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Non solo acquisizioni di birrifici: tutti i settori in cui le multinazionali stanno attaccando la birra craft

Che le multinazionali della birra stiano puntando il mercato artigianale è ormai un fenomeno assodato da anni, ma probabilmente in Italia abbiamo cominciato a comprenderne l’urgenza solo negli ultimi tempi, con le cessioni (totali o parziali) di Birra del Borgo, Ducato e Birradamare. Operazioni che hanno sconvolto il nostro panorama nazionale, ma che – come ben saprete – si accompagnano a quanto sta avvenendo di simile in altri paesi: negli Stati Uniti in primis, ma anche in Belgio, Regno Unito, Olanda, Spagna, Brasile, Svizzera e persino Cina. Il punto, però, è che le acquisizioni di microbirrifici non sono che la punta dell’iceberg, uno dei tanti elementi che compongono una strategia di più ampio respiro con cui l’industria sta cercando di ottenere il controllo della cultura craft internazionale. I fronti della battaglia infatti sono diversi, spesso strategici e talvolta decisamente subdoli. Per avere una visione completa di ciò che sta accadendo è allora opportuno analizzare le mosse delle multinazionali in tutti i segmenti, non solo in quello produttivo.

Distribuzione

Secondo molti analisti la guerra tra birra industriale e artigianale si è già spostata dal campo della produzione a quello della distribuzione. In effetti puoi anche realizzare i prodotti più buoni e richiesti del mondo, ma come fai a venderli se non riesci a raggiungere i tuoi potenziali clienti? In questo senso le multinazionali si stanno muovendo lungo due direzioni. La prima consiste nel posizionare nei loro canali tradizionali – gdo, horeca, ecc. – dei prodotti crafty, anticipando future evoluzioni del mercato e raggiungendo un bacino di utenza enormemente più ampio. La seconda si traduce nella penetrazione di canali alternativi – quelli cioè sui quali poggia la birra craft – tramite i propri prodotti pseudo artigianali, anche mettendo in atto delle politiche ostruzionistiche e ai limiti della legge. Ricordiamo ad esempio che poco meno di due anni fa il Dipartimento di Giustizia americano minacciò un’inchiesta contro AB Inbev per concorrenza sleale, sospettata di aver compiuto pressioni illecite su alcuni distributori indipendenti al fine di interrompere i propri rapporti commerciali con i microbirrifici.

Capirete dunque che quello della distribuzione è un tema delicatissimo e spesso lontano dalle luci della ribalta, quindi per questo più esposto a eventuali mosse fraudolente da parte dei suoi operatori. Ciò che è certo è che la potenza di fuoco delle multinazionali in questo campo sono sconfinate e per i birrifici indipendenti esiste il rischio concreto di dover competere tra loro per le briciole.

Materie prime

Una delle tattiche belliche più comuni per assediare una città è interrompere i rifornimenti di cibo, acqua e beni di prima necessità. E se qualcosa di simile stesse accadendo anche nella guerra tra birra industriale e artigianale? Negli ultimi anni è cresciuto in tutto il mondo il problema dell’approvvigionamento di alcuni luppoli fortemente caratterizzanti, tanto da costringere non pochi microbirrifici a modificare le proprie ricette. Le cause sono diverse, ma è indubbio che un certo peso risiede nelle scelte delle multinazionali, che di recente sono uscite sul mercato con prodotti che utilizzano varietà del genere. Lo scontro però è apparso più evidente alcune settimane fa, quando molti organi di informazione hanno riportato la decisione di AB Inbev di interrompere l’intera fornitura dei luppoli da essa prodotti in Sud Africa. Per spiegare meglio la vicenda possiamo affidarci alle parole di Greg Crum, fondatore della società che precedentemente si occupava di vendere il raccolto in eccesso a diversi microbirrifici:

Lo scopo [di AB Inbev] è di distribuire il luppolo internamente ai produttori (ex) artigianali di sua proprietà, anche se non è in grado di piazzare tutto il raccolto di quest’anno. Ciononostante impedisce ai birrifici craft di acquistare luppolo, pensando così di ottenere un vantaggio strategico in un mercato sempre più competitivo.

Siti di rating

Qui entriamo in segmenti ancora più subdoli. Immagino conoscerete tutti Ratebeer, uno dei più importanti siti in assoluto di recensioni birrarie. Ebbene a inizio giugno è stato annunciato che AB Inbev ha acquistato delle quote della società che gestisce il famoso sito, creando un certo scompiglio tra utenti e appassionati di mezzo mondo. L’accordo è stato annunciato con molto ritardo rispetto alla sua ratifica – vi ricorda qualcosa? 🙂 – e ha alimentato polemiche e critiche, tanto che diversi birrifici hanno chiesto di essere rimossi dalla piattaforma. Al di là dei tentativi più o meno fantasiosi di boicottaggio, ciò che inquieta in tutta la vicenda è che la più grande multinazionale della birra abbia messo le mani su un aspetto lontano dal concetto di “fare la birra”, per certi versi anche marginale. Ma Ratebeer, così come altri strumenti analoghi, ha una forza incredibile nel dettare i trend del mercato e può vantare un’immensa comunità di utenti. Molti dei quali pensano alla birra da un punto di vista qualitativo. Parliamo della penetrazione di una nicchia, per quanto ampia, ma pur sempre una nicchia.

Homebrewing

E se parliamo di nicchie birrarie non possiamo non citare quella degli homebrewer. Mica penserete che l’industria si sia lasciata scappare questo settore? Risale infatti a ottobre 2016 l’acquisizione da parte di AB Inbev delle società Northern Brewer, la più grande realtà americane dedicata alla birra fatta in casa. L’accordo ha coinvolto anche l’azienda Midwest Supplies, seconda forza del settore, che era stata assorbita tre anni fa dalla stessa Northern Brewer. Questo dovrebbe restituirvi l’idea delle dimensioni di questo “piccolo colosso”, che fu fondato la bellezza di 23 anni fa e che oggi conta circa 150 dipendenti. Insomma, parliamo di una società davvero grande, eppure l’acquisizione da parte di una multinazionale meraviglia non poco poiché stiamo parlando di un segmento di mercato lontano da un concetto mainstream.

Concorsi birrari

Come vi ho raccontato a inizio anno, i tentacoli dell’industria sono arrivati persino ai concorsi birrari. Per fortuna non parliamo di tentativi di corrompere i giudici dei contest più importanti, bensì della creazione di un’iniziativa ex novo. È ciò che ha proposto Carlsberg con l’UK Craft Beer Competition, aperta a tutti i birrifici interessati a vincere un posto nel catalogo “craft” della multinazionale danese. Nonostante il premio finale sia diverso da realtà come lo European Beer Star o la World Beer Cup, il funzionamento e il linguaggio sono molto simili, segno che anche in questo caso si sta strizzando l’occhio al settore artigianale, cercando di confondere i suoi stessi protagonisti.

L’elenco non è esaustivo, ma è utile a capire come si sta muovendo l’industria nella sua guerra contro i birrifici craft. Come dimostrato, le acquisizioni di produttori artigianali non sono che uno degli aspetti su cui si stanno concentrando le multinazionali e forse neppure il più importante. La verità è che ormai siamo circondati: qualsiasi sfaccettatura vi venga in mente del nostro mondo è ormai probabile che sia stata già invasa dall’industria. Fenomeno inquietante, ma prenderne coscienza è il primo passo per compiere scelte in totale consapevolezza.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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5 Commenti

  1. Buon pomeriggio, ma per quanto riguarda Toccalmatto possiamo parlare ancora di birra artigianale?

  2. La distribuzione è ill punto fondamentale per il futuro. Ducato ha 1 locale a Londra attivo e uno in apertura, mi pare. In più è dentro il franchising Over18 (con Antoniana……). Birradamare ha più di un locale attivo. Birra del Borgo distribuzione e presenza dentro Eataly, bir&fud e il nuovo locale with Bonci (post acquisizione).
    A rischio prossimo metterei Hibu. Lambrate in questo senso di espansione lo salvo. Ma seguendo il mio discorso è papabilissimo.
    In soldoni la birra industriale si compra chi ha una distribuzione ottimale per il suo business attuale e futuro. E arriverà ill giorno che chi non rientrà nel business, birra del bordo e birradamare per esempio, verranno tristemente chiuse aldilà della qualità prodotta. E questo si è già visto all’estero negli ultimi anni.

  3. Ciao, la situazione da te descritta é parecchio inquietante per chi ama la realtà artigianale già così poco sotenuta dalle istituzioni…
    Ma non possono unire le forze i birrifici artigianali e le loro associazioni creando propri distributori indipendenti?

    • Per anni non sono stati in grado, ora con la nuova vita di Unionbirrai questa idea di unire le forze sembra meno impossibile

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