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Il futuro del mercato della birra? La marijuana

Cosa hanno in comune la birra e la cannabis? In realtà non pochi aspetti. Innanzitutto – e questo è ovvio – contengono entrambe sostanze psicotrope, capaci cioè di agire sulle funzioni psichiche dell’individuo. Non tutti sanno poi che il luppolo, uno degli ingredienti base della birra, appartiene proprio alla famiglia delle Cannabacee: una parentela poco conosciuta, ma che talvolta si rivela persino a livello aromatico. C’è infine un terzo legame di origine prettamente commerciale, che sta emergendo negli ultimi tempi e che potrebbe influenzare il futuro del mercato della birra. Con la crescente apertura degli stati mondiali nei confronti dell’uso ricreativo della marijuana, infatti, diversi colossi birrari stanno guardando a questa pianta per lanciare nuovi prodotti sul mercato, con l’intento di attrarre la fascia più giovane di consumatori.

Il fenomeno appena delineato è piuttosto curioso, eppure sta crescendo in maniera impressionante. Prova ne sono le manovre compiute recentemente dalle maggiori multinazionali del settore per bruciare sul tempo i competitor e acquisire una posizione dominante su un segmento di mercato ancora pressoché virtuale. Ed è clamorosa la frequenza con cui si sono succeduti i relativi comunicati nelle settimane appena passate. Lo scorso primo agosto, ad esempio, Molson Coors ha dichiarato di aver raggiunto un accordo con Hydropothecary, azienda canadese specializzata nella realizzazione di prodotti a base di cannabis, al fine di sviluppare una bevanda con infuso di marijuana. Una mossa strategica in previsione della liberalizzazione della sostanza, che il governo Trudeau ha in programma entro la fine dell’anno.

Un paio di settimane dopo è arrivata la notizia che Constellation Brands, la multinazionale proprietaria, tra gli altri, del marchio Corona, ha investito 4 miliardi di dollari per ottenere il 38% delle quote di Canopy Growth, società dedicata alla coltivazione della canapa e alla produzione di suoi derivati. Un’operazione che aveva avuto il suo antipasto circa un anno fa – nell’ottobre 2017 Constallation Brands acquistò il 9,9% delle quote – e che permetterà alla multinazionale americana di aumentare sensibilmente il suo controllo all’interno dell’azienda, grazie anche a un’opzione con la quale superare il 50% delle quote. L’obiettivo? Anche in questo caso sviluppare una bevanda alla marijuana, con cui sbarcare inizialmente sul mercato canadese e poi, se i tempi saranno maturi, anche su quello americano.

La notizia per noi più interessante era però arrivata a fine giugno, quando Heineken aveva annunciato il lancio di Hi-Fi Hops, prodotto appartenente al filone delle bevande alla marjuana. Nonostante il nome appaia perfetto per una birra, si tratta di acqua frizzante “luppolata” – letteralmente “hoppy sparkling water” – realizzata con cannabis in infusione. La particolarità è che la Hi-Fi Hops è commercializzata a marchio Lagunitas, cioè uno dei più importanti (ex) birrifici craft della California, passato in tempi relativamente recenti sotto il controllo della multinazionale olandese. Quindi ci ritroviamo con un ex produttore di birra artigianale che realizza acqua frizzante luppolata con il nome di una birra e l’aggiunta di THC. Prodigi delle acquisizioni dell’industria.

Ciò che colpisce è come queste notizie si siano avvicendate in così poco tempo e come in tutti i casi non si parli di birra. Nelle fattispecie siamo infatti al cospetto di bevande analcoliche, rese però più “interessanti” dalla presenza del THC. Non ho trovato spiegazioni sul perché di questa scelta, ma probabilmente la risposta giusta è quella più palese: meglio evitare di proporre sul mercato prodotti che uniscano gli effetti dell’alcol a quelli della marijuana. All’elenco segnalato in precedenza occorre aggiungere anche la birra analcolica della canadese Province Brands, che al contrario delle concorrenti non è realizzata tramite infuso di cannabis, ma con l’impiego diretto della pianta.

Come ricorda Business Insider, in tutti questi esperimenti c’è il tentativo di recuperare terreno tra i Millennials, un target di mercato che l’industria della birra dimostra di soffrire da anni. E potrebbe riuscirci proprio grazie a prodotti che permettono di “sballarsi” – per usare un’espressione tanto cara ad alcuni canali d’informazione – senza incorrere negli effetti nocivi che ha l’alcol sul nostro organismo.

Al di là del caso Lagunitas, questo fenomeno difficilmente avrà ripercussioni sul mercato internazionale della birra artigianale (o pseudo tale). Anche perché le birre alla cannabis, ma prive di THC, sono presenti sul mercato craft da anni. In Italia uno dei primi esempi è stata la Canapa, una Pils realizzata con l’omonima pianta dal birrificio friulano Sauris (Zahre Beer), a cui sono seguite negli anni la H&H di Birra 1789, il Lotto 16 della T.S.O. di Casa di Cura, l’Amnesia Lemon di Tibur (anche con pompelmo e coriandolo), la Canatrap del Birrificio Guarnera e le tantissime realizzate appositamente per i rivenditori di prodotti alla cannabis. All’estero si è segnalata negli ultimi anni la spagnola Cannabeer, che ha ottenuto un discreto seguito di pubblico.

Sconfessando quanto affermato all’inizio, scopriamo dunque che l’incontro tra birra e marijuana è tale solo sulla carta. Sta sì coinvolgendo i maggiori player brassicoli a livello mondiale, ma con prodotti che nulla hanno in comune con la nostra amata bevanda. Curioso che a spingere in questa direzione sia chi possiede in realtà un core business completamente diverso: l’ennesimo sintomo della difficoltà che sta mostrando l’industria birraria in un contesto trasformatosi radicalmente in pochissimo tempo.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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Un commento

  1. Dipenderà come sempre dalla qualità… ho assaggiato due birre alla canapa, ed una era veramente ben fatta.
    Lasciando stare la spinta commerciale che comunque c’è, quanti negozi con prodotti di canapa sono nati in Italia negli ultimi anni, sicuramente può diventare un prodotto interessante, mi ripeto, dipenderà dalla qualità.

    Parlando con chi ha negozi dedicati alla canapa, c’è chi mi ha detto che per fare un prodotto buono bisogna spendere abbastanza in canapa, chi invece mi ha detto di no, e sono gli epserti del settore, bho vedremo!!!!!

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