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“Tutto può succedere” denigra la birra artigianale, Unionbirrai interviene

Quando a inizio aprile Unionbirrai annunciò la sua rivoluzione interna, con il passaggio ad associazione di categoria e a una gestione di carattere manageriale, molti auspicarono che potesse finalmente rivestire il ruolo di punto di riferimento per tutto il movimento. In particolare ci si augurò che fornisse un contributo importante per arginare l’offensiva della birra industriale all’interno del comparto craft, problema in forte ascesa anche in Italia. Un primo segnale arrivò a stretto giro, con un comunicato a favore dell’unità nel settore e soprattutto contro le adesioni dei microbirrifici associati alle iniziative dell’industria – con chiaro riferimento al Birra del Borgo Day, tenutosi proprio in questi giorni. E oggi, esattamente un mese dopo quella dichiarazione, è arrivato un nuovo comunicato atto a tutelare l’immagine della birra artigianale sui mass media nazionali. Per quale motivo? Eccolo spiegato.

Cominciamo dall’antefatto. Tutto può succedere è il nome di una fiction in onda in prima serata su Rai 1 due volta a settimana. È una trasmissione di grande successo, seguita da quasi 4 milioni di spettatori per uno share superiore al 17%. Ebbene, nella puntata andata in onda il primo giugno si è assistito a una scena pesantemente denigratoria nei confronti della birra artigianale, senza un apparente motivo. I due protagonisti – impersonati dagli attori Pietro Sermonti e Alessandro Tiberi – sono al bancone del loro locale e stanno assaggiando una birra di un marchio non riconoscibile vendutagli da un certo Loris, evidentemente rappresentante per una società di distribuzione. Ecco come si svolge la conversazione (visibile qui dal minuto 18,57):

Assaggia bene per favore, dimmi se è potabile questa bevanda.

Fa schifo.

Fa schifo, eh.

Cazzo però, mo gli ho promesso un bell’ordine a Loris… Come facciamo?

Ma tu prima come facevi con Loris?

Prima c’aveva tutte birre normali, quelle che si trovano… Poi s’è buttato sulle birre artigianali… Vatte a fida’.

Vatti a fidare soprattutto se non le assaggi. Siccome tu dovresti assaggiarle, ti vorrei ricordare questo.

Me l’ha venduta come la birra del secolo, oh.

Un altro paio di battute di questo tenore e poi, tac, cambio scena. La conversazione, completamente inutile ai fini della trama, non è passata inosservata ai tanti appassionati di birra. Probabilmente solo a loro (noi), perché il telespettatore medio l’avrà registrata senza ulteriori riflessioni. Ma ciò non gli avrà impedito di metabolizzare il messaggio che la scena trasmette: la birra artigianale fa schifo. Perché è strana, perché non è come quelle che si trovano in giro, perché va assaggiata per essere valutata. Mica come quelle dei marchi dell’industria: quelle le conosciamo tutti, sappiamo già cosa aspettarci – purtroppo, aggiungerei.

Comunque l’episodio sarebbe finito in archivio così, con un paio di condivisioni sui social tematici, se oggi Unionbirrai non se ne fosse uscita con un comunicato stampa redatto appositamente. Che nel dettaglio recita così:

Il giorno 1 giugno, su RAI 1, alle 21.25, è andata in onda la fiction “Tutto può succedere”. Succede, in effetti, di tutto. All’interno del programma si assiste ad una denigrazione della birra artigianale che questo Direttivo non può non stigmatizzare.

Nel botta e risposta tra due protagonisti – solo per fare un esempio “assaggia e dimmi se è potabile questa bevanda”, “fa schifo”-, vi si riconosce l’esplicito intento degli autori, in modo peraltro chiaramente decontestualizzato dalla trama, di far passare il messaggio per cui birra artigianale equivale a birra di  scarsa qualità. Stante la diffusione nazionale del format televisivo (Share 18%, 4 milioni di spettatori), nonché la sua popolarità, pare ancora più evidente la volontà di gettare discredito su un prodotto che ad oggi rappresenta una delle eccellenze nell’ambito agroalimentare italiano, proprio per la selezione di ingredienti naturali di alta qualità e per il particolare processo produttivo che mira ad esaltarne il gusto ed il pregio organolettico.

La birra artigianale, che questa associazione di categoria tutela e diffonde da anni a livello nazionale e internazionale, rappresentando un punto di riferimento con 200 aziende associate, conta oltre 1000 etichette italiane ed impiega 2000 persone, che arrivano a toccare quota 4000 con l’indotto. Non solo. Il prodotto artigianale non si propone al consumatore con i medesimi standard seriali delle multinazionali. Per questo motivo la birra artigianale ha ricevuto adeguato riconoscimento anche dalla legge italiana che nel 2016 ne ha definito, tutelandolo, il metodo produttivo. L’aver inserito in una fiction di successo frasi quali quelle che abbiamo ascoltato e riportato testualmente, significa procurare un danno alle centinaia di piccoli produttori indipendenti di birra artigianale che, non senza difficoltà, si muovono per portare valore in ambito brassicolo.

Quanto avvenuto è per noi inqualificabile ed integra quegli estremi di gravità per il quale Unionbirrai si riserva il diritto di agire per via legale.

Ma ha senso pubblicare un comunicato stampa per stigmatizzare trenta secondi di una trasmissione televisiva, per quanto seguita? Per me sì, ha senso. Ha senso perché in questo preciso momento storico non bisogna abbassare la guardia, perché bisogna evitare che la birra artigianale passi come una moda eccentrica priva di qualsiasi valore, anche il più basilare. È vero, ci sono tanti birrifici italiani che lavorano male e fanno prodotti schifosi. E allora? Allora è giusto fare di tutta l’erba un fascio? È giusto arrivare al paradosso di sostenere la superiorità intrinseca dei prodotti delle multinazionali? Perché, fate attenzione, ciò che la scena incriminata dice è proprio questo: che la birra artigianale – tutta la birra artigianale, senza alcuna distinzione – fa schifo. Che Loris è un imbecille perché invece di continuare a trattare i marchi “che si trovano in giro”, è passato ai prodotti dei microbirrifici.

Al di là del merito della questione, mi piace comunque sottolineare questo approccio “interventista” di Unionbirrai. Per 20 anni l’associazione è stata tacciata di rimanere passiva, di non agire per tutelare gli interessi dei microbirrifici, di limitarsi a sopravvivere. Il cambio di rotta mi sembra evidente e la strada intrapresa, al di là del singolo avvenimento, sembra effettivamente quella di un organismo gestito con un approccio di alto livello. È importante che accanto a comunicati stampa e dichiarazioni ufficiali ora si attivino strategie concrete per tutelare la birra artigianale italiana, sia in contrapposizione all’arroganza dell’industria, sia nei confronti di chi si permette di dipingere l’intero settore come uno scherzo della natura. A questo punto sono ancora più curioso di partecipare al seminario che Unionbirrai terrà a Fermentazioni sabato pomeriggio. Credo che ne sentiremo delle belle.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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3 Commenti

  1. Purtroppo i messaggi più o meno subliminali sono tenuti in gran conto per veicolare adeguatamente le scelte, in questo caso, degli ascoltatori.
    Uninionbirrai ha fatto benissimo ad intervenire !!!!!!

  2. Tra l’altro, i due “protagonisti” bevono a canna (!) una “MARPHY’S” in vetro verde (!!) palesemente microfiltrata (!!!), proprio lo stigma della birra artigianale…

  3. Cito di nuovo la massima di Henry Ford. “Non cercare difetti, cerca rimedi. A lamentarsi son capaci tutti”.

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