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E ora i marchi crafty di AB Inbev vendono più di qualsiasi birrificio artigianale

Tutte le volte che su Cronache di Birra o in altre sedi ho parlato del fenomeno delle acquisizioni dell’industria, ho sempre sottolineato il pericolo di un ritorno a un mercato piatto, anonimo e scialbo, cioè esattamente quello che esisteva prima della rivoluzione della birra artigianale. Chiaramente la singola cessione di un birrificio a una multinazionale non apporta alcun cambiamento nell’immediato, tuttavia bisognerebbe ragionare sulla tendenza generale e nel lungo termine. Lo spazio ottenuto dai marchi crafty grazie alla potenza di fuoco dei colossi del settore è destinato a sottrarre risorse alle aziende indipendenti: il rischio è di ritrovarci nel giro di pochi anni con un numero limitato di birrifici artigianali e con un mercato privo di innovazioni, originalità e passione. Purtroppo i dati provenienti dagli Stati Uniti sembrano confermare questa previsione.

Come riportato da Food & Wine, infatti, recentemente la multinazionale AB Inbev ha ottenuto un importante primato nel segmento delle birre artigianali. Se consideriamo infatti tutti i marchi ex-craft acquisiti in questi anni dalla compagnia (10 Barrel, Goose Island, Elysian, Four Peaks, Wicked Weed e molti altri), oggi AB Inbev è il primo gruppo brassicolo negli USA per vendita di birre artigianali o presunte tali. Un obiettivo neanche immaginabile sette anni fa, quando ufficialmente cominciò l’era dello shopping nel comparto craft con l’acquisizione di Goose Island. Evidentemente la strategia della multinazionale sta dando i suoi frutti.

Occorre specificare che l’analisi ha tenuto conto solo di uno specifico canale, rappresentato da punti di vendita selezionati come alimentari e minimarket, ma non certo di secondo interesse per il mercato statunitense. Ebbene, nell’ultimo anno i marchi controllati da AB-Inbev hanno superato i 107 milioni di dollari, registrando uno stratosferico +20% e surclassando i due principali birrifici craft americani: Sierra Nevada, ferma a 100,7 milioni (+2%), e Boston Beer, addirittura in regresso del 6,5% (94,4 milioni). Se allarghiamo lo sguardo alla birra alla spina, Boston Beer ancora domina il mercato, ma per molti analisti anche in questo segmento il primato è destinato a passare nelle mani della suddetta multinazionale.

Il traguardo raggiunto da AB Inbev ha un pesante valore simbolico, che dovrebbe far riflettere tutti sul futuro del movimento internazionale della birra artigianale. Come spiega correttamente Mike Pomranz sul già citato Food & Wine:

Per tutti coloro che ancora si chiedono perché preoccuparsi di certe operazioni, è importante sottolineare che questi dati presentano due questioni principali. Innanzitutto, da un punto di vista più ampio, la birra artigianale cominciò a svilupparsi tra gli anni ’70 e ’80 come una diretta reazione a una scena birraria consolidata, che non lasciava spazio all’innovazione. Oggi negli USA sono presenti più di 6.000 marchi birrari e ciò significa che difficilmente assisteremo a una concentrazione del mercato in una dozzina di birrifici come in passato, almeno nel breve termine. Tuttavia simili trasformazioni devono pur avere un punto di partenza ed è quello a cui probabilmente stiamo assistendo.

In secondo luogo, questi dati dimostrano che la strategia di AB Inbev sta funzionando – i suoi marchi crafty stanno crescendo, a differenza di un’azienda come Boston Beer. Certo, si potrebbe obiettare che dieci piccoli marchi hanno più possibilità di crescere di uno solo di grandi dimensioni (Boston Beer), ma questo è esattamente il piano della multinazionale: acquisire diversi birrifici artigianali e farli crescere sotto un unico ombrello.

E ovviamente è impossibile non allargare l’analisi e i relativi timori al mercato globale della birra, considerando che sono diversi i birrifici di tutto il mondo passati recentemente nelle mani delle multinazionali – la stessa AB Inbev, ad esempio, in Italia possiede il 100% delle quote di Birra del Borgo. È fin troppo facile concordare con l’osservazione di Scott Metzger, fondatore di Freetail Brewing:

Se le multinazionali stanno guadagnando terreno, significa che qualcun altro lo sta perdendo.

Ma essere facili profeti in queste dinamiche è scontato. Soprattutto in Italia il mercato della birra artigianale è limitato e i suoi protagonisti sono piccole aziende indipendenti ancora piuttosto fragili. Se le multinazionali arrivano con la loro potenza di fuoco – che per carità è un fatto totalmente lecito, almeno finché non mettono in atto strategie ostili – è logico pensare che le conseguenze potrebbero essere traumatiche per molti microbirrifici. Se non nell’immediato, sicuramente nel medio e lungo termine. Ignorare questo semplice effetto significa non aver a cuore la birra artigianale.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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Un commento

  1. Il brutto della cosa è che sono gli stessi micro birrifici a permetterglielo, che non riescono ad uscire dal concetto di nicchia e in alcuni casi di super nicchia, dove si sono autonomamente relegati. Il vero potenziale dei micro birrifici non è nemmeno ancora stato sfiorato. Leggo parole come rivoluzione e innovazione, quando bisognerebbe pensare a: riproposta o a tradizione, di quanto è sempre esistito.

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