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Breaking news: Molson Coors acquista il 100% di Birradamare

Avanti un altro. Alla calda estate 2017, destinata a riscrivere la geografia della birra artigianale in Italia, dobbiamo aggiungere un ulteriore tassello. È praticamente ufficiale infatti la notizia della cessione totale del birrificio Birradamare al colosso Molson Coors, una delle più grandi multinazionali del settore. L’operazione dovrebbe essere confermata a breve dagli stessi interessati e riguarda il 100% delle quote dell’azienda laziale, che dunque passerà totalmente in mano all’industria nordamericana. Inutile specificare che il movimento artigianale italiano perde un altro pezzo importante.

Il birrificio Birradamare nacque nel 2004 a Fiumicino, sul litorale romano, dall’esperienza acquisita dai due fondatori Elio Miceli e Massimo Salvatori con il BOA, storico brewpub situato tuttora sul lungomare di Ostia. L’azienda divenne celebre in zona e in tutta l’area capitolina grazie al brand ‘Na Biretta, affiancato da quello del birrificio stesso e dal marchio Birra Roma, poi esportati in tutto il mondo. Uno dei punti di forza di Birradamare è stata sempre la distribuzione capillare dei suoi prodotti, non limitata solo a pub o birrerie “illuminate”, ma anche all’horeca e alla gdo. Nel 2012 è diventato birrificio agricolo in base ai criteri stabiliti dal decreto ministeriale 212/2010. Ultima data importante nella sua storia è ovviamente quella del 2017, con l’acquisizione da parte di Molson Coors.

Ancora non sono stati svelati i dettagli dell’accordo, ma a minuti dovrebbe essere diramato un comunicato ufficiale di cui vi darò notizia. Al momento non ci resta che incassare il colpo e registrare l’ennesima evoluzione di questo tipo. Il movimento italiano della birra artigianale sta perdendo protagonisti a una velocità inquietante: dopo il caso Birra del Borgo erano ipotizzabili altre operazioni del genere, ma dubito che qualcuno avesse immaginato che sarebbero avvenute così velocemente e in numero così copioso. Prima AB Inbev, poi Duvel e ora Molson Coors: le industrie si stanno spartendo il comparto nazionale e chissà che non arrivino altre notizie prima delle vacanze estive. A ogni modo la nuova stagione si aprirà con un panorama birrario italiano profondamente modificato.

Aggiornamento delle ore 15:40

Come previsto, Birradamare ha appena ufficializzato la notizia con un post sulla sua pagina Facebook, che recita come segue:

Molson Coors e Birradamare sono lieti di annunciare che ieri pomeriggio l’azienda Birradamare è entrata a pieno titolo a far parte della famiglia Molson Coors. Birradamare è un piccolo birrificio artigianale basato a Fiumicino, appena fuori Roma, che produce ,tra gli altri i marchi “na Biretta” e “Birra Roma”.
Molson Coors e Birradamare hanno lo scopo di costruire un ampio e vario portafoglio di birre per assicurarsi che i consumatori possano godere di una birra BBona per ogni occasione . Siamo molto contenti di avere questa opportunità di lavorare insieme per continuare a crescere e sviluppare l’azienda Birradamare , i suoi marchi ed i suoi princìpi.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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13 Commenti

  1. anche questo non è caduto male…
    speriamo ci mandino Cossi..

  2. Michele, ma quanto vi fa’ rosicare Analfabeti?! ANALFABETIPERILSOCIALE & ANALFABETIPERUNPODICULTURATECNICA.

    Feltri, ne’ io ne’ Cossi sapevamo nulla, c’abbiamo altro da fare.

    • Ti assicuro che non c’è alcun motivo per cui io debba rosicare. Rilassati, era solo una battuta.
      P.S. “Fa” non richiede l’uso di accento o apostrofo… ANALFABETIDELLALINGUAITALIANA

  3. Scusa Andrea, perché non è stato pubblicato il mio commento di ieri? Grazie.

  4. Io mi riferivo a quello su Molson/Birradamare

  5. Provocazione voluta: discorsi sulla trasparenza (vedi Ducato) a parte, come mai ci si accanisce sulle cessioni/comproprietà/partnership nostrane ma, nel contempo, si riesce ad incensare (giustamente) chi, all’estero, ha fatto la stessa scelta? E non una, ma due volte? Sto riferendomi al mai troppo compianto Pierre Celis che, se non vado errato, dopo aver ceduto Hoegaarden cedette anche Celis a Miller…Non è la stessa cosa? Tempi diversi?

    • Chi è che ha incensato quelle scelte di Celis? Semmai è incensata la sua figura e la sua passione per le tradizioni brassicole dei suoi luoghi, senza le quali oggi non avremmo le Blanche

      • Scusa Andrea, da utente poco avvezzo al commento mi sono spiegato male: primo, la provocazione non è rivolta a te o a qualcuno in particolare ma al movimento che, a mio parere, prende un po’ troppo sul serio, in maniera fortemente ideologica, quello che in fondo in fondo è una bevanda con il solo compito di darci un po’ di piacere. Succede in tutte le nicchie, fa parte del gioco, ma da consumatore e appassionato è spesso sgradevole veder spostato il discorso dalla qualità ad altri aspetti, quasi sempre non avendo gli elementi per giudicare delle scelte fatte con logiche oscure alla maggioranza di chi la birra la compera e la beve. La scelta è sempre del consumatore, così come lo è dell’elettore, e come sono convinto che il luogo più corretto per fare delle scelte politiche sia l’urna, altrettanto sono convinto che il momento in cui si deve fare la critica sia quando si estrae il portafoglio.
        Detto questo, per tornare sulla provocazione, è ovvio, come dici tu, che un conto è incensare la persona ed un altro è criticarne o non apprezzarne alcune sfaccettature, ma mi sembra che questo discorso funzioni su distanze spazio-tempo un po’ più lunghe (vedi Celis, che quando molti di noi hanno bevuto la prima Wit era già in Texas da un pezzo) mentre funzioni meno bene per chi lavora qui ed ora (10 e passa anni di bevute eccellenti dimenticate in un lampo, e non distinguendo affatto tra la “passione” e le scelte).

        • Marco se si parla di aspetti aziendali, chiamiamoli così, è perché c’è una legge sulla birra artigianale che li mette – piaccia o no – al pari di altri criteri. Non ho mai parlato di qualità, anche perché quando lo faccio per operazioni del genere preciso sempre che probabilmente la qualità nel breve e medio termine è destinata ad aumentare, non a diminuire. È giusto che la scelta finale sia nelle mani del consumatore, ma è anche giusto che egli possa decidere in maniera corretta e trasparente. Che significa sapere non solo se la birra è buona, ma anche se è prodotta da un birrificio realmente artigianale o da un marchio controllato da una multinazionale. È importante, tanto più che – ripeto – è la legge stessa a dare risalto a questo aspetto.

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