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Modular 20, Key Keg, Petainer: fusto d’acciaio bye bye

Un fusto Modular 20 di Carlsberg

La scorsa settimana vi ho proposto una carrellata delle novità tecnologiche provenienti dall’industria, anticipando che avrei ripreso il discorso a breve per ampliare e completare l’argomento. In quel caso accennai al sistema Modular 20 di Carlsberg Italia e mi dilungai sul Cellar Beer System di Heineken: due soluzioni che eliminano l’anidride carbonica dalla spillatura, ma che funzionano in modo fondamentalmente diverso. La comparsa delle due tecnologie non sono casi isolati, bensì si contestualizzano all’interno di un campo d’azione che negli ultimi tempi sta mostrando diverse innovazioni. Innovazioni che – e non potrebbe essere altrimenti – provengono dalle multinazionali, ma che facilmente potrebbero avere ripercussioni anche sul segmento artigianale. Un nome che vale come esempio per tutti? Key Keg, il fusto usa e getta.

Proprio la nascita del Key Keg ha instaurato una rivoluzione nel mondo dei contenitori e nelle tecnologie di spillatura della birra. Dopo decenni di dominio assoluto dei fusti in acciaio, qualche anno fa hanno iniziato a diffondersi sul mercato questi contenitori sferici imballati in poliedri cartonati. Il primo vantaggio salta dubito agli occhi: l’oggetto è molto più leggero della controparte in acciaio, rendendo un po’ meno faticoso il lavoro del publican. In realtà i benefici sono diversi, a partire dall’abolizione per il birrificio della tediosa attività di lavaggio dei fusti (è usa e getta), fino all’assenza della Co2 nelle fasi di somministrazione della birra. Il contenuto viene infatti spinto in alto pressurizzando lo spazio tra la sfera in PET e la sacca che effettivamente contiene il liquido.

Nonostante i Key Keg necessitino di un attacco apposito rispetto alle soluzioni tradizionali, la tecnologia si è diffusa rapidamente anche nel segmento artigianale. Oggi è adottato da tanti microbirrifici italiani e stranieri e i gestori dei pub si sono abituati ad avere a che fare con questi nuovi contenitori.

Facciamo un passo indietro. Perché è così innovativa l’assenza di anidride carbonica durante la spillatura? Semplice, perché nei sistemi classici è utilizzata per spingere il liquido verso il rubinetto: la birra che viene versata nel bicchiere presenta dunque una quantità di Co2 aggiuntiva, estranea al processo di produzione. A parte le eccezioni rappresentate dai cask inglesi con handpump, questo è il metodo che è stato adottato per tanti anni nel settore birrario mondiale.

Anche il nuovissimo Modular 20 di Carlsberg punta all’eliminazione di anidride carbonica. La tecnologia deriva dalla Flex 20, esistente prima dell’avvento dei Key Keg, che però a sua volta si ispirano ai tank in acciaio con sacca interna usati nelle grandi manifestazioni. Da un punto di vista concettuale il Modular 20 ha molti punti in comune con il Key Keg, ma con alcune differenze: i contenitori hanno una forma simile a siluri, sono capovolti (la birra scende anche per effetto della gravità), hanno un sistema di lavaggio automatico, garantiscono continuità di prodotto al cambio di fusto.

Sia i Modular 20 che i Key Keg garantiscono performance ambientali decisamente superiori rispetto all’acciaio; i primi possono godere degli attestati LCA ed EPD. Si tratta quindi di tecnologie simili (almeno concettualmente), con alcuni vantaggi in più a favore di quella sviluppata da Carlsberg. Con un dettaglio non indifferente: mentre i Key Keg sono una soluzione “aperta”, gli M20 sono un’esclusiva Carlsberg Italia e quindi utilizzata solo per i suoi marchi (industriali): Tuborg, Grimbergen, Kronenbourg, Poretti, Tucher e, ovviamente, Carlsberg.

Un’altra tecnologia utilizzata recentemente è il Petainer, simile alle altre due, di cui forse parlerò in un’altra occasione. Qui invece è interessante notare questa moltiplicazione di soluzioni innovative per un gesto – quello del servizio della birra al pub – che è rimasto inalterato per lungo tempo. Tutte le tecnologie fin qui citate – Key Keg, Modular 20, Petainer e Cellar Beer System – comunicano due plus: attenzione all’ambiente e valorizzazione del gusto della birra (grazie all’assenza di Co2).

Se il primo è quasi doveroso in un momento in cui il marketing mondiale vi punta con decisione, il secondo è piuttosto curioso. Non è infatti ad appannaggio solo di sistemi “aperti”, ma anche di quelli destinati esclusivamente all’industria: Modular 20 e Cellar Beer System. E’ un dettaglio non trascurabile, che a mio modo di vedere dimostra quanto sia cambiato l’approccio degli uffici di marketing delle multinazionali nei confronti dei loro prodotti. E sottolineare che questa nuova visione è stata stimolata dai prodotti artigianali mi sembra quasi superfluo. Il problema ora è capire a cosa porterà…

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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29 Commenti

  1. Petainer è una pessima azienda.
    abbiamo fatto noi con loro lo sviluppo del primo tipo di fusti (prove collaudi, ritardi etc etc) e poi, senza motivo, hanno cambiato tipologia di attacco creandoci non pochi problemi.
    In pratica il fusto quando viene aperto non può più essere staccato pena lo sfiato dello spazio di testa del fusto.
    inoltre anche a fine fusto lo stesso una volta disaccoppiato spruzzava birra in ogni dove.
    Noi li abbiamo mollati mandandoli a c….e.
    qualcuno ci lavora ancora.
    Costano la metà dei KK ma non valgono il prezzo.
    Almeno questa è la nostra esperienza.
    dal punto di vista della saturazione CO2, funzionando nello stesso modo dei fusti in acciaio, non apportano alcun vantaggio.

  2. Ora che leggo l’articolo mi è venuta una domanda…
    Ma si può spillare il keykeg con l’acqua??? cioè è possibile attaccare l’ingresso della CO2 all’acqua corrente?? questo potrebbe mantenere anche la birra fredda…

    • Puoi attaccare anche l’aria compresa.
      Importante che non vai oltre a 3.5 bar di pressione. Ho avuto 4 anni di esperienza con i fusti keykeg.

  3. direi di aspettare a recitare il de profundis per i fusti inox..il kkegs costa e alla fine il prezzo al lt della birra sale…attenzione perchè alla fine il fusto inox, ammortizzato non costava niente al produttore ed al publican, ora il kkegs chi lo paga?…l’ unica cosa è che con i costi dei trasporti nelle tratte lunghe, forse la convenienza c’è..ma per chi ha la possibilità di evitare lunghi tragitti l’ acciaio servirà ancora. eccome…

    • E’ un ragionamento che feci anche io.
      Ragionando invece dal punto di vista ambientale che viene molto citato in questo articolo, non vedo come una politica assurda di “usa e getta” sia migliore del riutilizzo. Per i KK si tratta di plastica, carta e ancora plastica. Quali sono i publicans che a fine settimana si mettono a distruggere tutti i KK per separarne i componenti e buttarli nella differenziata? Magari sbaglio, ma credo nessuno (come dargli torno d’altronde?).

      Non mi piace nemmeno il discorso dell’ennesimo attacco esclusivo, che di fatto monopolizza il prodotto e costringe i publicans a comprare anche gli attacchi dalla stessa azienda..
      Non si potrebbe fare in modo che sia solo la sacca argentata che contiene la birra ad essere buttata e tutto il resto riutilizzato? Certo che si può, ma poi come la mettiamo con i guadagni dell’azienda?

  4. Nel Modular 20 la birra non esce per gravità. I fusti sono messi in pressione da un compressore che spinge aria tra il fusto e il suo alloggiamento, schiacciando il fusto come un tubetto del dentrificio.

    • Sì lo so, spero si sia capito (ora ho il dubbio). Questo è ciò che scrive Carlsberg relativamente alla posizione del fusto: “Nel M20 il fusto è capovolto; la birra – oltre che per effetto dell’aria compressa che schiaccia il fusto dall’esterno – scende verso il basso (come nei fusti a caduta)”

    • oh, finalmente si capisce qualcosa. cioè, al di là di qualche tecnicalità e quisquiglie tipo il fusto a testa in giù, funziona esattamente come un k-keg (dove, avendo l’attacco, buttarci dentro CO2 o aria compressa è la stessa identica cosa). corretto?

      in caso affermativo sarebbe curioso sapere chi ha brevettato il k-keg (immagino ci sia un brevetto) cosa nel pensa del Modular 20 (immagino, anzi sono quasi certo, ci sarà un brevetto)

  5. Aspirante Birraio

    Quindi il modular 20 della Carlsberg è il migliore? Ho trovato questo sito che ne parla penso sia quello ufficiale: http://www.drinkdifferent.net

    • Sì esattamente, purtroppo non ho riportato il link nel post, che è molto più esplicativo di tante parole. In quanto a quale sia il migliore, ogni soluzioni a pro e contro. Sulla carta, l’unico contro dell’M20 è che è ad appannaggio dei soli prodotti Carlsberg. In realtà non so se richiede qualche variazione a livello di attrezzatura per il publican

  6. Scusa Giacu, senza polemica ma per chiarire. Prestandosi a fare il “testimonial” dell’industria, per di più immagino non retribuito, per quanto questo aggeggio sia ingegnoso e innovativo, non è un po’ contro quello per cui ti batti/lavori da anni? Alla fine crap in/crap out.

  7. ne parlo costantemente con birrai e publican, alla fine della fiera è tutta una questione di pro e contro, per il birraio che ha aperto da poco un usa e getta è un investimento minore perché viene fatto pagare al cliente, per chi già possiede molti keg in acciaio l’usa e getta diventa interessante in caso di spedizioni a clienti occasionali/a casa di Dio.
    Per il publican è sempre una rottura di maroni, il kk sebbene mantenga la birra più isolata richiede 40 piccioli di attacco nuovo, il petainer non può essere staccato.
    Ma alla fine della fiera la questione è sempre la stessa: il prezzo.

  8. Riallacciandomi alla birra agricola, volevo portarvi a conoscenza del fatto che per rientrare nel disciplinare del marchio “BIRRAGRICOLA”, gli agricoltori possono condizionare solo in fusti ove la CO2 non entra in contatto con il prodotto.
    Per capirci il consorzio ha allacciato un rapporto con la francese ECOFASS.
    La tecnologia dovrebbe essere simile a quella del KK ma rimane la scocca esterna… conoscete questi fusti? qualcuno li usa?

    • ciao Oteca, proprio oggi ne parlavamo al pub con McGyver (non quello del telefilm), il funzionamento è uguale a quello del KK l’unica differenza è nella “scocca” che rimane rigida…qui l’unico contro del mastro birraio è il recupero del vuoto poichè una volta restituito basta far uscire il gas, cambiare la “sacca interna” usa&getta e metterne una nuova!

  9. bè, fra qualche anno (sarò vecchio io? ) il brevetto del Modular 20 scadrà e diventerà Open Source.. 😉

  10. Nel KK ci vedo solo lo svantaggio del riciclo che è affidato alla buona volontà del gestore. I costi ci sono, ma la praticità è evidente.

    Fermo restando che i fusti avrannno ancora vita lunga

  11. La mia è una domanda stupida….ma io spesso mi sono ritrovato ad avere problemi con il KeyKeg in quanto spesso le birre sono poco saturate e alzando la pressione non ho avuto molti risultati positivi(non parliamo poi di Stout,porter e co)…la Co2 spesso è utile per compensare queste mancanze se non sbaglio.Quindi la domanda è:come si può ovviare a questa mancanza in un futuro dove non esisterà più la Co2?

    • beh, se hai idea di come sia fatto un keykeg dovresti capire che alzare la pressione della CO2 non serva una beneamata, o ti riferisci alla rottura più turbolenta del liquido una volta toccato il bicchiere vista la maggiore velocità di spillatura?

  12. Ti ringrazio ma lo so come è fatto un KK,lo so che non ottengo praticamente niente caro Filippo…per questo la mia domanda…nel momento in cui hai un fusto poco saturato te la prendi n’ der secchio come si dice dalle mie parti….e anche nel momento in cui ne hai uno troppo saturato…quindi la mia domanda rimane la stessa….senza Co2 che si fa? la regola del 4 nel primo caso…?e nel secondo?

  13. ..per quanto riguarda la spillatura a pompa c’è il pro di non avere la birra a contatto con l’aria, ma si perderebbe la tipica sgasatura causata da essa. O sbaglio?

    • Dipende, come dice danilo, dal fusto, non la sgasi è vero, ma mantieni la gasatura originale, c’è da dire però che se un fusto a pompa con kk dura molto di più, vai anche a perderti la tipica leggera ossidazione che la pompa accompagna.

  14. …altra bella considerazione….

  15. Il grande vantaggio dato da queste nuove tecnologie è che non venendo a contatto la birra con la CO2/carboazoto/aria il prodotto non si gasa nè si ossida e quindi ha una resistenza più lunga e permette di lavorare anche birre che non hanno un consumo elevato (imperial stout per esempio) o di avere più spine senza l’incubo di rovinare il nettare amato.
    Il costo del fusto, per mia esperienza, non mi è sembrato poi così superiore rispetto al classico in acciaio, e permette di liberare il magazino senza aspettare il ritiro del produttote-distributore e non si corre il rischio di avere fusti infettati perchè mal sterilizzati.

    Insomma, per me i vantaggi sono evidenti, almeno per i K/K.

  16. Tecnologia estremamente interessante, i benifici sono chiari perché ovviamente pubblicizzati, di controindicazioni ora ne ho potuto leggere un paio.
    Mi rimane il dubbio se questa tecnologia è già matura, voglio dire ci sono voluti cinquant’anni perché le lattine non interagissero negativamente con la birra contenuta, e se è adatta a birre non trattate “industrialmente”.

  17. Tutto questo parlare di key keg, modular, petainer eccc. è figlio di un problema sostanziale BASSI CONSUMI i quali , a loro volta hanno come causa una scarsa preparazione del barista ed un ricarico del prezzo troppo elevato(5volte). Datemi un barista che spilla bene, ricaricate il prodotto di “solo” 3 volte tanto e fate un impianto come si deve e vedrete che questa discussione diverrebbe superflua.

  18. Ciao Marco….qualè l’impianto fatto come si deve?

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