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Donald Trump: la birra nella campagna elettorale e nel futuro del nuovo Presidente

La notizia dell’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti d’America ha lasciato sgomenta l’opinione pubblica internazionale. L’ascesa del candidato repubblicano è vista nella migliore delle ipotesi come un’incognita di difficile comprensione, nella peggiore come l’annuncio di un cataclisma che sconquasserà la vita e le abitudini non solo del popolo americano, ma di tutto il mondo. Di fronte a un presupposto simile, mi sembra che poche analisi abbiamo cercato di predire cosa cambierà realmente nella quotidianità di tutti i giorni, forse perché da una parte la campagna elettorale è stata priva di contenuti, dall’altra perché le dichiarazioni più forti sono state ispirate solo da becero populismo. Quindi è difficile capire ciò che da domani attenderà i vari settori economici degli USA, e lo stesso vale anche per quello in crescita della birra craft.

In mancanza di una visione chiara sul futuro della birra craft con Trump presidente, ciò di cui possiamo esser certi è che nella campagna elettorale da poco conclusa la nostra bevanda è stata grande protagonista. Non che la birra non sia stata centrale anche in passato, ma, come spiegato da The Atlantic, mentre prima i candidati si limitavano a brindare in qualche pub locale con un bicchiere di Budweiser, ora invece compiono dei veri e propri tour tra i microbirrifici locali. Una delle foto più virali della campagna ritrae una Hillary Clinton sorridente con in mano la sua pinta di birra scura di fronte alle spine della Pearl Street Brewery. Un’immagine che però non è bastata per farla trionfare – e ti credo, aggiungerei.

In molti ritengono che gli esiti dell’Election Day sarebbero stati diversi se a correre per i democratici non fosse stata la Clinton, ma il suo rivale di partito Bernie Sanders. Non so come la pensate al riguardo, ma considerate che quest’ultimo è stato fotografato mentre teneva orgogliosamente tra le mani una lattina di Heady Topper del birrificio Alchemist, prodotto senz’altro da intenditori. E a proposito di sconfitti alle primarie, il repubblicano Ted Cruz ha pubblicamente espresso la sua predilezione per l’Amber Ale del birrificio Wolf Hollow, proprio mentre ne aveva con sé un growler intero. Il più grande sostenitore della birra craft è però probabilmente il repubblicano John Kasich, che ha ricevuto l’endorsement di uno dei fondatori di Mount Carmel Brewing e coinvolto nella sua campagna i birrifici Lansing, Henniker e Smuttynose.

In realtà un’analisi del 2008 dimostrò come gli stati americani che avevano votato democratico erano quelli col più alto indice di diffusione di birra craft. Come a dire che i territori più conservatori sono anche quelli che hanno meno familiarità con il fenomeno della birra artigianale: un indicatore che dunque non promette bene in vista della presidenza di Donald Trump. Anche perché nella sua visione politica ed esistenziale di miliardario quasi caricaturale, non è difficile credere che possa appoggiare più facilmente i grandi marchi del settore che la comunità dei piccoli produttori, sebbene i primi ormai appartengano a multinazionali straniere.

Non è un caso che tra le tante critiche ricevute (anche) dal mondo della birra artigianale, l’unico sostegno pubblico di un certo spessore è arrivato dal birrificio Yuengling, il più grande produttore tra tutti quelli che rientrano nella definizione “craft” della Brewers Association. Non considerarla una realtà industriale è impossibile, tanto più che fino alla recente revisione dei “paletti” imposti dall’associazione americana, Yuengling era a tutti gli effetti un birrificio non artigianale. Il fatto che l’unico endorsement del settore sia arrivato da un’azienda di questo tipo, la dice lunga sulle simpatie che Trump smuove all’interno del mondo della birra craft.

A conferma di questa tesi, non si contano le iniziative dei birrifici di tutto il mondo destinate a criticare in passato il candidato repubblicano. Dalle quote di Equity for Punks regalate da Brewdog alle dichiarazioni pubbliche di tanti protagonisti della scena craft, fino alle birre create appositamente per ridicolizzarlo: cito ad esempio la Chinga tu pelo di 5 Rabbir Cervezeria, la Dumb Donald di Spiteful o ancora la Friends Don’t Let Friends Vote Drumpf di Dock Street. Che siano state pure mosse commerciali o idee nate da una reale avversità contro Trump, c’è da chiedersi se il segreto della vittoria del candidato repubblicano non sia da ricercare proprio in questa ostentata (e spesso non richiesta) antipatia globale.

Qualsiasi sia la ragione di una vittoria sorprendente, per gli Stati Uniti e per il resto del mondo si apre una nuova era. E lo stesso vale per il settore della birra artigianale.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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