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Le lattine: il più grande fenomeno craft degli ultimi 15 anni

D’accordo, l’ascesa delle New England IPA può essere considerata uno dei più impressionati fenomeni birrari degli ultimi anni. E probabilmente qualcosa di molto simile accadrà con le Brut IPA. Parallelamente è impossibile non segnalare il crescente spazio ottenuto dalla frutta come ingrediente principale di tante birre. Eppure, se allarghiamo la visione a un periodo più ampio, possiamo affermare senza timore di smentita che il vero trend birrario degli ultimi tempi, capace di rivoluzionare totalmente il mercato, è stato soltanto uno: quello delle lattine. Apparse in maniera stabile nel segmento craft circa tre lustri fa, questi contenitori hanno cambiato il modo di intendere la birra artigianale da tutti i punti di vista: in termini di produzione, confezionamento, immagine, percezione dei consumatori. È una tendenza in forte ascesa ovunque, con ampi margini di crescita e con alcune deviazioni aberranti, che non mancano mai in situazioni del genere.

Quando Cronache di Birra aprì i battenti, 10 anni fa, il dibattito sulle lattine era già ampiamente in auge. Lo era probabilmente dal 2002, quando il birrificio americano Oskar Blues decise per primo di sperimentare questo contenitore per le sue birre. Una scelta coraggiosa, poiché l’alluminio era ancora visto con enorme diffidenza dai bevitori: veniva associato agli economici prodotti da discount e considerato colpevole di rendere metallico il gusto del contenuto. Accuse fondate, ma che non tenevano conto delle innovazioni ottenute nel campo: a inizio anni 2000, infatti, le lattine avevano raggiunto una qualità ben diversa dal passato, candidandosi a valido contenitore anche per la birra artigianale.

La generalizzata diffidenza ne rallentò l’adozione, nonostante i tanti vantaggi: in confronto al vetro, l’alluminio garantisce infatti totale protezione dai raggi solari, maggiore velocità di raffreddamento, benefici in termini logistici e di trasporto, comodità per il consumatore finale – ad esempio la possibilità di accesso in manifestazioni pubbliche dove le bottiglie sono vietate. Seppur lentamente, le lattine cominciarono a diffondersi in tutti gli Stati Uniti e successivamente in Europa, soprattutto nei paesi britannici e scandinavi. Il birrificio craft che probabilmente ha fatto conoscere questo contenitore anche agli appassionati del Vecchio Continente è stato Brewdog: il produttore scozzese creò non poco scalpore quando lanciò le sue lattine, che poi si diffusero nei beershop di tutta Europa.

Mentre il fenomeno cresceva, molti si resero conto dei vantaggi che garantiva questo contenitore in termini di grafica e impatto visivo. Alcuni birrifici hanno cominciato a farsi conoscere (o a rafforzare la propria immagine) grazie a lattine esteticamente curate, come Beavertown, 21st Amendment, Commonwealth, Dank Candy, Mikkeller, Fort Point, Monument City, Indeed e tanti, tantissimi altri. La possibilità di rivestire totalmente il contenitore con grafiche accattivanti ha aperto nuovi scenari in termini di packaging e marketing, non limitando i birrifici a incastonare il design nei pochi centimetri quadri di un’etichetta. Questo fattore, oltre a una costante educazione nei confronti dei consumatori, ha permesso di superare le resistenze mentali di molte persone, che negli anni ho scoperto essere molto più diffuse di quanto pensassi.

Le lattine hanno cambiato faccia alla birra artigianale. Particolarmente apprezzate dalla fascia giovane dei bevitori, hanno permesso di rinnovare l’immagine del mercato e di cancellare quell’aura di prodotto elitario che spesso contraddistingue il nostro segmento – motivo per cui molti ancora non riescono ad accettare questo contenitore. Oltre ai freni mentali, la sua adozione è stata ostacolata dal prezzo esorbitante degli impianti di inlattinamento, almeno finché i produttori non hanno lanciato configurazioni ad hoc o non sono emerse altre soluzioni. Oggi si sta diffondendo con decisione anche nel nostro paese: al momento i birrifici italiani che le utilizzano dovrebbero essere quasi una ventina. Alcuni hanno potuto cominciare a sperimentare l’alluminio attraverso inlattinatori “gipsy”: aziende cioè forniscono servizio di inlattinamento “a domicilio”, grazie a linee trasportabili.

L’ultimo colpo a favore del contenitore è arrivato proprio con le New England IPA e in generale con la diffusione di stili da bere “freschi”. Sono diversi i birrifici che consigliano di consumare alcune loro birre in lattina, se non addirittura dalla lattina stessa! Un consiglio, quest’ultimo, che può lasciare perplessi e che non è difficile accogliere come un campanello di allarme: tutti i fenomeni di successo portano con sé evoluzioni non particolarmente ortodosse, che in alcuni casi raggiungono dimensioni ragguardevoli.

Così se la diffusione della lattina per certi stili birrari può apparire logica se non addirittura auspicabile, è in altri contesti che il ricorso all’alluminio non convince particolarmente. Soprattutto quando invade realtà legate alle antiche tradizioni del passato. Situazione avvenuta recentemente con il birrificio Mahr’s di Bamberga, che qualche giorno fa ha annunciato le sue lattine da 33 cl: le prime birre a finire nel contenitore cilindrico sono state la Helles e soprattutto la mitica Ungespundet Naturtrub (per gli amici semplicemente U). E lo stesso giorno è arrivato un annuncio analogo da parte di Timmermans, storico produttore di Lambic: in questo caso però il ricorso all’alluminio dovrebbe riguardare solo gli eretici prodotti addizionati con aromi artificiali. Comunque sia, è indubbio che la tendenza sta travalicando i confini delle tipologie brassicole particolarmente indicate allo scopo.

Apparse nel mondo craft pià di quindici anni fa, le lattine sono destinate a crescere ancora nel prossimo futuro. Sono un’innovazione importante, che personalmente ho sempre accolto con favore e curiosità. Chiaramente rappresentano un’opportunità, a patto di utilizzarle nel modo corretto. Finora il loro avvento ha portato molti vantaggi e poche perplessità. Speriamo che il trend continui su questa strada.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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