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AB Inbev acquista anche Boxing Cat (Cina): la nuova strategia dell’industria inizia a preoccupare

Chi pensava che dopo le tante acquisizioni negli Stati Uniti lo shopping delle multinazionali nel comparto della birra artigianale si sarebbe arrestato, oggi deve ricredersi. Non solo le acquisizioni hanno iniziato a espandersi verso altre nazioni, ma stanno sempre più assumendo la forma di un fenomeno isterico e lontano da una logica evidente. All’inizio tali manovre erano atte ad assorbire grandi produttori craft, con una struttura solida, un’imponente produzione annuale e una rete commerciale ampiamente sviluppata. Microbi in confronto all’industria, ma comunque abbastanza evoluti da giustificarne l’acquisizione. In tempi recenti però le multinazionali – e in particolare la più grande in assoluto, AB Inbev – hanno cominciato a puntare realtà molto più acerbe, mettendo in atto, se vogliamo, strategie ancora più aggressive. L’ultimo caso arriva addirittura dalla Cina e riguarda il birrificio Boxing Cat.

Come riportato da City Weekend, l’importante produttore di Shanghai è stato acquistato da AB Inbev, o meglio dalla sussidiaria ZX Ventures che già avevamo incrociato qualche giorno fa nelle notizie provenienti dalla Spagna. Non è la prima manovra messa in atto dal gigante birrario in terra cinese: a inizio marzo fu annunciata l’apertura, sempre a Shanghai, di una filiale di Goose Island – altro birrificio ex craft acquistato in passato dal colosso belga – mentre ancora prima AB Inbev aveva ottenuto il controllo di Kaiba Craft, marchio di bar specializzati in birre del Belgio. Nonostante si tratti quindi di un processo già in atto, l’acquisizione di Boxing Cat è per certi versi clamorosa e assume contorni inquietanti.

Il movimento della birra artigianale in Cina è talmente piccolo che definirlo in fase embrionale è un eufemismo. Come ebbi modo di raccontarvi tempo addietro, i birrifici craft sono pochissimi, quasi sempre nati per iniziativa di immigrati provenienti da Stati Uniti o Europa e lontani dalle abitudini della popolazione: i consumatori sono spesso stranieri e i prezzi cinque o sei volte superiori a quelli della birra industriale. I produttori artigianali rappresentano casi isolati ed è difficile parlare di un vero e proprio movimento locale della birra craft, sebbene la Cina rappresenti il più grande bacino per i consumi mondiali di birra. In questo contesto deludente – che si riflette anche sulla qualità delle produzioni – Boxing Cat rappresenta(va) un’oasi felice: impostazione molto “occidentale” e di gran lunga le migliori birre artigianali che ho avuto modo di assaggiare in Cina.

Nonostante questi aspetti positivi, spiegare l’acquisizione di Boxing Cat da parte di AB Inbev non è facile. Qui non stiamo parlando di un grande birrificio craft ben consolidato all’interno di un movimento maturo e ricco – come poteva essere, appunto, Goose Island. Qui siamo al cospetto di un discreto produttore che opera all’interno di una scena che praticamente non esiste. Considerando il contesto, le potenzialità di sviluppo di Boxing Cat sono inimmaginabili, ma difficilmente era prevedibile un serio interesse da parte delle multinazionali in questa fase di crescita, ancora decisamente primordiale. Ma evidentemente le strategie dell’industria sono cambiate rispetto al passato e ora la parola d’ordine è attaccare qualsiasi mercato appaia minimamente interessante.

A ben vedere la notizia di Boxing Cat non fa altro che confermare questa ipotesi, di cui avevamo trovato indizi negli ultimi mesi. Un primo campanello di allarme arrivò a fine 2015, con l’acquisizione del londinese Camden Town, tra i capofila della new wave londinese della birra craft. Un birrificio che all’epoca produceva 50.000 hl annui e si muoveva in un habitat decisamente evoluto: aspetti non certo secondari, ma comunque lontani da quelli di alcune realtà americane passate in precedenza sotto il controllo delle multinazionali. La situazione divenne ancor più evidente con l’accordo tra Duvel e ‘t Ij, produttore di Amsterdam dalle dimensioni piuttosto modeste. All’epoca predissi che quella partnership avrebbe reso più concreta l’ipotesi di una futura acquisizione in Italia: passarono pochi mesi e Birra del Borgo passò totalmente nelle mani di AB Inbev. Il colosso aveva così deciso di fare compere in un mercato che con appena 20 anni sulle spalle e ben lontano da una fase di piena maturità.

Ma la presunta incongruenza di certe scelte è diventata ancora più evidente nelle ultime settimane, con le notizie provenienti dalla Spagna. In un movimento ancora più acerbo del nostro l’industria ha già messo a segno due colpi: AB Inbev ha acquistato La Virgen, mentre quasi contemporaneamente Molson Coors ha stipulato un accordo strategico con La Sagra. Per chi non l’avesse capito stanno saltando le regole del gioco: i colossi della birra non attendono più il completo fiorire di un movimento, ma lo invadono con sempre maggiore anticipo. Il caso Boxing Cat è emblematico perché AB Inbev si sta lanciando in una nicchia dalle dimensioni risibili, assolutamente stridenti rispetto a quelle della stessa multinazionale. Avete presente la metafora del gigante che neanche si preoccupa delle mosche che gli ronzano intorno? Beh, direi che è abbondantemente superata.

Le nuove strategie messe in campo dal’industria sono ancora più preoccupanti delle precedenti. Questa invasione apparentemente priva di logica rischia di devastare totalmente certi mercati. Un conto è entrare con la propria potenza economica in ambienti largamente evoluti e consolidati, un conto è finanziare marchi con risorse praticamente infinite in un segmento in fase embrionale. Nel secondo caso i vantaggi che ottiene il birrificio assorbito dalla multinazionale è impressionante e gli permette di distanziare in maniera decisiva i competitor. Pensiamo ad esempio all’Italia, dove non esiste ancora una distribuzione capillare della birra artigianale: un marchio con alle spalle la potenza di AB Inbev può occupare agevolmente tutti gli spazi rimasti liberi, ritrovandosi teoricamente ad agire in un regime di quasi monopolio. Lo stesso chiaramente vale per tutti i mercati con caratteristiche analoghe, come la Spagna, la Cina e via discorrendo.

Ragazzi miei, la situazione è sempre più preoccupante. In passato spesso accadeva che un birrificio craft cresceva negli anni, aumentava al sua produzione e la sua diffusione sul mercato di riferimento fino a perdere i suoi connotati originari. Cominciava a essere percepito come semi-industriale, pur mantenendosi completamente autonomo. Poi arrivava la multinazionale di turno e l’assorbiva, ma il processo veniva percepito come piuttosto lineare, senza che la mossa finale apparisse particolarmente clamorosa. Ora invece le acquisizioni riguardano birrifici con neanche 10 anni sulle spalle, operanti in scene brassicole giovanissime. È chiaro dunque che tra le tante conseguenze ci sia anche molta confusione, come dimostrano queste riflessioni del birraio di Great Leap (altro produttore cinese) riportate recentemente da Manuele Colonna su Analfabeti della Birra. Ma probabilmente è anche a questo che punta l’industria: confondere e disorientare il consumatore, fino a fargli perdere le convinzioni che aveva acquisito in anni di bevute.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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Un commento

  1. L’intervento con largo anticipo è giustificato proprio dalle notevoli potenzialità numeriche che il mercato cinese è in grado di offrire. L’acquisizione è singolare e diversa da tutte le altre, ma ha una sua logica.
    Sarò impopolare, ma mi piace l’idea che i birrai italiani se la stiano facendo un po’ addosso e che ciò li induca a riflettere seriamente su un miglioramento delle loro birre e su un abbassamento dei prezzi.

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