Cimec

Una visione parziale e personale della birra nel Pacific Northwest

Il bello di viaggiare all’estero per la birra risiede non solo nella possibilità di assaggiare prodotti particolari e virtualmente irreperibili nel nostro paese, ma anche di entrare in contatto con culture diverse e con un differente modo di rapportarsi con la bevanda. Ne abbiamo un esempio visitando le roccaforti brassicole della Germania, i pub del Regno Unito, i caffè del Belgio e le birrerie della Repubblica Ceca. Ma in realtà ogni viaggio offre spunti peculiari, che permettono di capire come la birra è concepita e consumata in contesti distanti dal nostro, dal punto di vista culturale o meramente geografico. Così anche la mia recente vacanza nel Pacific Northwest (detta anche Cascadia) mi ha fornito un punto di vista privilegiato per comprendere – almeno in parte – quali sono gli elementi che caratterizzano la locale scena birraria. Una scena considerata tra le più valide e attive al mondo, ma non priva di alcune componenti opinabili.

Il livello di penetrazione della birra craft

Come ho avuto modo di ripetere nelle tre puntate del report di viaggio, nel Pacific Northwest la birra artigianale è praticamente onnipresente. La regola vale soprattutto nelle grandi città (Portland, Seattle, Vancouver), ma è riscontrabile anche nei piccoli centri abitati, se non addirittura nei villaggi di pescatori disseminati lungo la splendida costa. Prendete Astoria, cittadina di neanche 10.000 anime: basta passeggiare tra il lungomare e le vie appena limitrofe per incrociare almeno quattro birrifici. E difficilmente incontrerete ristoranti privi di un impianto di spillatura o, nella peggiore delle ipotesi, di una selezione in bottiglia. Su questo telaio si è sviluppato l’interesse collettivo per tutto ciò che è prodotto da piccole fabbriche indipendenti: numerose ad esempio sono le torrefazioni artigianali, ma il discorso si può estendere ai produttori di sidro, di distillati e, ovviamente, di birra.

Il risultato è che la birra craft è davvero reperibile a ogni angolo. Ma rispetto a quello che succede in certe parti d’Italia – dove il fenomeno ha apparentemente raggiunto dimensioni analoghe – nel Pacific Northwest è effettivamente giustificato dalla predisposizione della popolazione: la birra non è una moda temporanea, ma una bevanda quotidiana che viene bevuta in ogni momento della giornata. In altri termini i consumi sono enormemente maggiori (in Oregon intorno ai 115 litri annui pro capite, da noi non arrivano a 32) e questo permette all’intero settore di prosperare da decenni. I locali non piazzano birra artigianale perché “lo fanno tutti”, ma perché c’è una reale e solida richiesta da parte dei consumatori.

La narrazione del fenomeno sui canali mainstream

La penetrazione della birra craft è tale da essere citata espressamente dalle guide turistiche mainstream, che le dedicano interi paragrafi. Non sempre però è condivisibile il ritratto che viene proposto: spesso per queste pubblicazioni la birra artigianale nel Pacific Northwest è un fenomeno a uso e consumo di hipster e beer geek, caratterizzato da produzioni aromatizzate in maniera a dir poco curiosa. Chiaramente esistono anche eccessi del genere, ma un simile racconto è assai superficiale. A parte i pochi luoghi impostati appositamente per soddisfare le aspettative di un certo tipo di consumatori, la maggior parte dei birrifici e dei pub sono frequentati da una clientela variegata e trasversale: gente che ha solo voglia di farsi una chiacchierata davanti a una birra, magari a conclusione della giornata lavorativa. Quindi a dispetto di quello che vi capiterà di leggere, non pensiate di dover partire con un bagaglio sconfinato di nozioni birrarie, o di dover condividere il vostro tavolo con dei beer nerd. Come spiegato, la birra craft è una bevanda quotidiana e bevuta da tutti.

Expectations versus reality

A costo di apparire blasfemo, sulla qualità della birra bevuta nel Pacific Northwest avanzo qualche riserva. Capiamoci: il livello medio è molto alto e su alcune tipologie troverete vere e proprie perle. Ma erano alte anche le mie aspettative iniziali, che non sempre hanno trovato conferma sul campo. Se quindi vi aspettate un paradiso birrario capace di regalarvi solo indimenticabili gioie, temo che dovrete ricredervi. I passaggi a vuoto non mancheranno e in alcune occasioni vi capiterà di alzare il sopracciglio pensando: “Ma davvero è tutto qui?”. L’impressione è che anche nel Pacific Northwest l’hype nei confronti di alcuni produttori sia giustificato solo in minima parte e che i risultati peggiori si incontrino quando ci si allontana dal seminato, in particolare con birre aromatizzate in maniera particolare o con le tendenze più recenti (NE IPA, Brut IPA, ecc.).

Tantissime Hazy IPA, zero Cascadian Dark Ale

Prima di partire sapevo che avrei incontrato pochissime Cascadian Dark Ale: nonostante questa tipologia sia tipica della Cascadia (cioè del Pacific Northwest), le rispettive incarnazioni non sono molto diffuse e una delle più reperibili in Oregon è in realtà originaria dell’Idaho (stato che rientra comunque nella definizione più inclusiva di Cascadia). Tuttavia mai mi sarei aspettato di non trovarne neanche una tra le spine dei locali che ho visitato: non che ne abbia sentito la mancanza, ma è un dato piuttosto curioso. Probabilmente sono più facilmente reperibili nei territori interni, oppure semplicemente la loro moda è svanita velocemente – come, in effetti, nel resto del mondo.

Sono invece ampiamente reperibili le Hazy IPA o comunque le birre torbide che fanno il verso alle IPA del New England. Anche in questo caso i risultati sono altalenanti: alcuni produttori si dimostrano straordinari con questa specialità, altri invece si posizionano su un livello mediocre o anonimo. Sono ampiamente diffuse tra Oregon e Washington, ma è soprattutto in Canada che le ho incontrate con maggiore frequenza, talvolta senza che neanche fossero “dichiarate” nel menu. Ordini una IPA e ti ritrovi un succo di frutta: una stranezza che i consumatori meno smaliziati accetterebbero malvolentieri in Italia, ma che probabilmente in Canada ormai rappresenta la normalità (anche nei ristoranti).

La sorpresa: le Cream Ale

Quello delle Cream Ale è uno stile quasi sconosciuto e uno dei pochi propri della cultura brassicola statunitense. Nacquero nel periodo pre-proibizionista, quando i birrifici artigianali tentarono di controbattere alla crescente popolarità delle Lager industriali con un prodotto simile sotto molti punti di vista. Prima del mio viaggio mi era capitato di assaggiare qualche interpretazione europea di Cream Ale, ma averlo fatto nella loro patria ha cambiato totalmente la mia idea dello stile. Quella del Pelican a Cape Kiwanda, ad esempio, è effettivamente molto simile a una Lager industriale (ma in senso buono): il corpo è leggerissimo, la componente maltata poco evidente e la luppolatura assai delicata. Sono birre che vanno giù con una facilità sorprendente e che evitano gli eccessi, anche in termini di luppolo, ma che rimangono decisamente appaganti. Ancora una volta ho avuto la conferma che certe tipologie, per essere comprese fino in fondo, vanno bevute nella loro nazione di origine.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

Leggi anche

Come alcuni birrifici italiani hanno iniziato a confezionare beer cocktail premiscelati

Dopo anni di riluttanza, negli ultimi tempi il settore della birra sembra aver sposato con …

Ultimi ritrovati dal mondo del luppolo: Phantasm, Kohia Nelson e YCH 702

Le birre luppolate dominano la scena della birra artigianale ormai da decenni. Cambiano i gusti, …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *