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Brewdog Blueprint: i progetti del birrificio scozzese per i prossimi 10 anni

Se analizziamo le evoluzioni avvenute negli ultimi anni nella scena internazionale della birra craft, è innegabile che un ruolo da protagonista va assegnato a Brewdog. Il marchio britannico è partito con un piccolo impianto sperduto nella Scozia più remota ed è diventato, in poco tempo, un’azienda riconosciutissima in tutto il pianeta con più di 70 pub di proprietà sparsi tra Regno Unito, Europa, USA e resto del mondo. I motivi del successo sono da ricercare in una visione progettuale chiara sin dagli esordi, una comunicazione aggressiva e spregiudicata, grandi intuizioni imprenditoriali e un bel pizzico di coraggiosa follia. In realtà questa impostazione ha obbligato il birrificio scozzese a rimanere sempre sotto i riflettori: la creatività ha presto risentito di questo vincolo e i passaggi a vuoto sono stati diversi. Tuttavia la società ha continuato a crescere a ritmi vertiginosi e negli scorsi giorni ha pubblicato un riassunto dei progetti che ha in programma per i prossimi anni. Un documento interessante per capire molte cose, anche sull’evoluzione globale della birra artigianale.

Come annunciato sul proprio blog, il “Blueprint” di Brewdog (consultabile in pdf) è una raccolta di oltre 30 iniziative che saranno realizzate nel breve e medio termine. In questi anni Martin Dickie e James Watt ci hanno abituato a idee molto ambiziose e spesso fortunate, come la campagna di azionariato popolare Equity for Punks o il recentissimo hotel birrario inaugurato in Ohio, Stati Uniti. Hanno spesso anticipato le mode e spinto il concetto di birra craft ben oltre il confine degli appassionati, rendendo le loro birre facilmente riconoscibili anche a un pubblico allargato e composto di profani. È facile quindi avvicinarsi alla lettura del Blueprint chiedendosi: “Quali diavolerie avranno in mente Martin a James per i prossimi 10 anni?”. Scopriamolo insieme.

Freschezza del prodotto

La prima iniziativa cavalca un tormentone cresciuto ovunque negli ultimi anni, quello relativo cioè alla freschezza della birra. Che non va intesa come temperatura di servizio, ma come periodo che intercorre tra l’uscita del prodotto del  birrificio e l’effettivo consumo da parte dell’acquirente. Un periodo che per certe tipologie deve essere il più breve possibile, affinché i luppoli mantengano tutta la loro forza aromatica e la birra non sia vittima di fastidiose ossidazioni. Inoltre è fondamentale che sia mantenuta la catena del freddo per garantire la qualità del risultato finale, discorso valido per tutte le tipologie brassicole. Ebbene il prossimo mese Brewdog inaugurerà il suo Hop Hub, un magazzino completamente refrigerato per la distribuzione nazionale, il primo in Europa ad allinearsi agli standard americani. Successivamente lancerà la 30 Day IPA, una West Coast IPA che avrà una shelf life di un mese e che presumibilmente porterà il concetto di freschezza a un pubblico mainstream.

Il ritorno del cask

Abbastanza clamoroso è il progetto di tornare a vendere birra in cask, dopo che anni fa Brewdog decise di eliminare totalmente questo contenitore scagliandosi parallelamente contro la visione di birra di qualità del Camra, considerata obsoleta e reazionaria. All’epoca l’azienda scozzese spiegò che la scelta derivava sia dal pessimo modo in cui i publican trattavano la birra in cask, sia dalla voglia di svecchiare l’immagine di birra artigianale. Il recente dietro front è presto spiegato: secondo Brewdog la diffusione della birra artigianale ha sensibilizzato i rivenditori sulle corrette tecniche da adottare per preservare il prodotto, quindi i tempi sono maturi per un ritorno alle origini. Una mossa che anche oggi sembra lontana dalla visione di Brewdog, ma con la quale il birrificio vuole probabilmente riformulare il concetto stesso di birra in cask.

Metro Mayhem

È fissata per il prossimo 10 novembre la prima edizione di Metro Mayhem, il festival birrario firmato Brewdog. Si terrà in un singolo giorno a Londra e ovviamente si avvarrà della partecipazione di birrifici da tutto il mondo, come Hill Farmstead, Fierce, Siren, Jolly Pumpkin, Verdant, Boxcar, Dugges e molti altri. Ci sarà musica dal vivo, cibo (si spera di qualità), distillati e superalcolici e presumibilmente molto casino. Dopo le vicende che hanno affossato l’Extravaganza di Beavertown – cioè l’addio in massa di birrifici a causa della cessione dell’azienda a Heineken – l’iniziativa di Brewdog si candida a diventare il nuovo evento di riferimento in terra britannica. Staremo a vedere.

Brewdog Bar

Come facilmente preventivabile, il numero di locali a marchio Brewdog continuerà a crescere nei prossimi anni. Tra la fine del 2018 e la prima metà del 2019 sono già in cantiere una ventina di aperture, tra le quali quelle di Manchester, Londra, Toronto, Parigi, Amburgo, Budapest, Tampere, Cincinnati, Berlino e l’aeroporto di Edimburgo. I locali ospiteranno lezioni gratuite sulla birra, mini festival e linee aggiuntive dedicate a birrifici ospiti. In aggiunta i Brewdog Bar diventeranno un franchise a tutti gli effetti.

Gli altri progetti

Vale la pena citare velocemente anche gli altri progetti. Chiaramente sono previste collaborazioni con nomi importanti della scena brassicola internazionale (Northern Monk, Verdant, Wild Beer, Magic Rock, Fierce, ecc.), la rinascita della Allsopps IPA (il primo esempio commerciale di IPA, di cui Brewdog ha acquisito i diritti), il nuovo programma di birre affinate in legno, un impianto di produzione in Australia, un canale televisivo on-line e una serie di accorgimenti nell’ottica della sostenibilità ambientale e aziendale (eliminazione della plastica dal packaging e riduzione dei termini di pagamento nei confronti dei fornitori).

Insomma, tutto qui. Queste sono le idee che ha in mente Brewdog per i prossimi 10 anni e se vi aspettavate i fuochi d’artificio probabilmente sarete rimasti delusi. In effetti da un’azienda come Brewdog ci si sarebbe aspettato qualcosa in più, considerando che la proiezione copre il decennio a venire. Avendoci abituato a idee spesso rivoluzionarie e ambiziose, ci saremmo aspettati di trovare nel documento qualcosa di sconvolgente, o quantomeno innovativo. Invece ciò che emerge è il semplice consolidamento di ciò che è stato fatto fino a oggi, senza particolari sussulti. Una strategia che è tipica di un’azienda che ha raggiunto dimensioni ragguardevoli e che ora punta a razionalizzare le risorse e a rafforzare la propria presenza sul mercato.

Da un lato trovo positivo che si abbandoni la comunicazione forzatamente irriverente a favore, magari, dell’implementazione di tecnologie e protocolli a favore della qualità. Dall’altra è impossibile non notare come l’animo “punk” del birrificio, evocato dalla stessa birra ammiraglia dell’azienda (Punk IPA, per chi non la conoscesse), sia solo un ricordo lontano. In molti avevano già sottolineato in passato che Martin e James avevano perso l’attitudine rivoluzionaria degli esordi; il programma dei prossimi 10 anni rappresenta la pietra tombale per quella concezione di comunicazione, business e, in ultimo, birra. Ma non è detto che sia un male, sia chiaro.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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