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Sigilli ingiusti alle spine del Punto Birra: una raccolta fondi per il ricorso al Tar

Quella del 2015 è stata un’estate non facile per diversi locali italiani, specialmente a Roma. Tra furti, multe e incendi sono state diverse le vicende poco piacevoli, per fortuna tutte superate in maniera più o meno agevole. Tra queste ricordo la brutta avventura vissuta dai ragazzi dell’Hopificio, costretti a chiudere per qualche giorno a causa della decisione completamente arbitraria da parte dell’autorità competente. Premesso che ogni intervento del genere è sacrosanto quando giustificato, il problema è che spesso chi detiene il potere può muoversi con ampi margini di discrezionalità, compiendo delle scelte in modo totalmente soggettivo, anche quando illogiche. E purtroppo è ciò che è accaduto recentemente anche al Punto Birra di Viareggio, vittima di una grave ingiustizia.

Il locale, fratello minore dell’omonimo di Pistoia, ha aperto i battenti a metà 2012, proponendosi come primo beershop della Versilia secondo la moderna formula che prevede un impianto di spillatura ad accompagnare una vasta selezione di birre in bottiglia. In questi 3 anni è tutto filato liscio, finché qualche giorno fa è arrivata la brutta sorpresa: il Comune di Viareggio ha posto i sigilli alle spine, obbligando quindi il titolare Roberto Perruccio a una chiusura forzata di una parte consistente della sua attività.

Il punto è che la decisione sarebbe arrivata in base a un’ordinanza a dir poco grottesca, che non avrebbe alcun valore legale. Le autorità infatti hanno contestato al Punto Birra l’assenza della licenza per l’attività di somministrazione, che invece il locale ha regolarmente ottenuto al momento della propria apertura. Come si spiega allora una decisione del genere? Dietro ci sarebbero le pressioni provenienti dagli interessi di un residente particolarmente persuasivo – purtroppo una piaga con cui molti locali devono combattere – che si aggiungono al margine di discrezionalità di cui godono le autorità in situazioni del genere.

Di fronte a un simile abuso, la mossa di Roberto si è concretizzata in un ricorso al Consiglio di Stato, al quale però il Comune si è opposto obbligandolo a rivolgersi al Tar della Toscana. Si tratta di una procedura piuttosto costosa (4.000 euro) e per questo difficile da attivare al momento. L’idea di Roberto è stata allora di creare un’iniziativa di crowdfunding per raccogliere una parte della somma necessaria (1.000 euro) e presentare ricorso al Tar, con l’obiettivo di vedersi restituite le spine nel giro di 30 giorni.

Come tutte le campagne di crowdfunding, anche quella del Punto Birra prevede diverse promozioni in base alla cifra versata: si va da sconti sulle spine a cene per due persone, da serate di degustazione a interi fusti di birra recapitati a casa. Al momento la raccolta fondi ha quasi raggiunto la metà del suo obiettivo, ma il tempo scorre veloce: entro fine ottobre occorre raggiungere la cifra prefissata altrimenti decadrà la possibilità del ricorso al Tar.

Se volete supportare il Punto Birra in questa battaglia potete visitare il sito creato per l’occasione: Punto Birra contro le forze del male. Lì trovate tutti i dettagli dell’iniziativa e le modalità di versamento della quota di partecipazione, che purtroppo non prevedono il pagamento online (ergo, bisogna andare di persona a Viareggio).

Un grande in bocca al lupo a Roberto e a tutto il Punto Birra, con la speranza che questa spinosa vicenda si concluda al più presto nel migliore dei modi.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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4 Commenti

  1. Ciao ragazzi, vorrei puntualizzare una cosa. Ero il titolare di Birre & Galupperie della provincia di Torino, chiuso a metà agosto. Il locale era nato come beer-shop e poi dopo interminabili 11 mesi di iter burocratici e un notevole dispendio di soldi, è stato trasformato in birroteca con mescita per poter fare degustare birre, formaggi, salumi e altro.
    Io oltre ad avere i requisiti della Camera di Commercio (il vecchio REC) ho dovuto mettere a norma il locale per il Comune e per l’ASL per avere la licenza di somministrazione di tipo 2 (somministrazione di bevande, panini, insalate, taglieri, e qualche piatto scaldato al microonde, senza praticamente poter cucinare).
    Ora, non conosco il caso del Punto e senza voler fare troppa polemica, mi sembra che troppi beershop o tali facciano mescita senza che i locali abbiano i requisiti richiesti. In molte regioni c’è un proliferare di locali che con la scusa di far assaggiare le birre somministrano a destra e a manca bicchieri e bicchieri della nostra bevanda amata. In altre è possibile fare la cosiddetta “somministrazione non assistita”, ma questa obbliga al servizio di soli bicchieri usa e getta e/o mediante auto-servizio del cliente con presa diretta dal frigo ma senza sedie e tavoli, al massimo solo mensole e sgabelli alti.
    Spero comunque che la questione del Punto si risolva nel migliore dei modi, e che altri beershop aprano gli occhi!
    Salute e saluti paolo

    • Roberto Perruccio

      Ciao Paolo. Noi abbiamo una licenza del Luglio 2012 dei commercio e somministrazione non assistita. Non abbiamo tavoli e sedie e usiamo solo bicchieri di plastica sia per le spine che per le bottiglie, come da concessione prevista dalla legge 28/2005 per il commercio della Regione Toscana. Siamo in piena regola. Siamo talmente in regola che l’ordinanza del comune che ci ha bloccato le spine non è nemmeno motivata. E’ un dispetto di gente prepotente e che abusa del proprio potere.

  2. Potrei sbagliare, ma mi pare che il problema sia probabilmente la confusione che la clientela provoca, se tutto è partito dalle “pressioni provenienti dagli interessi di un residente particolarmente persuasivo – purtroppo una piaga con cui molti locali devono combattere – che si aggiungono al margine di discrezionalità di cui godono le autorità in situazioni del genere.” probabilmente la clientela del locale, fuori dal locale faceva un tale casino da non permettere a chi risiede in zona e spesso sopra i locali, della quiete dovuta.

    Se i gestori fossero – come le squadre di calcio per le tifoserie – multati e resi corresponsabili della condotta dei clienti sono sicuro che molti gestori si attiverebbero e non avrebbero “residenti locali” esasperati costretti a ricorrere al Comune competente.

    • Roberto Perruccio

      Ciao Furio. Non mi sembra che se un cane abbia e rompe le palle e mezzo quartiere venga multato il padrone. Noi siamo un locale molto “per bene” e molto tranquillo. Apriamo alle 17 e chiudiamo a mezzanotte. Non facciamo musica i miei clienti, a parte chiacchierare, non fanno niente di anormale.
      L’individuo che ha scatenato tutto questo schifo che ci è piombato addosso vuole semplicemente comprare il fondo dove sono io adesso per farci un garage. Ma se i proprietari non glielo vogliono vendere che colpa ne ho io?

      I residenti NON hanno sempre ragione.

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