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La birra artigianale nei ristoranti italiani: storia di un clamoroso fallimento?

02beer600Nel mondo della birra artigianale italiana è ormai assodato che il 1996 può essere considerato l’anno di partenza per l’intero movimento. In quell’annus mirabilis nacquero infatti tre birrifici che avrebbero indirizzato in modo determinante l’evoluzione dell’ambiente negli anni a venire. Tra questi, il più influente – soprattutto nella prima fase di rivoluzione birraria – fu Baladin e la visione originale del suo fondatore, Teo Musso. Mentre i pochi birrifici italiani avevano a modello quasi esclusivamente la cultura brassicola tedesca, Teo si lasciò affascinare piuttosto dagli stili del Belgio e si orientò verso verso una visione della birra senza precedenti: il luogo di destinazione ideale per le sue creazioni sarebbero state le tavole dei (grandi) ristoranti. Per un motivo o per l’altro, in seguito molti birrai seguirono l’impostazione di Teo: formato principalmente da 75 cl, bottiglie dal design curato, etichette (quando possibile) raffinate. Il dado sembrava ormai tratto… eppure a distanza di 18 anni qualcosa non è andato esattamente come da previsioni.

È innegabile che Teo Musso sia stato uno dei “padri” della birra artigianale italiana e che analogamente le sue birre abbiano strizzato l’occhio più ai ristoranti che ai pub e alle birrerie. Allo stesso modo è pacifico che molti suoi colleghi si siano accodati alla stessa filosofia produttiva, a volte con cognizione di causa, altre per semplice spirito di emulazione. Da tali presupposti sembrerebbe quindi naturale che il successo della birra artigianale in questi anni sia passata principalmente per le tavole dei ristoranti, ma non è così. Al contrario direi che questo canale di consumo è tra quelli rimasti più indifferenti al boom della birra di qualità in Italia.

L’ascesa dei microbirrifici italiani ha dato vita a tanti fenomeni dirompenti, caratterizzati da una forza clamorosa. Pensiamo all’ascesa dei pub indipendenti, che per larga parte ha sostituito l’approccio degli Irish Pub anni ’90. Oppure all’esplosione dei beershop con e senza somministrazione, tipici della realtà capitolina ma ormai diffusi un po’ ovunque lungo lo stivale. O ancora, sebbene in maniera più cauta e con tutte le valutazioni che ne conseguono, all’entrata della birra artigianale nella grande distribuzione. Al contrario in tutti questi anni i ristoranti italiani non hanno rappresentato un luogo fertile in cui la cultura della birra di qualità potesse svilupparsi.

Chiaramente esistono delle eccezioni, ma sono casi unici in un contesto che aveva – e ha tuttora – delle potenzialità inimmaginabili. Anche in una città come Roma, dove il movimento è più maturo che mai, i ristoranti che propongono una (valida) carta delle birre sono pochi, pochissimi. Ancora meno sono coloro che hanno sviluppato un’offerta innovativa – penso alla selezione di birre acide della Trattoria Epiro. Per non parlare di cucina alla birra, “disciplina” per la verità ancora in forma embrionale anche all’estero, ma che in una nazione come l’Italia poteva svilupparsi in maniera ben diversa. Invece in questo campo rimangono pochi esempi e anche con diversi anni sulle spalle, come la Ratera di Milano.

Dati perciò i suoi caratteri di partenza, il fallimento – o se vogliamo essere buoni, il mancato sviluppo – della birra artigianale italiana nei ristoranti è un fenomeno a dir poco curioso. La conseguenza è che per molto tempo canali di vendita più “naturali” per la birra hanno avuto a che fare con prodotti intesi in origine per altri tipi di consumo. Negli anni ci sono state correzioni e impostazioni profondamente diverse, ma credo che molta della distanza che rimane tra le birre dei nostri birrifici e il consumatore casuale derivi anche da questo “spread concettuale”.

E così, paradossalmente, le tavole dei ristoranti sono stati invasi dai prodotti dell’industria. Sono state le multinazionali del settore a tentare di arrivare dove i microbirrifici non sono pienamente riusciti, creando una serie di birre di tipo “superpremium” pensate appositamente per una ristorazione di livello superiore alla media. Parallelamente la birra artigianale non è riuscita a spodestare quella industriale in un campo che poteva riservare sviluppi interessanti: quello delle pizzerie. La triste accoppiata “pizza con bionda ghiacciata” è forse uno degli assunti birrari che i nostri birrifici sono riusciti a intaccare di meno, da un punto di vista commerciale prima ancora che concettuale.

Sembrerebbe dunque che la ristorazione – che sia di alto livello o più terra terra – rimanga un settore arduo da colonizzare per la birra artigianale. I motivi? Difficili da individuare. L’impressione è che ci sia davvero troppa poca conoscenza della birra di qualità da parte degli operatori e che molti non abbiano interesse a tentare vie diverse da quelle proposte dai soliti distributori. Se Teo Musso negli ultimi anni ha deciso di rilanciare l’idea di birreria con il progetto Open, significa probabilmente che anche lui si è accorto che il ristorante non è la casa ideale per le birre artigianali, neanche quando sono griffate Baladin.

Tuttavia negli ultimi tempi si è creata una breccia in quel muro apparentemente insormontabile che è la ristorazione. Una breccia inizialmente piccola, ma che sta crescendo a dismisura anno dopo anno. Mi riferisco a tutti quei locali di nuova impostazione che puntano a una gastronomia informale ma di qualità e che vengono etichettati con espressioni diverse (non tutte piacevoli): bistrot, fast good, ristopub, ecc. Questi luoghi spesso rappresentano l’anello di congiunzione tra pub e ristorante. Non tutti sono genuini e molti cavalcano la moda del momento, ma riescono tuttavia a offrire un canale di vendita diverso (e molto interessante) per tutti i microbirrifici italiani. Non è da escludere quindi che la birra si addica maggiormente a un consumo veloce e informale, piuttosto che all’impostazione classica da ristorante. Eppure mi sembra assurdo pensare che non possa affermarsi anche lì.

Qual è il vostro rapporto con la birra nei ristoranti? Pensate anche voi che abbia fallito in questo settore? E per quale motivo?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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43 Commenti

  1. alexander_douglas

    Infatti nella maggior parte dei casi sono quelli che chiamerei Gastropub a coniugare birra artigianale e cibo di buona qualità

  2. Come detto, si è partito col proporre prodotti di qualità con prezzi (e formati) impegnativi. I consumatori probabilmente non riescono a digerire una impostazione del genere per la birra, percepita come seconda scelta rispetto al vino.
    Invece i ristoratori ritengono i prodotti più economici (bottiglie da 33, stili meno impegnativi) non così vantaggiosi da proporre.

    In verità mi sembra che proprio nelle pizzerie si noti un notevole sviluppo del settore. Anche nei ristoranti in verità non mi sembra ci sia una inversione di tendenza; ma probabilmente non si sta sviluppando come ci si attendeva.

    P.S.
    Mettiamoci pure la crisi: c’è tanta gente che al ristorante mangia ma non beve.

    • Nelle pizzerie noti una penetrazione della birra artigianale? Io a parte qualche caso illuminato (Sorbillo a Napoli, Sforno e Gatta Mangiona a Roma) non ho trovato altro. E ovviamente non parlo di quei locali nati appositamente con la birra (tipo Bir&fud).

      • Sì. ma ti parlo di pizzerie “random” dove si affacciano birre artigianali e birre industriali affiancate senza alcuna cognizione di causa.

      • io aggiungerei pure Luppolo&Farina (zona montagnola) con un bella carta di birre e molti abbinamenti consigliati pizza/birra

        però stiamo parlando di esempi che si contano sulle dita…..

      • Ti potrei indicare almeno 5-6 locali e pizzerie tra Caserta e Napoli e rispettive province, che alla qualità dei piatti uniscono una carta di birre artigianali locali/(inter)nazionali: 50 Kalò a Napoli, Salvo a S. Giorgio, Pepe in Grani a Caiazzo, Zenzero ad Alife, Pepe Nero a Caserta, e così via. Più quell’innumerevole insieme di posti random indicati da Indastria.
        E confermo le sue parole: nelle pizzerie (almeno qui al Sud) il fenomeno della birra artigianale si sta radicando; mentre nei ristoranti non ha avuto l’attecchimento previsto, vero, ma nemmeno un’inversione di tendenza.

        Io non credo che sia un fallimento, per adesso.
        Sovente capita anzi che il tipico birrificio locale, al Sud, si ritagli la sua clientela tra pizzerie e ristoranti invece che tra i pub.
        Errore madornale, a mio avviso, perché non prediligere il segmento del pub ti costringe anche a fare vere e proprie scelte sul prodotto finale; il che comporta una lontananza dagli standard di una birra da pub, in favore di una specie di bevanda da accompagnamento del pasto.

        • Ma per capirci, in capoluoghi come Caserta, Napoli, ecc. quante pizzerie esistono con birra artigianale?
          Io ad esempio conosco discretamente la realtà di Salerno città e la risposta è che si contano sulle dita di una mano a essere generosi.

          • Andrea, ci son quelle che stanno più puntando sulla formula “pizza gourmet” e che al momento sono sulla bocca di tutti: Pepe in Grani a Caiazzo (CE), 50 Kalò di Ciro Salvo a Napoli. Altri: Sorbillo l’hai nominato, posso aggiungere lo Zenzero ad Alife (CE) e il Pepe Nero a Caserta, poi Salvo a S. Giorgio a Cremano (NA). Questi sono i nomi più noti, a livello nazionale alcuni e regionale altri.
            Ma tralascio tutta una serie di pizzerie/ristoranti “normali” che non hanno una carta dedicata di birre artigianali come i summenzionati, eppure annoverano quei 2-3 nomi locali che propongono come prodotto del posto di eccellenza. Spuntano nel frigo tra le Peroni, le Heineken, le Ceres e le Nastro Azzurro. E magari sono vendute alle tavolate di chi per una sera vuole fare la smargiassata e prendere la BIRRA E LIVELLO.

            Non parliamo della maggioranza, abbiamo appunto detto che non ha attecchito come si sperasse; e però, la maggioranza dei clienti di molti birrifici di queste parti è rappresentata esclusivamente da pizzerie/ristoranti. Non dai pub. In questo non ci vedo un fallimento di collocazione. Anzi.

      • Lavoro in una pizzeria di Greve in Chianti (Fi) e curo la carta delle birre artigianali e dei vini. Abbiamo ad oggi circa 25 etichette di birra artigianale e 30 di vini.
        Portare la cultura della birra non é stato facile un po’ per via del prezzo un po’ per via del pregiudizio della gente verso questa novitá ma adesso possiamo ritenerci soddisfatti perché in tutta Firenze e dintorni non c’é un altra pizzeria/ristorante che ha la stessa offerta ed é una cosa che un po’ mi dispiace al contempo perché anche io quando vado fuori a cena vorrei poter attingere ud una bella carte di birre .

  3. Da consumatore che al ristorante non chiede quasi mai birra mi giustifico dicendo che raramente compro birra in bottiglia al pub. Questa abitudine me la porto dietro anche al ristorante dove le spine artigianali non esistono, se non rarissimi casi tipo l’osteria del biliardo a Milano che vanta 1 spina di Sant’Ambroeus e stop. Le bottiglie, non è poi così raro trovarle anche se in effetti mai in varietà gratificate, costano troppo. E’ banale e a molto non andrà giù come scusa, ma per me è così. Un vino da 3/4 euro nella GDO lo vendi(compri) facilmente al ristorante per 10/12 euro. E’ un ricarico notevole, ma il vino è decente e ci fai più o meno tutto il pasto con una bottiglia in 2. Le birre da 75 a 3/4 fanno mediamente pena e non ho nessuna voglia di comprarne una a 10/12 euro da affiancare ad un pasto da 30 euro a testa (che poi con 75 di birra in 2 finisci giusto il primo piatto e ti tocca comprare una seconda bottiglia o bere acqua). Le artigianali, dovendole ricaricare di 3 o 4 volte il loro costo per poterci fare un guadagno decente, i ristoratori sarebbero costretti a venderle intorno ai 25 euro, tenendo conto il discorso che a fatica con una birra da 75 in 2 ci finisci il primo piatto, il perché io non compro birra al ristorante è lampante.
    Riprova è che, nei ristopub (nome orrendo ma per capirci), che hanno un’offerta alla spina interessante e cucina gourmet anche se servita in modo informale, di birra ne consumo parecchia. La spina varia tra i 5 e 6 euro per 40 cl. ne bevo 160 e spendo felicemente 24 euro, e non 25 euro per 75cl. Controprova numero due, anche se è più una sensazione che una prova, nei ristopub le birre in bottiglia, probabilmente per il maggior consumo, subisco un ricarico minore e quindi costano mediamente meno. Sicché, saltuariamente, se la bottiglia proprio merita, in questi luoghi mi concedo il lusso. Certo non se ne può fare solo una questione quantità, conta anche la qualità etc. Tutto vero, ma è un discorso valido a risorse infinite secondo me. Io che le risorse le ho finite, o quasi, non posso astenermi da rapporto qualità/prezzo.

  4. Quoto in pieno quanto precedentemente detto da Matteo.
    Purtroppo il ricarico in ristorante è troppo alto per una bottiglia da 75cl, che viene vuotata prima ancora di finire gli spaghetti.
    E mi associo al fatto che se i ristoratori cominciassero a proporre più spine, il consumo aumenterebbe di certo (la pinta costa meno della bottiglia, e nessuno rinuncerebbe alla classica “media alla spina”).
    Aggiungo anche un’altra critica che mi sento di fare. Premetto che sono un grandissimo amante della birra di qualità, e che per me una buona birra è meglio di un buon vino. Però spesso mi è capitato di pagare uno sproposito birre “artigianali” di qualità medio-bassa. Quindi io stesso, al di là del prezzo, spesso preferisco prendere del vino piuttosto che spendere di più e bere una birra di qualità scarsa.
    Concludo dicendo che l’Italia è un Paese profondamente legato alla cultura vinicola, e che i tentativi di “scalzare” il vino cercando di sostituirsi ad esso potrebbe essere una strategia non vincente. Il vino italiano è (spesso) molto buono, e forse non è giusto che la birra cerchi di sostituirsi ad esso. E’ come se una Ferrari cercasse di accaparrarsi il mercato di un Land Rover Defender: sarebbe un disastro commerciale epico. Sono due mercati diversi, sono due prodotti diversi, ed entrambi, a modo loro, possono convivere ed avere successo.

  5. Io parlo sia da consumatore che da “ristoratore”, anche se non è proprio un ristorante il mio locale.
    Sposo in pieno quello che dice Matteo innanzitutto; nel mio locale ho da tempo portato una selezione di birre artigianali in buona parte estere, promuovendo però soprattutto quella del mio paese (L’Olmaia), ma con l’intento di ampliare la scelta delle birre artigianali italiane. Il mio lato da consumatore mi spingerebbe a portare quante più birre italiane possibili fino a soppiantare in toto quelle di altri paesi.
    Purtroppo non ne ho la possibilità, dato che somministrando per la maggior parte il formato da 33 cl, quest ultimo è quasi inarrivabile per le birre tricolori, o meglio, dovrei vendere una bottiglia a 6 euro MINIMO, per poterci rientrare bene.
    I motivi sono molteplici e sono stati affrontati spesso in vari portali tra i quali questo, ma nella concretezza dei fatti, la realtà è che chi non ha la possibilità di spendere soldi per un impianto di spillatura, ha le mani quasi legate nel promuovere le nostre birre.

  6. Secondo me un appassionato di birra frequenta ristoranti e pizzerie italiani con minor frequenza dell’utente medio. Se valuto quella che è la mia esperienza personale, se mi trovo a mangiare fuori PRIMA cerco la migliore carta delle birre, poi valuto cosa trovo da mangiare nel posto. Anche perchè se mi trovo a dover scegliere tra M****ti, H******n, C**es e T*****t’s (offerta media delle pizzerie e dei ristoranti italiani) francamente mi passa la voglia di mangiare: pure che mi cucinino piatti fenomenali. Se partiamo da questo presupposto si comprende, secondo me, perchè il binomio pizza-birra industriale ghiacciata non lo scardini. L’utente medio di una pizzeria esce per mangiare spendendo poco: e con questa impostazione di fondo pure che trovi una 0,75 di Westmalle non carichi 13 € sul conto quando tra pizza, coperto e caffè ci stai dentro con 10/12 euro a persona: tanto + che in 2 con una 0,75 non ci pasteggi. Ma del resto – e ritorno agli appassionati/intenditori – una volta che a casa tua hai una cantina che ogni pizzeria d’Italia se la sogna, quando hai voglia di pizza cosa ti impedisce di prenderla da asporto e mangiarla bevendo quello che hai già ? Salvo non mi invitino in pizzeria per qualche festa, ormai l’unica pizza che mangio fuori casa è quella dell’Abbazia a Caprino Bergamasco: ma non stiamo parlando di una pizzeria quanto di una birroteca dove fanno anche pizze.
    Capitolo “cucina alla birra”: non fa parte della nostra tradizione e non può sfondare ma restare, al più un fenomeno di nicchia. Andando in OT è lo stesso discorso che si può fare per lo Starbucks: in un Paese dove si beve l’espresso il caffè lungo americano è un prodotto che non “tira”.

  7. Come ben sai, all’epoca non potevamo distribuire al di fuori del nostro Brewpub, ma solo a titolo di cronaca ricordo che alcune scelte commerciali e produttive erano condizionate e credo lo fossero anche per alcuni colleghi.Importante ricordare che “non c’era internet“, non c’erano distributori che servivano microbirrifici , ogni volta ci si scontrava con ordini minimi improponibili e quindi ci si doveva muovere fisicamente per cercare delle soluzioni.
    Per quanto riguarda noi, i primi anni producevamo solo basse fermentazioni perchè erano gli unici lieviti che riuscivamo a trovare.Il Belgio era troppo distante! 🙂 Mio padre racconta delle storie che hanno del surreale. I pub erano in mano ai grandi distributori anche per le bottiglie e non credo che ci fossero molti locali con spine di proprietà in Italia.Non è un caso che i microbirrifici storici nascessero come BrewPub. Forse la ristorazione era l’unico spiraglio possibile per aprirsi la strada e Teo in questo è stato lungimirante

  8. La birra artigianale italiana costa troppo già alla fonte, figuriamoci al ristorante.
    Al ristorante con 20 euro ti compri tutt’altro che una pallida copia di una belgian strong ale, peraltro incrociando le dita che al momento dello stappo non parta un gushing clamoroso gushing ad inondare i vari commensali.

    Meglio allora una poretti ragionata per la ristorazione, a posto e ad un prezzo SENSATO.

  9. Il clamoroso fallimento della birra artigianale nei ristoranti? E’ tutta colpa di Teo… 😀

  10. è probabile che abbia ragione Kuaska quando dice che 18 anni non sono nulla nel mondo della birra. Rispetto alle altre realtà (tradizioni alimentari a parte), la maggior età della birra “artigianale” italiana è irrilevante.

  11. Per come la vedo io, a parte il non trascurabile aspetto culturale (nei ristoranti-non trattorie/pizzerie- tendenzialmente vanno gli over 40 che non concepiscono la birra allo stesso modo del vino,leggi il già citato binomio pizza+bionda), è vero quello che qualcuno ha già detto: spesso l’offerta è tale,per qualità e prezzo, da non giustificare l’acquisto. Se nel menù vedo per esempio (e a Roma capita) una 75 di Chimay a 12€, mi faccio una grassa risata e ordino l’acqua. Temo che a) l’appassionato vero non farà mai un acquisto simile e b)per venderla devi beccare qualche neofita che non abbia problemi di soldi,nel qual caso non fidelizzi neppure. Oltretutto,ma questo è proprio un gusto personale,ne ho abbastanza di tutti questi locali fighetti dove tra poco ci vorrà la giacca per entrare a mangiare l’hamburger di non so dove con la nuova ipa di non so chi. Sarò un asociale, ma la semplicità di un pub storico londinese o di una keller in Franconia per me non hanno eguali,a prescindere dal cibo.

  12. Io farei un’analisi leggermente diversa.
    Tralasciamo le pizzerie , che per retaggio vedono la birra co-protagonista , e concentriamoci sui ristoranti.
    Ristoranti veri , intendo.
    No bistrot , osterie , trattorie. Una carta delle birre con cinque bottiglie fa ridere.
    I veri ristoranti che hanno una carta della birra sono , spesso , quei ristoranti che hanno una certa predisposizione alla qualita’ diffusa in tutto il loro menù.
    Qualita’ diffusa che , pero’ , fanno pagare.
    Pero’ , penso io , se un cliente medio è disposto a pagare un antipasto a 16 euro che altro non è che una amuse-bouche….allora , se ben indirizzato , potrebbe scegliere anche la boccia di Nora a 15 euro.
    La vera mancanza , come scrive il Turco , è in primis del ristoratore.
    Carta delle birre spesso approssimativa , fatta quasi sempre dall’agente di zona , senza la giusta rotazione , con stili che dopo un mese di cantina gia’ ne risentono , abbinamenti consigliati male e superficialmente.
    E non parliamo di spine nei ristoranti , per l’amor di Dio.
    Molto sta nell’abituare il consumatore.
    In un ristorante americano , non ricordo pero’ il nome , mi proposero come aperitivo di benvenuto un calice di birra con un piccolo appetizer.
    Non ci vorrebbe molto a farlo anche in Italia.

    • Giusta osservazione. Se consideriamo la fascia di ristorazione più alta, il problema del costo della birra si riduce sensibilmente e in teoria non è più un ostacolo all’ingresso della stessa. Ma ristoranti di livello, magari stellati, con carte delle birre serie sono rarissimi. Il motivo potrebbe essere proprio quello avanzato nell’articolo. In questi luoghi difficilmente troverebbero spazio “semplici” Lager, ma vogliamo mettere delle fermentazioni spontanee o dei prodotti italiani che strizzano l’occhio al mondo del vino? Forse il punto è che dopo tutto la birra rimane birra e quindi c’è un pesantissimo pregiudizio di partenza a prenderla in considerazione. Così ci troviamo nella curiosa situazione che prodotti nati per la ristorazione alla fine rimangono prodotti brassicoli, difficili da collocare nei ristoranti.

  13. Maurizio Camilli

    Ho lavorato come cuoco a casa Baladin 6 anni, non è proprio così come viene descritto.
    lavoro in un altro ristorante dove si produce birra ,posso dire che si consuma più birra che vino.
    Il vero problema e che tutta la ristorazione con prezzi leggermente più alti, e veramente in crisi.
    Maurizio Camilli

  14. If you own a restaurant, you don´t make so much on the food, but more on the beverages. Italian craft beer its still expensive. It´s difficult to make money with it and you have to be knowledgable. Italian food is such a big brand outisde of Italy, but i haven´t seen Birra Artigianale in an Italian restaurant till now. The reason is clear: you can make more money with wine, for now. I think the way of the restaurant ( witch is one of many) and the nice bottle is right tough, in creating more worthiness for a wonderful product. On the other side, some economy of scale and efficiency can not harm the quality and price. I think is a hard necessity or reality for creating a stable market.

  15. Alla fine della fiera il prezzo delle artigianali in bottiglia sia il primo grande nemico .. Ovvio sappiamo tutti il perché e per come sia , ancora , così elevato quindi penso che almeno per il momento non se ne verrà fuori .. Chiaro che anche la poca conoscenza da parte del consumatore ( ma spesso purtroppo anche del ristoratore ) non aiuta allo scopo .. Cmq visto che già altri hanno fatto dei nomi mi permetto di farlo anch’io .. Qui ad Alassio sono 2 i posti che si possono definire pizzeria / ristiranti con una buona carta di birra anzi 1 dei 2 ha 4 spine ed 1 pompa di birra artigianale .. Sono il Barrante che ha tutta la linea forst alla spina ( che così schifo non fa ) più una 20ina di bottiglia da 75 , 0,5 e 0,33 … Con qualche piccola chicca pure .. L’altro è È clay caffè .. Che nasce come bar ma che avendo a disposizione un’ampia cucina preparano pizze e piatti del giorno principalmente di carne ed hanno SEMPRE 5 vie attive a girare .. Quindi io sono fortunato ma si tratta sempre di casi isolati che non vanno a cambiare i dati venuti fuori finora ..

  16. La scelta di entrare in ristorazione fu OBBLIGATA, nessun altro canale di vendita era disponibile ad accettare formati, gusti e prezzi diversi da quanto era presente a fine anni ’90 sul mercato. I pub e le birrerie ci snobbavano alla grande, i beershop si contavano sulle dita di una mano, i distributori pensavano che il costo a bottiglia si riferisse al cartone da 6. Nei ristoranti le bottiglie di birra si presentavano come alternativa al vino e, la più cara delle birre costava comunque meno del più economico dei vini, senza contare il ridotto tenore di alcool che già allora iniziava ad avere il suo peso. L’avere la bottiglia in tavola, e non il bicchiere “alla spina” fu una spinta di marketing incredibile. L’essere i primi a credere e investire su quel mercato fu uno dei (tanti) motivi di successo Baladin. Ancora oggi (credo) in grado di rappresentare un’ importantissima fetta di mercato.

    • Ma secondo te Lelio, che hai seguito l’evoluzione della birra in Italia, quel canale di vendita è rimasto indietro rispetto ad altri che si sono sviluppati in questi anni?

    • Sinceramente non mi è chiaro un passaggio: siccome i pub e le birrerie snobbavano la birra artigianale, invece di insistere su questi si è stati OBBLIGATI a inserirsi in un segmento di vendita ancora più difficile – ovvero l’alta ristorazione dove il vino la faceva (fa) da padrone? Se ancora oggi tra moltissimi di “quelli del vino” serpeggia un forte pregiudizio (nonché senso di supponenza e altezzosità) nei confronti della birra, non oso immaginare come fosse la situazione a fine anni ’90. Sono convinto che come mossa di marketing sia stata geniale e che Baladin ci abbia visto lungo, indubbiamente; ma non venite a dirmi che fosse una scelta OBBLIGATA. 😉

      • Mi sa che non ti è molto chiara la situazione dei “pub” e dei loro distributori a metà/fine anni ’90…Su chi o cosa avresti insistito?

        • Diciamo che mi viene naturale pensare che possa essere più ricettivo un pub, nel vendere e proporre birre nuove, rispetto a un esercizio di ristorazione più classico e/o formale. A parità di apertura mentale, naturalmente…
          Non capisco come mai non ne volessero proprio sapere, i pub. Manuele, Lelio, avrete una memoria storica sicuramente più lunga della mia, mi farebbe piacere saperne di più su problemi e resistenze che si incontravano all’epoca.

          • i Pub erano vincolati ai distributori, pochissimi erano indipendenti, quindi di birra alla spina non se ne parlava proprio. le birre d’importazione in bottiglia (anche quelle considerate di qualità) costavano molto meno delle italiane. Gestori appassionati e competenti (non sempre le due cose vanno a braccetto) erano una rarità, ed anche questi erano diffidenti sul prodotto made in Italy (d’altronde era come vendere a Milano il panettone tunisino). I loro business plan (industriali ovviamente), non prevedevano ricarichi diversi dal x3 (pago un euro e vendo a 3), “quindi se entrano x persone il mio tornaconto sarà di y”, trascurando completamente il fattore emozionale e di fidelizzazione del cliente legato alla birra. Il fatto che adesso molti pub offrano prodotti nuovi (ma vieni a farti un giro a Cuneo e ti ricredi subito) è figlio dell’onda lunga iniziata 15 anni fa e della crisi economica che, giocoforza ha obbligato molti di loro a tentare nuove strade per sopravvivere. (se vuoi molto simile al proliferare degli “Irish Pub” anni ’90). Ora tocca a Manuele (ciao mitico!) darti la sua versione dei fatti “lato bancone”.

          • Ciao Lelio! Hai fatto un’analisi correttissima…per chi vive il momento attuale è molto difficile immedesimarsi in una realtà che sembra antidiluviana, quando appartiene invece a pochi anni fa. Aprirsi un pub voleva dire legarsi a un distributore, e la proliferazione degli irish pub da te citata, ha avuto una diffusione capillare a Roma…con tanto di offerte, investimenti da parte del distributore e via dicendo. Era un mercato IMPOSSIBILE per un piccolo birrificio senza legami commerciali, a parte pochissime rarità, quello dei pub era un mercato dove un prodotto del genere non poteva avere spazio.

      • Ti confermo che fu una scelta obbligata, nessun altro (o quasi!!) voleva “Baladin”, per cui si fece di necessità virtù. La rete commerciale che si sviluppò andò dritta sulla ristorazione (e in parte su gastronomie, enoteche ecc ecc). Sarebbe stato stupido e dispendioso insistere su altri canali che, mi ripeto, non ne volevano proprio sapere. La pur piccola fetta di ristoratori attenti e innovativi fu sufficiente ad innescare il volano commerciale.

        • Però va pure detto che “baladin” per formati e tipologie (non so i prezzi dell’epoca) si collocava già da solo in un certo mercato.

          • obbligatoriamente 🙂

          • Sì, non sto dicendo che sarebbe stato facile fare altrimenti. Sono convinto anche io che all’epoca fosse complicato entrare nel mondo dei pub.
            Ma è una formula che tutt’ora resterebbe non l’ideale per un pub e preferibile per ristoranti o eataly.

  17. Diciamo che altri mercati più specifici hanno sicuramente sopravanzato il canale “ristorazione” da un punto di vista numerico. Purtroppo i numeri sono ancora così piccoli che è difficile fare una statistica affidabile, ma se 10 anni fa erano pochissimi i ristoranti/pizzerie ad avere più di tre birre in carta oggi vedo che le artigianali (o pseudo tali) sono abbastanza presenti. Il fatto è che agli inizi chi inseriva una birra in carta sicuramente lo faceva per convinzione, ora mi pare molto più una “necessità” se non una spinta/imposizione del distributore di turno.

  18. Dalle mie parti c’è una pizzeria che ultimamente si è dotata di un discreto numero di birre artigianli italiane e non…..a prezzi folli !!! Un esempio la Isaac di Baladin a….18 euro….per una blanche che in estate con una sorsata la finisco ? Altri ristoranti in zona hanno cominciato a servire ottime birre ma purtroppo sempre a prezzi fuori mercato per intenderci se dovessi accompagnare una fiorentina con una qualsiasi birra artigianale italiana con i soldi che spenderei mi verrebbero due bottiglie di buon vino rosso ma di quello buono buono. La birra va bevuta al pub o a casa …..con la fiorentina !

  19. Vorrei segnalare l’osteria numero2 a mantova. Ottima cucina e un menu di birre che non si trova neanche in un pub. Penso che abbiano creato anche il circolo del luppolo

  20. mi fa piacere scrivere un post in “controtendenza” rispetto all’articolo! Gestisco un piccolo locale sulle colline riminesi, un territorio “ostile” alle birre artigianali, facile preda di birre a poco prezzo dedicate ad un turista che vuole pagare sempre meno! Pur gestendo un locale nella patria del sangiovese, spesso il consumo di birra di qualità supera quello del vino. Penso che questo dipenda dalla capacità mia, e dei miei collaboratori, nel conoscere i prodotti che vendo, nel saper proporre la birra giusta dopo aver sentito i gusti del cliente, nell’abbinare la birra a seconda del cibo… concordo però però sul fatto che nelle rare occasioni che ho di uscire a mangiare fuori difficilmente riesco a trovare una birra che meriti di essere bevuta!

  21. Potrebbe essere anche che la grande ristorazione snobbi la birra artigianale ma non di certo la piccola ristorazione. Noi abbiamo una piccola osteria in una cascina nel bel mezzo della Lomellina (La Beerbona)… Siamo nel mondo della birra artigianale dal 2007 ed serviamo, esclusivamente birra artigianale. 8 vie alla spina più alcune chicche in bottiglia…sperimentiamo abbinamenti e cotture con la birra….spezzatino di agnello alla Beerbera piuttosto che brasato all’ambra di Busalla o lo stinco che, setti malamente cambia tipologia di birra in cottura….ma anche birra nei sughi, nelle gelatine, nei ristretti….insomma…siamo piccoli ma ci diamo da fare e, come noi, tante altre realtà si fanno strada in questo difficilissimo mondo.

  22. arturo rinaldi

    Io credo che siamo solo all’inizio e che la strada ormai è tracciata, è solo questione di tempo. Il gusto di una buona birra artigianale può tranquillamente essere affiancato, a tavola, a quello di un buon vino. Mia moglie nella sua attività di pizzeria e piccola gastronomia, propone da due anni esclusivamente birre artigianali (Baladin, Birra del Borgo, Birrificio Italiano, Bruton etc) e pochissimo vino, e sta riscuotendo un ottimo successo. Alla gente va spiegata la birra artigianale e soprattutto quale scegliere nel caso in cui la si vuole abbinare al cibo, come ad es. nel caso di una pizza margherita dove è presente il pomodoro. Sono in tanti (ma tanti ancora vanno educati) a recepire che l’abbinamento migliore è con una birra ambrata, maltata e non con una eccessivamente gasata e amarognola. Ritengo, quindi, che la birra artigianale abbia ancora delle enormi potenzialità di espansione. Va semplicemente spiegata. E non sottovalutiamo le qualità di noi italiani che, sebbene inesperti per tradizione in questo campo, abbiamo in poco tempo sfornato delle birre riconosciute in tutto il mondo, facendole proprie come gusto, al di fuori di determinati “disciplinari”, a dimostrazione che il gusto di una buona birra può essere infinito e ci può sorprendere in qualsiasi momento.

  23. trovo alto il prezzo rispetto a quele servite in bottiglia. E non mi venite a dire che è dovuto alla qualità!
    Inoltre, trovo scandaloso che nella maggioranza dei locali per vendere il la birra alla spina dove il ristoratore ci guadagna molto di più hanno abolito la vendita di birra in bottiglia!
    Le prossime volte vado ..ad acqua..

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