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Ganesh in etichetta: la comunità induista si scaglia contro il Birrificio Pontino

Talvolta succede che le etichette di birra diventino oggetto di vere e proprie crisi diplomatiche. Può accadere perché non di rado i temi trattati dai birrifici con i loro prodotti sono in grado di toccare la sensibilità collettiva, come abbiamo visto in passato per le illustrazioni legate a richiami sessuali o a questioni politiche. Il terzo argomento capace di smuovere le coscienze delle persone è la religione, che curiosamente finisce sulle etichette più volte di quanto si pensi. Quasi sempre senza un scopo malizioso: utilizzare elementi propri di culture lontane dalla nostra può sembrare del tutto naturale, tranne appunto per chi poggia quotidianamente le proprie credenze su certi concetti. E negli ultimi tempi le etichette dei microbirrifici italiani sembrano essere diventate oggetto di critica da parte della comunità induista, o almeno di una parte di essa.

Il primo caso risale a inizio 2018, quando Rajan Zed, presidente della Società universale dell’Induismo, si scagliò contro la English IPA del calabrese Birrificio Baffo. Il motivo è presto detto: la birra presenta richiami espliciti a Ganesh, sia perché battezzata con lo stesso nome, sia perché raffigura in etichetta la divinità con la testa di elefante. Il religioso all’epoca definì la scelta dell’azienda italiana decisamente irrispettosa, perché offensiva nei confronti dei devoti Hindu. Chiaramente da parte del Birrificio Baffo non c’era alcuna volontà di insultare i fedeli di un’altra religione, ma semplicemente di omaggiare il paese simbolo delle India Pale Ale. Ma, come accennato in apertura, la percezione di un’illustrazione può essere molto diversa da cultura a cultura.

Negli scorsi giorni si è ripetuta la stessa vicenda, ma con attori leggermente diversi. L’accusatore è sempre lo stesso Rajan Zed, mentre l’azienda coinvolta questa volta è il Birrificio Pontino, reo di aver lanciato sul mercato (ormai quasi quattro anni fa) una birra chiamata Sons of Shiva. Oltre al nome collegato alla divinità post-vedica, la birra riporta in etichetta un’illustrazione di Ganesh con una bottiglia in mano – per la verità neanche troppo visibile – e una pianta di luppolo. L’idea dei ragazzi di Latina era di comunicare il piacere quasi ascetico che questa Harvest Ale è in grado di regalare, concetto spiegato anche attraverso la citazione che compare in etichetta tratta da Gautama Buddha: “Viviamo dunque felici, noi che non possediamo nulla: nutrendoci della gioia come i risplendenti dèi”.

Rajan Zed ha però criticato aspramente l’etichetta, definendola decisamente inappropriata:

Collegare una divinità Hindu con una bevanda alcolica è una pratica veramente irrispettosa. Lord Shiva e Lord Ganesha sono molto venerati nell’Induismo e dovrebbero essere adorati nei tempi e nei santuari casalinghi e non certo essere usati con avidità commerciale per vendere birra.

Il religioso ha inoltre chiesto pubbliche scuse da parte del Birrificio Pontino e il ritiro immediato della birra dal mercato.

Come spiegato dall’associazione National Secular Society, Rajan Zed non è nuovo a uscite del genere e non solo nel campo birrario – basti pensare che in diverse occasioni ha persino chiamato in causa i videogiochi. Ciononostante è interessante rilevare come vicende simili siano quasi all’ordine del giorno nel settore brassicolo: tra le birre controverse è impossibile non citare ad esempio la Malus Pater di Beer Here (birrificio sempre sopra le righe da questo punto di vista) e la Tjeeses di Struise (con un Gesù ubriaco in etichetta), o ancora la Indica IPA di Lost Coast, la Sweet Baby Jesus di Duclaw Brewing, la Gandhi-Bot di New England Brewing e la Ginger Beer di Brookvale Union.

In tutti i casi citati le religioni coinvolte sono il Cristianesimo e l’Induismo, tuttavia con modalità differenti. Nel primo caso si riscontra sempre un tentativo satirico, se non addirittura esplicitamente blasfemo (come nel caso di Beer Here); nel secondo caso invece non c’è quasi mai alcun apparente scopo secondario, se non quello di rappresentare un simbolo della cultura induista. Dunque quando a essere chiamata in causa è una religione più vicina alla realtà occidentale – in questo caso il Cristianesimo – il birrificio di turno sembra essere ben consapevole delle conseguenze che deriveranno della sua scelta, quando invece il soggetto dell’etichetta è un elemento lontano dalla nostra quotidianità, il suo uso viene ingenuamente percepito come normale.

Tornando alla questione relativa al Birrificio Pontino, c’è da registrare anche la posizione della National Secular Society, che lotta per la separazione della sfera religiosa da quella laica, promuovendo un uguale rispetto per i diritti di ogni essere umano in un contesto di rispetto per le credenze personali. Queste le parole del portavoce Chris Sloggett:

Zed è autorizzato a offendersi se lo desidera, ma le sue richieste dovrebbero essere respinte in modo deciso. La vicenda ci ricorda ancora una volta che lasciare spazio alla libertà di parola incoraggia una cultura competitiva che erode i confini della sfera privata. Le aziende dovrebbero respingere le azioni di bullismo che i gruppi religiosi stanno impiegando per far rispettare i codici di blasfemia, comprese le richieste che superano i confini nazionali. […] Se si arrendono incoraggeranno ulteriori richieste atte a controllare il diritto alla libera espressione dei singoli e delle imprese private, comprese loro stesse.

Insomma, entrambe sembrano prese di posizione eccessivamente radicali e forse un minimo di ragionevolezza basterebbe per mettere tutti d’accordo. Anche – ahimè – quando si parla di etichette di birra.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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Un commento

  1. Non riesco a vedere come radicale la posizione di Chris Sloggett. Si tratta invece di doverosamente ribadire il diritto alla libertà di espressione che è la base della nostra civiltà.
    Purtroppo i leader religiosi cercano di esercitare il proprio potere anche attraverso richieste di “rispetto” che sono invece mancanze di rispetto per la laicità dello stato. Un conto sarebbe entrare in un tempio induista a vendere birre, un conto è non avere il diritto di disegnare Gesù o Buddha su un’etichetta.
    Si chiama oscurantismo.

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