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Rapporto Altis-Unionbirrai: la birra artigianale italiana cresce e si consolida

Alcuni giorni fa sono stati svelati i risultati del Rapporto 2015 Altis-Unionbirrai, l’osservatorio che dal 2011 e con cadenza biennale analizza lo stato della birra artigianale in Italia. Si tratta della terza versione dello studio che Unionbirrai commissiona ogni due anni all’Alta Scuola Impresa e Società dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e che rappresenta – pur con alcuni limiti sui quali torneremo – l’unico rapporto interamente dedicato al comparto artigianale in Italia. È quindi decisamente confortante trovare nei numeri la conferma che il settore continua a crescere in maniera impressionante, nonostante tutti i freni derivanti da accise, crisi economica, difficoltà di fare impresa e, non ultimo, consumi generali di birra pressoché invariati.

Il rapporto è stato redatto sulla base delle risposte ottenute da un campione di 63 imprese. Purtroppo si tratta ancora di un campione molto limitato, che non rappresenta neanche il 10% dei produttori attualmente attivi sul territorio nazionale e che dunque può portare a conclusioni non esattamente rispondenti alla realtà. Come da tradizione la difficoltà è nell’ottenere feedback dai birrifici italiani, quando invece la compilazione di tutti i questionari offrirebbe uno strumento importante per indirizzare correttamente le proprie politiche aziendali. La speranza è che già in futuro il campione possa diventare più rappresentativo di tutto il panorama brassicolo italiano.

Al netto di queste considerazioni preliminari, il rapporto Altis-Unionbirrai è prezioso non tanto per confermare una crescita che è sotto gli occhi di tutti, ma soprattutto per comprendere come sta evolvendo il nostro ambiente. Confrontando infatti i dati dei due precedenti rapporti, emergono numeri davvero interessanti su come è cambiato il segmento artigianale in soli 4 anni: è questo il modo più efficace per elaborare delle previsioni sul futuro della birra artigianale italiana.

Partiamo allora dal dato riguardante la saturazione della capacità produttiva. Ebbene quasi un birrificio su due (46,9%) ammette di aver raggiunto il pieno regime produttivo e di essere quindi vincolato a nuovi investimenti. In altre parole gli impianti a disposizione della metà dei microbirrifici italiani non sono in grado di assorbire un’ulteriore crescita della domanda, obbligando quindi a futuri ampliamenti o integrazioni. Le cause sono sicuramente da ricercarsi nel successo che sta ottenendo giorno dopo giorno la birra artigianale presso nuovi consumatori, ma – aggiungo io – anche nel recente fiorire di tante beer firm che vanno a rimpolpare la fetta di produzione destinata al conto terzi.

Un dato forse ancora più interessante riguarda l’aspetto occupazionale. Secondo il rapporto quelle che fino a tre anni fa erano semplici start-up oggi sono in grado di sostenere personale dipendente. Inoltre dal 2011 a oggi è calata notevolmente la percentuale di birrifici privi di addetti, passando dal 57,7% del 2011 al 54,3% del 2013 fino al 49% del 2015. Oltre a confermare lo stato di salute dell’ambiente, questa statistica dimostra come il settore stia rapidamente maturando, obbligando le aziende a strutturarsi internamente e lasciando sempre meno spazio all’improvvisazione personale. Dunque quasi non meraviglia la crescita del giro d’affari: rispetto al 2011 si rileva un +23,4% di birrifici che operano nella fascia di fatturato compresa tra i 100.000 e gli 800.000 euro.

A livello di canali distributivi si nota una coesistenza di diverse soluzioni, con l’e-commerce utilizzato principalmente da aziende più solide e i festival preferiti da birrifici di recente apertura. Farà sicuramente discutere la crescita del canale GDO (+18%), che permette ai produttori di sviluppare numeri importanti a fronte di un basso impegno logistico e amministrativo, ma che contemporaneamente li espone a considerazioni sull’opportunità di affacciarsi su una modalità di vendita che non sempre offre garanzie in termini di conservazione del prodotto.

Come facilmente prevedibile, dunque, la birra artigianale in Italia sta non solo crescendo a livello assoluto, ma si sta anche indirizzando verso una dimensione più solida e strutturata. Proprio questo cambiamento sarà probabilmente il fattore che più di tutti influenzerà il futuro del mercato e che ne influenzerà le dinamiche a venire.

A tal proposito segnalo l’analisi di Simone Cozzuto sul sito di Alta Gradazione che incrocia i dati del rapporto Altis-Unionbirrai con quelli di Coldiretti e Microbirrifici.org per arrivare a conclusioni molto meno ottimistiche di quelle che i dati suggerirebbero a una prima analisi. Personalmente non sono così pessimista, ma comunque ritengo che bisognerà aspettare almeno un altro paio di anni per capire effettivamente cosa sta succedendo nel variegato mondo della birra artigianale italiana.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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2 Commenti

  1. Simone Cozzuto

    Ciao Andrea,
    complimenti sempre per le tue disamine.
    Volevo solo chiarire che, come ho anche specificato nella parte finale della mia analisi, le mie prospettive sono positive circa il mercato, la negatività riguarda il fatto che si è raggiunto un numero di birrifici eccessivo, che non riesce ad essere supportato da una crescita del mercato tale da permettere una sopravvivenza di tutti.
    Per questo motivo credo che nei prossimi anni ci sia una sorta di “rimbalzo” con un assestamento del numero di birrifici su soglie più basse, magari però con una crescita della capacità di quelli già esistenti.
    Spero di essermi spiegato.
    Un saluto

    Simone

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