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Coffee Stout e non solo: l’intrigante incontro tra birra e caffè

Foto: Gear Patrol

Ricordo perfettamente il momento in cui bevvi la mia prima Stout “aromatizzata”. Ero seduto a un tavolino del Dog & Duck di Roma – pub intimistico come pochi, non più attivo da alcuni anni – e Leo, il gestore, mi servì un boccale di Double Chocolate Stout di Young’s. Oggi un prodotto del genere mi lascerebbe piuttosto indifferente, ma è inutile specificare che all’epoca fu per me una vera rivelazione, con quel gusto penetrante di cioccolato che si fondeva e valorizzava le classiche note “scure” da Stout. Un altro ingrediente che si usa spesso in queste occasioni è il caffè, sebbene l’obiettivo sia lo stesso: amplificare gli aromi classici dello stile, giocando sulle sfumature tostate e torrefatte provenienti dall’impiego dei malti scuri. Eppure, per quanto possa apparire strambo, non si ricorre al caffè solo in queste occasioni, ma addirittura per birre chiare. Ma andiamo con ordine…

Sebbene le Stout provengano dall’area anglosassone ed esistano diversi prodotti tradizionali con caffè – la già citata di Young’s è inglese, ad esempio – è tra i birrifici degli USA che questo ingrediente ha trovato larga applicazione. Il motivo è ancora una volta da ricercarsi nei gusti dei consumatori americani, che come sempre propendono per un impatto deciso e spesso oltre i limiti della finezza, almeno secondo i nostri canoni. Però paradossalmente è proprio tra i prodotti dei birrifici statunitensi che negli anni ho trovato le Coffee Stout più sorprendenti, probabilmente proprio perché questo sottostile non prevede mezze misure, puntando tutto sull’intensità degli aromi.

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Una panoramica delle diverse birre al caffè americane è offerta da Gear Patrol, che in un articolo di quest’anno elenca 15 produzioni divise per diverso livello di tostature. Tra le ultime compare la Breakfast Stout di Founders, probabilmente la più iconica del gruppo non solo per il suo elevato livello qualitativo, ma anche per l’immagine del bambino in etichetta intento a divorare la sua colazione con un immenso bavaglino al collo. È una di quelle immagini che diventano immediatamente di culto – un po’ come la copertina di In the Court of the Crimson King – nonostante ancora oggi non mi spieghi come abbia potuto un simile soggetto superare la stretta censura dell’FDA, l’ente americano per il controllo delle etichette alimentari.

È probabilmente con una Coffee (Imperial) Stout che la beer firm Mikkeller ha ottenuto in passato un bella spinta in termini di visibilità e successo internazionale. Mi riferisco chiaramente alla Beer Geek Brunch Weasel, che è brassata con la varietà di caffè più costosa al mondo: il Kopi Luwak. Se non conoscete questo caffè, vi consiglio un giro su Wikipedia, ma solo se siete dotati di stomaco forte 🙂 . Come nella migliore tradizione di Mikkeller, la creazione di questa birra fu una mossa di marketing molto ben congegnata, che sicuramente portò i suoi frutti all’azienda danese.

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In Italia la diffusione di Stout al caffè non è molto ampia, ma neanche così contenuta come si sarebbe portati a credere. Dimostrazione è il laboratorio Coffee Break che il buon Kuaska condusse a un passato Salone del Gusto (edizione 2012), quando sfilarono diverse Coffee Stout italiane. Tra loro era presente la Chicca di Pausa Cafè, che merita di essere menzionata perché prima ancora di birrificio, l’omonima cooperativa piemontese è una torrefazione (attiva dal 2008) che utilizza varietà Huehuetenango, presidio Slow Food e coltivata da una piccola comunità guatemalteca.

Per completezza, le altre birre inserite in degustazione furono la Masca del Birrificio Torino, l’Arabicaporter di Grado Plato, la Sally Brown Baracco del Birrificio del Ducato, la Buendia di Endorama, la Donker di Extraomnes e la Marche’l Re di Loverbeer. Da notare che in tutti questi casi i birrifici non hanno scelto un caffè a caso, ma si sono orientati su varietà specifiche e spesso ricercate, al fine di garantire un maggiore livello qualitativo e – perché no – rendere più esclusiva la propria birra.

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Come accennato in apertura, il caffè non è utilizzato solo per Stout o Imperial Stout. Può sembrare strano, ma nel panorama internazionale esistono diverse produzioni chiare che ricorrono a questo ingrediente: nell’articolo di Gear Patrol che ho citato precedentemente, troviamo ad esempio birre riconducibili a Kölsch, Cream Ale, IPA e APA, tutte rigorosamente aromatizzate con caffè. Se non vado errato il primo esperimento di questo tipo tentato in Italia risale al 2013 e trovò incarnazione nella Yrgalem di Amiata, realizzata con l’omonimo caffè etiope non tostato, capace di restituire sensazioni amarognole e agrumate. Un esempio più recente, italiano solo in piccola parte, è invece rappresentato dalla Long Trip Saison di Nomad, che prevede una speziatura con pepe della Tasmania, semi tostati di acacia e, naturalmente, caffè.

Qual è il futuro dell’incontro tra birra e caffè? Nel gioco di proporre continuamente ai consumatori qualcosa di sorprendente, è plausibile che questi esempi “distonici” di birre chiare al caffè siano destinati ad aumentare, tanto che qualcosa di analogo si sta avvertendo con il “cugino” cioccolato (tipo la Cioch di Lambrate). La speranza invece è che le evoluzioni possibili non si riducano a trovate come quella, recentissima, di Starbucks, che un paio di settimane fa ha annunciato l’Espresso Cloud IPA. Ecco in cosa consiste:

Il caffè espresso viene shackerato con del ghiaccio insieme a spicchi d’arancia e a un tocco di vaniglia dolce. Il movimento produce una ricca struttura di “micro-schiuma” che accentua gli aromi agrumati e di vaniglia. La schiuma viene versata nel boccale di una IPA appena spillata e la birra viene servita con uno shot di espresso come accompagnamento. È una bella presentazione che, con una simpatica spirale, crea una cascata di espresso e birra nel momento in cui si versa lo shot nel boccale.

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Splendido, meglio tornare con la mente a quella Chocolate Stout di tanti anni fa…

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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4 Commenti

  1. Articolo impeccabile come sempre (e ho scoperto anche un paio di etichette da provare!)

  2. Michele Luponio

    Articolo interessante, molto buona se posso indicare anche la Krakowskie Sniadanie di Pracownia Piwa, una milk coffee light ale da 4.3% con uso di lattosio e caffè Tasmania Tanga. La bevvi li in Polonia e mi era piaciuta tanto, ultimamente l’ha avuta anche il macche a pompa. Altra coffee ipa che mi era piaciuta è stata quella di mikkeller con caffè non tostato che lasciava sul finale quel sentore di vegetale e caffè molto piacevole, poi ovviamente non posso non citare l’alesmith speedway stout vietnamese coffee, un capolavoro; mi viene ancora in mente peche mortel, goose island bourbon county coffee stout, coffee bender di Surly, Ballast Point Victory at sea e la Yeti espresso stout oak aged. Al momento queste mi vengono in mente, ma sono sicuro che la curiosità di ogni appassionato porterà alla scoperta di molte altre.

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