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Sad but true: quando il gusto influisce appena nel giudizio di una birra

Nel mio quotidiano e costante monitoraggio di contenuti a tema birrario mi capita di salvare alcuni articoli, lasciarli da parte e poi riprenderli mesi dopo. È quello che è accaduto oggi con una ricerca – segnalatami se non ricordo male da Stefania Pompele – i cui risultati sono sì stati pubblicati a ottobre del 2015, ma chiaramente hanno valenza anche a distanza di mesi. Lo studio si è focalizzato sugli elementi che influenzano le risposte dei consumatori nei confronti della birra, analizzando diversi fattori: gli aspetti meramente organolettici, ma anche il packaging e il contesto nel quale avviene l’assaggio (a casa, al pub, in eventi pubblici, ecc.). Ciò che emerge è una conclusione in parte preventivabile, cioè un ridimensionamento del gusto personale a favore di altri parametri.

La ricerca, promossa dal Politecnico di Madrid in collaborazione con l’Università di Nottingham, evidenzia che il packaging è l’elemento che ha maggiore impatto sulle risposte emotive dei bevitori. Se questo è vero per tutti i prodotti del settore alimentare, nella birra acquista un peso ancora più importante perché il consumo avviene quasi sempre con la diretta manipolazione del contenitore: pensiamo a quando versiamo una birra dalla bottiglia o dalla lattina. Ciò che proviamo all’assaggio è dunque profondamente mediato dalle informazioni veicolate dal packaging.

Lo studio ha proposto tre diverse modalità di risposta: una ottenuta solo tramite il packaging (no assaggio), una solo tramite l’assaggio (alla cieca) e una con entrambe le interazioni. Nel primo caso a birre dal contenuto alcolico elevato sono state associate risposte dall’alto grado emozionale, mentre quando l’etichetta annunciava birre leggere, le sensazioni collegate erano più blande (“noia” o “calma”). Inoltre la familiarità con il prodotto sollecita risposte più coinvolgenti, tutte di tipo positivo.

A livello puramente sensoriale, invece, la dolcezza è inversamente proporzionale all’interesse suscitato nel consumatore – questo spiegherebbe il successo delle birre amare in un contesto in cui si ricerca qualcosa di diverso rispetto alle anonime Lager dell’industria. Curiosamente un’elevata carbonazione è collegata a sensazioni positive.

La conclusione dello studio è che, a eccezione di alcune tipologie di birra, il packaging ha sempre un peso maggiore rispetto alle caratteristiche organolettiche del prodotto. La ricerca non era incentrata sulla birra artigianale e probabilmente in questo caso la parte sensoriale ha un’influenza maggiore, ma è indubbio che nel nostro giudizio entrano in gioco tutta una serie di elementi di contorno che possono deviare, anche pesantemente, la valutazione finale.

A pensarci bene è una conclusione deprimente e inquietante, soprattutto perché da appassionati la nostra preoccupazione dovrebbe essere quella di compiere delle scelte esclusivamente in base alla qualità del prodotto finale. Ciò che lo studio rivela, invece, è che spesso il gusto passa in secondo o in terzo piano, quando invece dovrebbe essere il giudice ultimo delle nostre valutazioni. Come in parte già spiegato, a entrare in gioco sono parametri completamente diversi: il packaging sicuramente, ma anche la familiarità con il marchio, le sentenze (oneste o strumentali) di altre persone, i pregiudizi che si possono creare e alimentare.

Ho un po’ di anni di bevute sulle spalle per poter affermare che nel mondo della birra artigianale italiana spesso si beve con giudizi già preconfezionati, positivi o negativi che siano. È anche fisiologico, perché è normale crearsi delle aspettative quando, prima dell’assaggio:

  • Si ascoltano i giudizi di altre persone.
  • Si conosce il birrificio che produce la birra.
  • Si leggono informazioni sulla birra (inteso come rapporto con il packaging).

A quel punto è quasi matematico che la parte sensoriale sarà sopraffatta (o quantomeno limitata) dalla valanga di input ricevuti prima della bevuta.

Per questa ragione secondo me lo strumento più democratico in assoluto rimane l’assaggio alla cieca, perché non conoscendo la birra e non potendosi confrontare con altri giudizi – almeno questo è ciò che spesso accade – l’influenza dei fattori esterni cala drasticamente. Il problema semmai è che, proprio perché scevri da condizionamenti di un certo tipo, i risultati finali possono talvolta (e sottolineo talvolta) apparire sorprendenti. E non c’è niente di peggio che non assecondare le aspettative delle persone: si spiegano così secondo me le polemiche e l’ingiustificata diffidenza che aleggiano intorno a concorsi che si basano sull’assaggio alla cieca.

Al contrario invece certe competizioni sono strumenti molto utili, soprattutto se i risultati vengono letti nell’arco di due o tre edizioni consecutive – la botta di culo o di sfiga in un singolo anno può accadere. È proprio la regolarità di certi verdetti, capaci di verificarsi nonostante migliaia di birre iscritte, che restituiscono il valore di certe iniziative.

Morale della favola? Lo ripeto ancora una volta: cerchiamo di assaggiare secondo il nostro gusto, provando a lasciare da parte qualsiasi pregiudizio. Chiaramente sapendo però ciò che stiamo facendo. Se non abbiamo mai sentito nominare un birrificio non è detto che sia pessimo, così come un produttore rinomato non è detto che inanelli solo gemme brassicole. E magari, perché no, organizziamo qualche sessione di assaggio alla cieca tra amici: sono situazioni sempre divertenti e spesso più utili e formative di mille chiacchiere fuorvianti.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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4 Commenti

  1. Non mi lascio condizionare da niente e nessuno. E del packaging me ne frego altamente, conta molto poco per me.

  2. Io quando riesco, spesso in fiere, e spesso di vini, prima cerco di assaggiare sapendo il meno possibile su quello che ho nel bicchiere, e un nell’esercizio, solo poi (o per le birre se posso non leggo abv, luppolo utilizzati, stile, etc) mi informo e vedo se il ‘raccontato’ è inquadrato in quello che ho gia bevuto, a volte sono sorprese più o meno piacevoli; e allena i sensi..

    • Beh attività non facile da portare avanti nel festival (forse nelle fiere di vino è più semplice). Complimenti!

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