che abbia poco senso fare il classico discorso “quel premio non ha senso, mentre invece avrebbero dovuto premiare quell’altra birra”. Sappiamo che su questo punto difficilmente si potrà trovare un accordo.
    Io segnalerei altri punti:
    – per le beer firm non in tutti i casi è segnalato il birrificio in cui vengono prodotte le birre; creod bisognerebbe uniformare questo aspetto.
    – il senso complessivo della guida, in parte mi sfugge o forse semplicemente non lo condivido. La mia idea è che se la guida vuole essere un censimento, allora metti dentro tutte le aziende che visiti, ma poi devi avere anche il coraggio di parlarne male.
    Se invece l’idea è far conoscere e valorizzare le eccellenze, allora devi essere molto più selettivo ed escludere qualcuno che lì dentro non ha senso di stare, anche a costo di produrre una guida che a distanza di 2 anni magari non incremente il numero di birrifici inseriti, ma addirittura, per paradosso, li diminuisce qualora non ci siano nuove aziende valide e alcnue delle vecchie accusino un calo…

    Per come è messa ora, la guida rappresenta quello che vuole essere, cioè prima di tutto uno strumento editoriale e quindi commerciale, che per forza di cose deve crescere nei numeri e deve cercare di non scontentare nessuno.
    Ne esce un prodotto sicuramente ricco ma che, a mio modo di vedere, al di là dei riconoscimenti, non permettere di distinguere fino in fondo tra quali siano i produttori validi e quali siano invece quelli che fanno prodotti così scadenti da fare male a tutto il movimento della birra artigianale.

    Infine contesto in toto l’insermiento dei birrifici industriali (già presente nella vecchia edizione) con descrizioni delle birre addirittura accattivanti…

    • Ah, detto questo, sono d’accordo con Andrea, e cioè che si tratti di un prodotto che vale decisamente la pena di avere.
      Mi sono soffermato sui lati che non apprezzo perché quelli positivi erano già stati elencati e perché ritengo che un prodotto simile debba sempre puntare a migliorarsi per cercare di avere il massimo della diffusione ma anche della credibilità possibile.

    • Due cosa non comprendo, mi sforzo ma proprio non ci arrivo:
      -perchè 2015 se la guida esce nel 2014 e si riferisce ad assaggi fatti nell’arco del 2013-2014
      -perchè inserire i birrifici industriali in elenco in contrasto con la filosofia “slow”.
      Ho sfogliato la guida e letto qualcosa, e ad ogni modo apprezzo le migliorie generali apportate ed il grado di dettaglio raggiunto sui birrifici inseriti.

  3. enrico cornelli

    Concordo pienamente con annarella, alcune”grandi birre” n8n sono nemmeno degne di essere assaggiate, purtroppo non potendo supportare le mie affermazioni con dati di fatto, ms solo per motivi legali, passero’ per rosicone o incompetente ma conosco bene le capacita’ e l’esperienza di alcuni “assaggiatori”.Capisco anche gli elogi di Andrea ma davvero non c’e’ nessun bisogno di una guida spesso inadeguata.
    Sarebbe come far recensire un auto a uno al quale piace guidare.

    • Eugenio Signoroni

      possiamo fare i nomi di queste indegne grandi birre?!? così tanto per capire un po’ meglio… grazie

      • Leggo che NMdrinker nell’articolo di questo blog faceva un elenco dei premi che non capiva… io concordo con molte delle sue critiche in particolare la presenza di Collesi…mooolto poco slow e il fatto che beergamott è una birra sicuramente interessante ma non beverina al punto da chiamarla quotidiana.

        Aggiungo che birrifici come Ducato, Del Borgo e Italiano (assolutamente apprezzabili) hanno vinto tre birre premi per birre slow… ma con birre di cui l’aspetto slow non è chiaro, avrebbero meritato più un premio per birra quotidiana a mio avviso.

        Anche slurp! [10 Luppoli] – SorA’laMA’ non credo sia oggettivamente una Grande birra…

        Questo è il mio punto di vista…con alcuni nomi

        • Anche slurp! [10 Luppoli] – SorA’laMA’ non credo sia oggettivamente una Grande birra…

          Anche birra è una forzatura.

          • Nel loro sito ho visto che ha vinto premi guida slow food dal 2009 ed è stata Birra dell’Anno e Argento l’anno dopo e che si bevono un milione di slurp! all’anno…. strano
            p.d. un bel pò del milione me li bevo io

          • Di Heineken se ne beve mooooolta di più, non per questo la definirei grande birra, ma nemmeno birra.

          • ma non vince i migliori premi delle birre artigianali…
            ma a parte gusti personali rispettabilissimi, perché non la consideri nemmeno birra? quali sono le tue GRANDE BIRRE?

          • Sul sito nella tipologia riporta chiara ispirata alle Pils. Evidentemente il birraio o sarebbe meglio dire l’enologo, questi sono gli studi che ha fatto, non ha mai assaggiato una Pils. Questa birra impiega come lievito l’S23 ed infatti ha una prevalenza di fruttato mostruosa.

            Se per altre tipologie è un pregio, in una bassa fermentazione, il fruttato è un grande difetto. La prevalenza di lievito è tale, che la birra risulta decisamente sbilanciata, corpo non pervenuto e dei 10 luppoli non se ne sente manco mezzo.

            Probabilmente anche chi l’ha premiata non conosce le tipologie, le caratteristiche ed i difetti riscontrabili in queste. Chi la beve fa bene se gli piace, consiglio comunque un buon corso di degustazione, per imparare a distinguere i difetti dai pregi, in base alle tipologie.

          • Potrei farti una lunga lista delle birre che io ritengo grandi, ma dubito che qualcuno qua le conosca.

          • Non per smontare le tue sicurezze, ma credo che un minimo di conoscenza delle birre italiane qui ci sia

          • Certo Andrea, ma le mie grandi birra non sono Italiane, se dovessi dare un premio ad un Italiana artigianale, di quelle che ho assaggiato, lo darei alla tipo pils. Non le ho assaggiate tutte. chiaramente, ma un po ne ho assaggiate e sinceramente non ho mai trovato una birra che mi facesse gridare al miracolo.

            Forse perché essendo docente degustatore, sento difetti che altri non riscontrano o forse perché non assaggiato abbastanza birre o non quelle giuste.

            Mi piace la Space Man anche se ha poco a che fare con una IPA tradizionale. Recentemente ne ho assaggiata una di un birrificio artigianale tedesco ed era una spanna sopra.

            Posso riportare la mia hit parade, poi mi dici se le conosci o puoi consigliarmi qualcosa che mi faccia cambiare idea.

          • Ognuno ha i suoi prodotti preferiti, che siano italiani o stranieri. Ma si parlava di birre italiane e la domanda che ti era stata rivolta era limitata ad esse.

          • dai Cerevisia spara ‘sti nomi

          • Io mi domando una cosa: ti è stato spiegato a più riprese che non sei gradito sul sito. Ma invece di fare continuamente morphing non hai un po’ di amor proprio per non continuare a scrivere?

          • Infatti non ho riportato la lista ed ho citato le Italiane. E comunque non sono cerevisia.

  4. Appena visionata in libreria: non mi è piaciuta. Nelle recensioni mancano informazioni fondamentali (IBU e temperatura di servizio consigliata, ad esempio) e alcune indicazioni (es. se un prodotto è filtrato, se rifermenta in bottiglia) sono date saltuariamente. Aggiungiamo poi che vengono decantati solo i pregi e non gli eventuali difetti (o anche solo profili da migliorare) delle birre: forse poteva essere fatto uno sforzo in più visto che da una “guida” (che per definizione dovrebbe procedere a trattazioni di tipo esaustivo) mi aspetto anche prese di posizione del tipo “ok, questa non va bene per i motivi A, B e C”. La elaborazione della (tanto discussa) categoria delle “grandi birre” mi lascia poi perplesso. Non voglio parlare delle inclusioni in quanto, trattandosi di opinioni personali, se un assaggiatore ha ricevuto impressioni particolarmente positive da un prodotto non credo di avere titolo per criticarlo ma, al più, di dissentire dal parere. Proprio per questo, però, non mi convince l’idea di inserire una categoria che presupponga la formulazione di un giudizio di carattere assoluto: specie se vedo che birre come Wedding Rauch, Zest e Amber Shock non sono considerate “grandi”.

    • l’IBU sarebbe un’informazione completamente arbitraria: nessun birrificio è dotato di strumento per misurarla e tantomeno fa analisi presso terzi in tal senso, tantomeno un ente terzo è preposto a misurarla. le formulette sono imprecise e a secondo di quella che usi puoi ballare anche di 20 punti, col risultato che una birra che dichiara 80 IBU puà essere in realtà meno amara di un’altra che ne dichiara 60. a conti fatti è un’informazione di massima nel migliore dei casi quando la trovi in etichetta, se non proprio fuffa e marketing. al massimo avrebbero potuto studiare un modo per indicare l’amaro percepito es. dolce/media/amara per capirci

      • Premessa: in linea di massima il tuo punto di vista lo trovo condivisibile. Ed infatti:
        1) sul fatto che non sia possibile stabilire le IBU con una precisione chirurgica ed unanimamente condivisa siamo d’accordo (ti cito il caso della Jever – una delle mie pils preferite – con riferimento alla quale ho visto attribuire dalle 38 alle 44 IBU, passando per 42;
        2) ugualmente indiscutibile è poi che un valore di IBU – specie se molto alto – possa essere utilizzato anche con finalità di marketing (ma è un comportamento che non mi sento di criticare);
        3) che le 75 IBU di una Old Rasputin di North Coast vengano percepite in modo diverso dalle 75 IBU di una Big Eye di Ballas Point non si discute.
        Nonostante questo, però, penso che le IBU rappresentano un parametro che il “beer geek medio” considera e, pertanto, in una guida sia necessario prendersi il disturbo di scegliere una delle possibili formule di calcolo per l’IBU (bastava indicare in premessa quale metodo si intendeva seguire) e fornire l’informazione. Non credo infatti si tratti un parametro totalmente arbitrario, visto che possiamo anche dare per buono che le 200 IBU dichiarate per la Devil Dancer di Founders magari sono 180, ma se me lo dicono dispongo di un dato utile per capire cosa posso trovare nel bicchiere.

        • forse non ci siamo capiti, provo a ripetere

          NESSUN birrificio italiano è dotato della strumentazione per misurari le IBU, quelle VERE intendo. NESSUNO invia in laboratorio per farse misurare. NESSUN ente esterno si occupa di controllare se le IBU dichiarate sono veritiere, NESSUNA legge lo prescrive

          i numerini che leggi in giro sono calcolati con formulette che sicuramente conosci, come sicuramente saprai che queste formulette sono APPROSSIMAZIONI del valore reale, come saprai che di queste formulette ne esistono SEI versioni diverse, ognuna delle quali restituisce un numero diverso e che spesso diverge non poco a seconda della quantità di luppolo e del modo in cui è stato utilizzato

          quindi il numero che leggi spesso non è che vuol dire non niente, ma comunque poco: una birra dichiara 60 IBU? ok, è una birra amara. è più amara dell’altra che dichiara 50 IBU? e chi te lo dice? magari uno ha usato Rager, l’altro Tinseth o (come faccio io) delle proxy mie personali se faccio late hopping. quindi molto più corretto e sensato classificare una birra come amara piuttosto che riportare un numero che spesso non è confrontabile con numeri di altri birrifici, visto che nessuno dichiara quale metodologia di calcolo approssimato è stata usata

          per la cronaca: la Mikeller 1000 IBU in due diverse misurazioni di laboratorio ha riportato 140 IBU e 96 IBU, non so se si nota la differenza… poi, assolutamente d’accordo che uno può usare un dato a fini di marketing. se questo dato però è veritiero…

          altra cosa è invece il rapporto fra amaro e dolce e la loro percezione. una birra da 100 IBU è amara sempre e comunque. poi se è poco attenuata e piena di caramello sarà ANCHE dolce, magari molto dolce. ma resta comunque amara, le due cose mica si escludono

      • enrico cornelli

        Il fatto che 80 ibu possano essere meno amari di 60 dipende da quello che c’e’ intorno, tipo le destrine e ti assicuro che si puo calcolare l’ibu con una approsimazione del 5 per cento

        • se mi assicuri mi devi fornire una fonte, perché altrimenti sono solo chiacchiere da bar. comincia con lo spiegarmi come mai se è così facile formule diverse, ricavate da ricercatori e professionisti, danno scostamenti del 20%. dacci la tua formula magica che facciamo prima

          80 IBU sono sempre amari come 80 IBU. che tu ci metta un quintale di destrine o meno. se riempi di destrine sarà amaro E dolce. pensare che una cosa annulli l’altra è un modo piuttosto medioevale di valutare una birra. secondo te una DIPA fatta bene non è dolce perché ha 280 IBU?

    • enrico cornelli

      Come si puo giudicare una stout in pieno inverno in capannone non riscaldato a 3 gradi di temperatura e giudicarla correttamente?

  5. Non me ne intendo molto di birra, sono solo un appassionato, sono portato a fidarmi dei giudizi di Andrea, ma trovo interessantissimi tutti i commenti e le critiche inserite, per cui mi sento di ringrazia chi si prende la briga e dedica tempo a condividere le sue idee con gli altri. Detto questo da consumatore target per un prodotto editoriale con questa guida mi vien da dire: La compro lo stesso, però sto marchio Slow Food sta cominciando ad assomigliare sempre più a ciò che combatte, ovvero un’industria.

  6. Enrico, SR ti ha già risposto sulla questione IBU.
    Io dico una cosa sulla questione filtrazione e rifermentazione in bottiglia.
    Per quanto riguarda la rifermentazione in bottiglia non è vero che si tratta di una indicaziona data saltuariamente, perché di fianco a ogni birra c’è scritto se è imbottigliata in contropressione, rifermentata o se è liscia.

    La questione filtrazione è più complessa, perché volendo riportare il dato per tutti, dovresti anche specificare a quanti micron si filtra… perché dire solo filtrata o non filtrata non dico che non significhi nulla, ma di sicuro è una informazione troppo parziale per avere realmente senso.

    • Quoto, esistono sino a 4 stadi di filtrazione, quindi dire “filtrata”, vuol dire poco o niente.

    • Che te devo dì…. nella copia che ho sfogliato ho visto che per alcune birre le “letterine” R, C ecc. che indicavano se era rifermentata non c’erano. Saranno stati refusi di stampa ma il dato mi pare proprio mancasse….
      Tema filtrazione: quando dicevo che andava messa la info, sottointendevo (ma non sono stato chiaro, in effetti) che andava specificato anche il tipo di lavoro che è stato fatto (solo farina fossile, se sono stati usati cartoni, quanti micron, PVPP ecc.). Mi aspetto che in una guida il dato ci sia non perchè voglio fare il pignolo (anche se credo di esserlo…), ma perchè se devo spenderci soldi mi deve dare info che per me sono utili (specie ai festival, più aumentano i Km che una birra non pastorizzata ha fatto per arrivare dal produttore a me + tendo a privilegiare prodotti che mi danno maggiori garanzie di stabilità). Se invece devo prendere un libro che si limita a dirmi che una birra è una alta fermentazione con schiuma persistente, aromi agrumati e altre ovvietà similari per me non vale la spesa. Sono informazioni che con un giro su internet trovo gratis ^_^

  7. Io la trovo interessante, ben fatta, sicuramente migliorabile ma utilissima per capirci qualcosa nell’infinito labirinto delle birre artigianali. Pensate se non ci fosse, come fareste a sapere che nel Polise c’è quel tale birrificio che produce una birra all’asperula?
    Giuro che il mio giudizio positivo non è dettato dal premio ricevuto 😀
    Sugli IBU credo sia passata la moda di considerarli importanti, come è passata (spero) quella della gradazione alcolica, ma almeno per quest’ultima c’è una legislazione chiara che ci spinge a fare analisi per stabilire il volume di alcol reale.
    I vari xxx IBU (pure io da ex beerfirm l’avevo messo in etichetta) lasciano il tempo che trovano.

  8. Beh il fruttato in una pils è in sottordine rispetto agli aromi di luppolo. Parliamo di 10 ppm più o meno di esteri, ma se prendiamo una lager o una strong lager possiamo salire a 20-25 ppm…per esempio l’Heineken che tu citi ha senz’altro quei valori e quindi il fruttato non è proprio nullo.
    Non generalizzarei quindi che le basse fermentazioni quindi sono poco fruttate, una pils in genere lo è qualcun altra un pò di più.

    Luca Giaccone ed Eugenio Signoroni sono competenti e preparati. Si possono discutere le loro scelte, le valutazioni regionali..ma senz’altro l’approccio loro è stato competente ed approfondito .

    • Se la Heineken è fruttata l’Orval cos’è un succo di frutta? Non scherziamo, le basse in genere non sono fruttate o comunque non è quello il sentore che spicca, anche perché non devono esserlo. La Slurp è iper fruttata, tanto che è l’unico sentore che si sente, molto più fruttata di quanto dovrebbe essere una birra che prevede il sentore come tipologia. L’ho bevuta a pranzo ed il sentore di fruttato l’ho sentito sino alla cena.

      Non discuto le competenze di chi ha fatto la guida, dico solo che io avrei fatto diversamente, avendo un cervello ed un palato miei, non la definirei una grande birra e mi sembra di averne spiegato il perché, poi se diventa buona perché lo dicono loro o perché ha preso i premi allora non c’è discussione.

  9. Tutto decade, come in altri casi, quando una persona mette in tavola il famigerato “io sono…io bevo…io sento…io di più …io ho fatto il corso di…”
    Sono affermazioni da pugni in faccia.
    Per quanto degustatore etc etc, il tuo giudizio vale come quello degli altri, il bello della birra é l’essere prodotto popolare e sociale, che può piacere e non;
    Smettetela di presentarvi con questo biglietto da visita e sarete più apprezzati, così come le vostre opinioni.
    La guida è frutto di duro lavoro, può solo migliorare con consigli costruttivi e altro, stimola la curiosità di cercare ed assaggiare prodotti magari mai sentiti, nemmeno dai DEGUSTATORI E DOCENTI più esperti.
    Di certo non é con certe critiche che si va lontano…alle quali risponderei semplicemente: falla tu!

    • Non hai quotato, ma penso che il commento sia riferito a me. Io non ho criticato la guida, primo perché non l’ho letta e poi perché non è nella mia lista degli acquisti. Io ho espresso perplessità sul giudizio di una birra, ho spiegato le motivazioni, dicendo che delle birre artigianali Italiane assaggiate, me ne sono piaciute poche.

      Ho pensato alle possibili cause dicendo che o la mia esperienza degustativa è diversa o non ne ho assaggiate abbastanza o non ho assaggiato quelle giuste. Questa considerazione non è quindi rivolta alla giuda, ma alla birra artigianale italiana in genere, ma come specificato, potrebbe essere un problema mio.

      Il mio giudizio vale come quello degli altri, forse anche meno di acquista le birre e le guide. Chi scrive le guide fa altrettanto, ma mi sembra di capire che nella guida mancano critiche ai prodotti, evidentemente è tutto buono e le birre artigianali italiane sono tutte fantastiche. Io rimango comunque riluttante ad assaggiare birre nuove, visto le esperienze precedenti a meno che il birrificio, il birraio o qualcos’altro non mi ispirino.

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