Cimec

Gli effetti quotidiani del riscaldamento globale: anche la birra è a rischio

Tra le attività necessarie a mantenere costantemente aggiornato questo sito c’è la lettura della rassegna stampa birraria, che ogni giorno occupa diversi minuti delle mie mattinate. Le notizie davvero interessanti sono rare e spesso bisogna farsi strada tra articoli pieni di errori, fatti di cronaca ricorrenti (“Barista aggredito da ubriaco per essersi rifiutato di servire l’ennesima birra”) e pezzi ampiamente trascurabili. Capita a volte che una notizia bollata come marginale acquisti però visibilità sulle testate generaliste: può a quel punto innestarsi una serie di condivisioni che porta la vicenda a occupare le prime pagine di tutti i giornali. È accaduto recentemente con la pessimistica previsione del futuro del mercato brassicolo, destinato a essere pesantemente penalizzato dai cambiamenti climatici in corso. Un vero e proprio grido d’allarme, che ormai non possiamo più ignorare e che vale la pena approfondire per capirne meglio tutti gli aspetti.

Le preoccupazioni per l’evoluzione della nostra amata bevanda arriva dall’analisi nata dalla collaborazione tra un gruppo di studio dell’Università di Pechino, guidato da Wei Xie, e un gruppo dell’Università della California, capeggiato da Steven Davis. La ricerca ha elaborato cinque diversi modelli climatici futuri, che hanno indagato l’impatto sulle coltivazioni di orzo: il risultato è che, in base alla gravità dello scenario, le coltivazioni del cereale potrebbero diminuire dal 3% al 17%. Inutile sottolineare che questi cambiamenti avrebbero ripercussioni dirette sulla produzione brassicola, con gravi conseguenze sulla disponibilità e il prezzo della bevanda.

Le proiezioni si sono spinte a calcolare tali conseguenze per alcuni paesi mondiali. In Irlanda, ad esempio, il prezzo della birra potrebbe aumentare tra il 43% e il 338% entro il 2099. Nello stesso periodo in Argentina la produzione sarebbe destinata a ridursi del 32%, pari a 530 milioni di litri. A livello globale i consumi potrebbero scendere del 4% – sebbene siano in contrazione ormai da anni – e i prezzi salire del 15%. Una riduzione del 16% nella produzione di orzo equivarrebbe a 29 miliardi di litri di birra in meno, cioè una quantità analoga a tutta quella consumata negli Stati Uniti nel corso di un anno.

Da profano, l’impressione è che i dati, sebbene preoccupanti, potrebbero avere un impatto relativo sul mercato mondiale della birra. Prima del riscaldamento globale ci sono altri fenomeni a minacciare il futuro del settore: la costante riduzione dei consumi, la crisi di alcune roccaforti storiche per la bevanda (in primis la Germania), il cambio nelle abitudini dei consumatori, ecc. Verificando anche come si è sviluppata la notizia nei canali mainstream, credo che l’allarme relativo alla birra sia stato un modo per attirare l’attenzione su un tema molto delicato, di cui difficilmente si avvertono le possibili conseguenze nella vita di tutti i giorni. Lo studio ha allora il merito di far capire che gli effetti dei cambiamenti climatici possono influenzare pesantemente le abitudini quotidiane: anche un gesto che riteniamo naturale, come quello di ordinare una birra al pub, può diventare tutt’altro che scontato.

Non è un caso che qualche giorno fa il tema birrario sia stato utilizzato come “grimaldello” di sensibilizzazione da parte del WWF, con l’intento di promuovere una campagna per la tutela dei bacini idrici e delle falde acquifere. La riduzione nella disponibilità di acqua di qualità potrebbe avere ripercussioni anche sulla nostra bevanda, come spiega un video dai toni iperbolici, ma molto efficaci:

Tornando alla questione del riscaldamento globale, è quindi possibile che l’allarme punti più alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica che a delineare uno scenario reale per la nostra bevanda. Se questo può essere vero per il mercato internazionale della birra, tuttavia esistono delle nicchie produttive in cui purtroppo i cambiamenti climatici si stanno già facendo sentire: come raccontammo a fine 2015, per Cantillon e gli altri birrifici specializzati sulle fermentazioni spontanee è sempre più difficile produrre Lambic, perché la finestra temporale utile alle cotte si riduce di anno in anno. Recenti voci di corridoio affermano che l’azienda di Bruxelles starebbe addirittura pensando a installare un sistema di refrigerazione, notizia che se confermata rappresenterebbe una triste sconfitta per la civiltà umana. Questa più che altre vicende dimostrano come i cambiamenti climatici possono davvero avere conseguenze sulle nostre abitudini quotidiane.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

Leggi anche

Il Belgio approva un piano anti-alcol: avvertenze sanitarie sulle etichette della birra

Il destino europeo delle etichette degli alcolici sembra segnato, compreso quello delle birre. Dopo la …

Il pub dell’anno con la svastica sul muro: la controversa vicenda del premio revocato dal CAMRA

Nel mondo dei pub britannici sta tenendo banco la vicenda del The Hole in the …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *