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Il resoconto del convegno Beeronomics a Leuven

UnionbirraiAnche se forse solo pochi addetti ai lavori ne saranno a conoscenza, lo scorso maggio (dal 27 al 29 per la precisione) si è tenuto a Leuven, in Belgio, la prima edizione di Beeronomics, conferenza sui temi economici legati al mondo della birra. La scelta della città belga non è un caso visto che, oltre ad essere la sede della AB-Inbev (il primo produttore al mondo di birra), ospita anche la presigiosa Katholieke Universiteit, il cui Centre for Instiutions and Economic Performance ha organizzato l’evento.

Si è trattato di un convegno di primaria importanza, al quale ha partecipato un comitato scientifico formato da docenti di tutto il mondo e che ha visto la partecipazione di esperti provenienti da Stati Uniti, Italia, Canada, Regno Unito, Irlanda, Slovenia, Francia, Repubblica Ceca e Belgio. Tra i presenti c’era anche il nostro Matteo Bonfanti, responsabile del progetto marchio Birra Artigianale di Qualità di Unionbirrai, il cui resoconto ci permette di saperne di più su come si è svolta la prima edizione di Beeronomics.

Il programma della conferenza è stato incentrato sulla presentazione di lavori riguardanti i diversi aspetti del settore birra, dalle materie prime ai rapporti di integrazione all’interno della filiera, dalle preferenze dei consumatori ad aspetti più prettamente sociali. Sul totale di 33 articoli presentati, due hanno riguardato l’Italia: uno ad opera di Christian Garavaglia dell’Università di Milano Bicocca e KiteS Bocconi, intitolato “Evolution of demand and recent dynamics of the brewing industry in Italy: beyond the resource-partitioning model”; il secondo realizzato da Bonfanti, Sangiorgi e Savastano dal titolo “Made in Italy in beer production: from historical family business to enthusiastic microbreweries”.

Il primo lavoro punta a spiegare l’aumento del numero di aziende nelle attuali fasi del mercato della birra italiano, che presenta da una parte i produttori di massa che soddisfano le preferenze della maggior parte dei consumatori, e dall’altra i produttori di specialità che incontrano i favori di nicchie di consumatori. Interessante l’analisi delle possibili cause, come la crescita del PIL, che porta i consumatori a richiedere prodotti più sofisticati, l’acquisizione di una maggiore consapevolezza verso i prodotti “naturali”, l’evoluzione di un nuovo modello di consumo definito “craft consumption”, che ha una forte connessione con l’homebrewing.

Il secondo articolo invece ripercorre la storia della birra in Italia, dai ritrovamenti archeologici fino alle prime industrie sviluppatesi inizialmente nel Nord Italia e che hanno raggiunto l’apice di 151 birrifici nel 1894. Dall’inizio del XX secolo si è poi assistito alla chiusura e all’acquisizione di questi birrifici da parte di concorrenti più grandi e abili sul mercato. Subito dopo i grandi movimenti avvenuti sul finire del secolo scorso e che hanno portato alla presenza di pochissimi attori sul mercato della birra, è iniziata la crescita dei microbirrifici. In circa quindici anni è stata superata la soglia dei 250 piccoli produttori; la diffusione di microbirrifici e brewpub è stata trainata dall’Italia settentrionale, anche se negli ultimi anni si sta verificando una buona crescita del numero anche nelle regioni centrali e meridionali.

Le cause di questo trend individuate dagli autori  sono molteplici e spaziano dal rapporto degli italiani con il vino, all’aumento dei consumi di birra tra i giovani, oltre che all’avvento delle compagnie aeree low-cost (avvenuto in Italia a metà degli anni novanta) che in qualche modo potrebbe avere portato gli italiani a conoscere una varietà di prodotti molto più ampia. Grazie inoltre a un questionario per i consumatori realizzato da Unionbirrai, è possibile vedere come una buona strategia per permettere la crescita e la sopravvivenza dei microbirrifici sia quella di dotarsi di un marchio collettivo che permetta loro di avere un maggiore impatto sul mercato.

Per quanto riguarda gli altri lavori presentati a Beeronomics, meritano una menzione a parte quello di Gow e Knudson sugli effetti dell’agitazione del mercato del luppolo sui piccoli produttori americani, o quello di Huang e Rozelle sulle potenzialità di crescita del mercato cinese, o ancora quello di Ignazio Cabras e Carlo Reggiani sull’influenza dei pub nelle relazioni sociali nella regione inglese della Cumbria, con le relative ripercussioni sulle attività economiche e sociali.

Il programma della conferenza è stato poi affiancato da un “social program” che ha permesso ai partecipanti di visitare birrifici completamente diversi tra loro, come la fabbrica della AB-InBev a Leuven, la Brasserie Cantillon e il birrificio dell’abbazia trappista di Orval.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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Un commento

  1. “Grazie inoltre a un questionario per i consumatori realizzato da Unionbirrai, è possibile vedere come una buona strategia per permettere la crescita e la sopravvivenza dei microbirrifici sia quella di dotarsi di un marchio collettivo che permetta loro di avere un maggiore impatto sul mercato.”

    ancora marchi???

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