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Ladybug Beer: il glutine trasparente in etichetta

Il mercato dei prodotti senza glutine negli ultimi tempi sta registrando una crescita vertiginosa, in parte dovuta all’aumentare delle diagnosi di celiachia, ed in parte – ma direi soprattutto – per un fenomeno che finora era stato poco valutato e che sta mettendo a dura prova il mondo della ristorazione: parliamo di tutti coloro che mangiano e bevono senza glutine pur non essendo intolleranti al glutine.

Una fetta importante di questi consumatori vengono identificati come “sensibili al glutine” e sono coloro che hanno sintomi simili ai celiaci, ma senza riportare danni all’intestino. Pur non essendoci una diagnosi riconosciuta, l’esclusione del glutine dall’alimentazione di queste persone apporta miglioramenti della qualità della vita che giustificano una scelta così netta. L’ultima parte di questa fetta di mercato è invece rappresentata da coloro che per moda o per emulazione, soprattutto nei confronti delle tante star di Hollywood, decidono di mangiare senza glutine perché pensano di mantenersi in forma e dimagrire (cosa su cui nutro molti dubbi).

Ma indipendentemente dalla motivazione per cui si consumano prodotti glutenfree, e quindi anche birre, i dati parlano di alcuni milioni di persone che ormai hanno compiuto questa scelta alimentare. Un dato che pone i celiaci in una nicchia di questo mercato, visto che ad oggi se ne contano poco più di 160.000, bambini compresi.

Con un mercato così ampio, è stato facile prevedere che tanti birrifici si cimentassero nella produzione di birre senza glutine, fenomeno molto evidente soprattutto nel nord Europa con nomi come Mikkeller, To Øl e Brewdog. In Italia sono in tanti a pensare di compiere questo passo, ma spesso ciò che frena i produttori sono la burocrazia e la scarsa conoscenza delle norme che regolano questo mercato.

Dando per scontato che una birra senza glutine può essere prodotta tranquillamente negli impianti esistenti (i test si fanno sul prodotto finito, quindi senza che ci sia rischio di contaminazione fisica), quello che frena maggiormente i produttori è la fantomatica “certificazione” del prodotto, quasi sempre riferita alla “Spiga Barrata” dell’Associazione Italiana Celiachia (AIC). Poiché su questo argomento è stata fatta chiarezza in maniera definitiva, quando ho rivolto due domande secche ai responsabili nazionali di AIC in cui chiedevo se la Spiga Barrata è una certificazione del prodotto e se AIC è autorizzata a certificare i prodotti (ricevendo in risposta due “no”), mi sono preso la briga di analizzare tutta la legislazione vigente sull’argomento, traendo delle conclusioni molto chiare.

Per la Spiga Barrata non esiste nessuna norma che la prevede, quindi si tratta di un marchio rilasciato, a costi non proprio irrisori, dall’AIC per segnalare un certo tipo di prodotto, ma non rientra in nessun dispositivo di legge. La norma attualmente in vigore per l’etichettatura dei prodotti senza glutine è il Regolamento CE 41/2009 (pdf), che all’articolo 3 specifica che i prodotti destinati agli intolleranti al glutine non devono contenere più di 100mg/kg (100ppm) di questa proteina. Inoltre afferma che se il valore è compreso tra 100 e 20ppm il prodotto più riportare la scritta “con contenuto di glutine molto basso”, mentre se il valore è inferiore a 20ppm può riportare la scritta “senza glutine”.

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Altra normativa che riguarda l’argomento è il Regolamento (UE) 1169/2011 (pdf). Questa norma prevede l’indicazione in etichetta degli ingredienti che contengono allergeni, obbligando a metterli in evidenza. Seguendo questa norma, i birrifici non devono adoperare più la scritta “contiene glutine” quando viene indicato l’elenco degli ingredienti, utilizzando il grassetto per quelli contenenti allergeni.

Queste due normative solo le uniche a cui bisogna far riferimento qualora un birrificio decidesse di mettere sul mercato una birra senza glutine, ma solo la seconda è obbligatoria. Paradossalmente, applicando entrambi le leggi, in una birra prodotta con malto d’orzo che ha meno di 20ppm, potremmo trovare la scritta “senza glutine” e il termine orzo in grassetto, generando un minimo di confusione.

Per fare chiarezza e offrire al consumatore la possibilità di conoscere le caratteristiche delle birre che trova in commercio, nasce il progetto Ladybug Beer. L’idea è di offrire al consumatore le informazioni utili che permettano l’acquisto della birra senza impazzire dietro i cavilli della legge ma ricevendo le informazioni più importanti che stanno a cuore di chi beve glutenfree: il valore esatto di glutine contenuto nella birra. Per arrivare a questo risultato, si è pensato innanzitutto che fosse necessario dare un’informazione visiva immediata e chiara, tale da essere facilmente individuabile dal consumatore.  Ciò avviene attraverso l’utilizzo della coccinella (ladybug), già simbolo delle iniziative di Nonsologlutine: una di colore verde per le birre che hanno meno di 20ppm ed una viola per quelle tra i 20 e i 100ppm.

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Oltre all’indicazione visiva viene affiancata la parte di approfondimento che fornisce certezze scientifiche a ciò che la parte visiva racconta. Da qui l’idea di utilizzare un QRcode che porta ad una pagina del sito dedicato al progetto dove è possibile leggere (e scaricare) diverse informazioni: il certificato di analisi della birra, la scheda del prodotto e i contatti del birrificio. Questi sono solo i dati fondamentali ai fini del progetto, ma è facile immaginare che nella pagina dedicata è possibile inserire tantissime altre informazioni e contenuti che vanno dall’abbinamento della birra alle ricette create da uno chef, dai posti dove poter bere e trovare le birre ad un form di contatto col produttore che permetta la tracciabilità anche in post vendita della bottiglia stessa.

Tutto ciò è racchiuso in un adesivo grande quanto un francobollo (2x4cm) che può essere applicato in un punto qualsiasi della bottiglia e non interferisce con le indicazioni dell’etichetta legale. Il bollino sarà aggiornato lotto per lotto, per far si che la produzione sia sempre monitorata, come è giusto che sia se si vuole dare un servizio chiaro e puntuale ai consumatori.

Poiché il progetto non nasce con scopi speculativi, ma con l’obiettivo di creare una comunicazione omogenea per i diversi birrifici usufruendo della piattaforma online realizzata ad hoc, i costi dello stesso sono decisamente bassi, per non dire irrisori, e non incidono sul costo finale del prodotto prima di essere immesso sul mercato.

Un primo banco di prova su vasta scala verrà effettuato nei prossimi mesi, quando ci sarà la seconda edizione dell’Italian Low Gluten Beer Award, i cui partecipanti, inclusa nell’iscrizione, riceveranno il bollino per le birre concorrenti, essendo prevista, nelle regole del concorso, anche l’analisi del glutine.

L'autore: Alfonso Del Forno

Fondatore e Presidente di Nonsologlutine Onlus, da quattro anni si occupa di ricerca nel settore della birra senza glutine in Italia e all’estero. Ideatore del World Gluten Free Beer Award e dell’Italian Low Gluten Beer Award. Relatore in convegni a tema, degustatore Unionbirrai (UBT), giudice birrario, docente. In qualità di “cacciatore” di eccellenze gastronomiche senza glutine, pubblica regolarmente sul suo blog recensioni, interviste, approfondimenti e inchieste.

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4 Commenti

  1. Bere Mikkeller, To Øl e Brewdog fa più danni del glutine…

  2. Orpo, questo articolo me lo stavo quasi perdendo. Grazie 🙂

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