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La Tipopils, la (presunta) Tipo Pils e altre strane omonimie

Qualche settimana fa Simone Monetti di Unionbirrai ha sollevato una questione interessante, relativa alla presenza nel panorama italiano di birre dai nomi molto simili, se non addirittura identici. Un aspetto che mi era capitato di notare sfogliando l’indice analitico della Guida alle Birre d’Italia di Slow Food, dove con un semplice colpo d’occhio si possono notare curiose analogie tra le produzioni di diversi birrifici. Purtroppo non si tratta di semplice assenza di creatività, quanto piuttosto di una mancata indagine su quanto già offre il mercato – attività che non andrebbe mai trascurata. E le sovrapposizioni di nomi a volte sono così evidenti da lasciar assolutamente perplessi, proprio come è capitato per il caso che ha sollecitato la riflessione.

La birra incriminata è la Pils del produttore Le Coti Nere, che con estrema fantasia è stata chiamata Tipo Pils. Sì, proprio come la storica ammiraglia del Birrificio Italiano (spazio a parte), che ha praticamente segnato le prime fasi del boom artigianale nazionale. Una similitudine talmente eclatante da lasciare persino dubbi sulla buona fede di chi ha deciso il nome per la lager del birrificio toscano. Ma anche accettando di pensare che il tutto sia nato dalla semplice disinformazione sulla realtà brassicola italiana, le conclusioni non sono certo consolatorie.

Attenzione: il caso segnalato qui sopra nasce in realtà da un errore partito dal sito Microbirrifici.org e ripreso da più persone, compreso il sottoscritto. Mi scuso con il birrificio Le Coti Nere, che nella propria linea non presenta alcuna birra chiamata Tipo Pils. Parimenti mi scuso con tutti i lettori per non aver approfondito la questione. L’argomento generale rimane tuttavia valido, perché quello in questione sarebbe stato semplicemente l’esempio più eclatante in un fenomeno che comunque esiste e che ho analizzato di seguito.

Sebbene in alcune circostanze sia difficile persino convincersi della buona fede di chi è in errore, nella maggior parte dei casi le omonimie nascono da una mancata conoscenza del mercato. Una causa che ritengo comunque grave: sarebbe infatti una leggerezza imperdonabile per chi è in procinto di lanciare un nuovo prodotto sul mercato. In tal caso una delle prime attività da portare a termine è informarsi su ciò che offre la concorrenza, anche per evitare problemi che possono arrivare a coinvolgere le aule di tribunale (negli USA ad esempio c’è un famoso precedente).

Come accennavo in apertura, mi è bastato sfogliare l’indice analitico della guida in questione per notare curiose omonimie. E non sto certo parlando delle tante “Bionda”, “Rossa” o “Chiara” dalle quali molti birrifici sembrano non saper prescindere. Abbiamo ad esempio la Caesar di Atlas Coelestis e quella di Gilac, la Cometa di Jeb e quella di Atlas Coelestis, la Diau di Henquet e la Diaul di Bauscia, la D’Oro di Abbà e quella di Opus Grain, la Fredric di Almond ’22 e la Fredrik de La Terra e il Sole, la Gaia di Boero e quella di Statalenove, la Marilyn del Birrificio di Como e quella di Karma, la Mathias di Bicu e la Matthias di Maiella, la Morgana del birrificio omonimo e quella di Mostodolce, la Nicolas di Bicu e quella di Lion, la Porpora del Lambrate e quella di Hops! Civitanova, la Sibilla di Praforte e quella di Toccalmatto, la Sophia de La Buttiga e la Sophie di Gilac, la SpeziAle di Lungo Sorso e la Speziale di Trunasse, la Vertigo di Orso Verde e quella di Stazione Birra.

Nel Lazio ha in passato suscitato perplessità la IrreAle di Birradamare, simile nel nome alla Re Ale di Birra del Borgo. A Roma si registra persino un’analogia tra due produttori della stessa città: Atlas Coelestis produce una Spica Weizen, mentre Stazione Birra una Spiga Weizen. D’accordo che il frumento è l’elemento fondamentale di questo stile birrario, ma un nome così simile a pochi chilometri di distanza lascia quantomeno interdetti.

Sicuramente di mancanza di creatività bisogna parlare quando si analizza il proliferare di tante birre che nel nome presentano il suffisso -ale. Questa parola in inglese indica le produzioni ad alta fermentazione e il suo adattamento alla lingua italiana è così evidente che è utilizzata in molti casi. Ormai troppi, tenderei a dire, visto che la divertente trovata del suffisso di origine anglosassone è diventata una moda alquanto stucchevole, che sarebbe il caso di abbandonare.

Tornando al discorso iniziale, quasi tutti i casi di omonimia sono dettati dalla mancata conoscenza del mercato in cui si opera. In passato proprio su Cronache si risolse un problema di questo tipo, quando Gianluca de La Piazza intervenne in merito al disguido sollevato dalla nuova Pils della casa, chiamata esattamente come lo slogan del Pils Pride (“Pils&Love”). Il caso era nato perché a La Piazza non erano a conoscenza dell’utilizzo del nome.

Per chi opera in un determinato mercato, non conoscerne i dettagli è una grave lacuna. Soprattutto quando si parla di nomi e di nuovi prodotti da lanciare. Come ha scritto Tyrser denota mancanza di fantasia e di esclusività, poco interesse nella cultura e nell’informazione birraria. In parole povere: assenza di carattere. Nonché umiltà nell’osservare gli altri (Lelio dixit). Insomma, è un aspetto che mostra un certo grado di approssimazione, che invece bisognerebbe evitare. Come minima consolazione, si può constatare che non è un malcostume diffuso solamente nel mondo della birra artigianale.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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53 Commenti

  1. Omonimia per mancata conoscenza del mercato? Non so, io penso che invece siano mosse astutamente ragionate proprio per dare visibilità al prodotto e far sì che se ne parli…

  2. @Patrick
    D’accordo, ma a parte i nomi più conosciuti, che vantaggio avresti nel chiamare una birra Cometa, Morgana o Gaia?

  3. io invece penso che sia proprio disinformazione dei birrai come sostenuto dall’articolo (anche se “tipo pils…”)
    Purtroppo non si ferma solo ai nomi o alle birre italiane esistenti il problema. Temo che che questa ignoranza riguardi proprio la birra come materia.

  4. http://www.birrificio.it/f_tipopils.htm

    quella R cerchiata a fianco del nome significa che, ignoranza o malafede, conviene che cambino il nome alla svelta…

  5. A mio avviso la disinformazione non può e non deve essere una giustificazione.
    Capisco che non è più semplice come una volta stare dietro a tutte le uscite ma a volte basta digitare il nome della birra su google per essere sicuri che non esista in produzione.
    Il caso “tipo pils” è troppo palese mentre sarei più permissivo nel caso Reale/Irreale,tutto sommato hanno due sensi diversi e ci può stare.

  6. completamente d’accordo con Mauro.

  7. Nel caso dei nomi più noti la vedo proprio difficile che si tratti d’ignoranza; quella poi ci può essere nella materia stessa a prescindere, come dice giustamente INDASTRIA.

    Il punto è che, anche in buona fede, mi sembra sbagliato l’atteggiamento. Stai per dare il nome a un tuo prodotto, be’, documentarsi prima? L’ignoranza, a livello legislativo, non è una giustificazione per eventuali grane…

  8. Fai una birra artigianale e non conosci la Tipopils del Birrificio Italiano? Io ne dubito. E se non la conosci, non comprerò mai la tua birra

  9. ehm pier…
    che centra che se sei un birraio devi per forza conoscere la Tipopils, questa è una baggianata…
    un birraio non lavora basandosi sugli altri almeno credo…
    comunque che sia stato in buona fede o no la Tipopils è trademarked quindi le Coti Nere dovranno cambiare nome.

  10. @ciccio
    e perché mai una baggianata? Tu lanceresti sul mercato una macchina di nome Punto?

  11. La Tipopils non si può non conoscere. Poi i gusti sono gusti, ma in Italia se c’è da andare orgogliosi per una birra quella è la Tipopils.

  12. bè, per non conoscere la tipopils c’è ne vuole di ignoranza…credo che non solo dovrebbero conscere gli stili ma anche i nomi delle avversarie, l’esempio azzeccato l’ha fatto andrea…la dahiatsu non credo lancerebbe mai la dahiatsu punto…o la mercedes Enzo….ahahhaha!

  13. Spezzo una lancia per Statale 9, Gaia è il nome della figlia del birraio Filippo Bitelli e le ha voluto dedicare una birra.
    Almeno in questo caso non gliene farei una colpa.

  14. io invece non faccio fatica a pensare che qualche birraio non conosca la tipopils…

  15. @Andrea

    Solo un appunto, penso che la birra del Bicu sia chiami Nicolaus e non Nicolas 😉

  16. Cos’è un nome
    Senza un cognome?

    Originalità.
    Birre prodotte su ricetta arrivata con l’impianto.
    Ma che dico.
    Estratto!

    Tipo Bionda
    Tipo Rossa
    E non mancate la nostra famosa
    Tipo Doppio Malto.

    Certo che in un impeto di doppiosensismo
    Io l’avrei chiamata
    Tipo Tipopils.

    O anche Tipo Tipo

    Beviamoci su.

  17. Bah il nome è una cosa importante…certo la figlia si chiama Gaia ma se qualcuno l’ha già fatto DEVI cambiare. Te tocca abbozzare c’è arrivato uno prima di te ed è così che funziona quasi per tutto. Per quanto riguarda il fatto che un birraio che si lancia sul mercato non conosca la Tipopils vuol dire che non l’ha mai bevuta e che non conosce la storia della birra artigianale italiana e quindi io mi chiedo: ma sei proprio sicuro di voler fare birra?
    Io la vedo così.
    Ciao Tiploplis…

  18. Probabilmente tra questo mare di doppioni ci saranno sia i furbi e sia gli ingenui…
    cmq, se un marchio è registrato l’usurpazione può costare caro.

    Sicuramente usando parole composte che contengono “ale” “ipa” “pils” il risciho di incappare con un doppione è elevato.
    Anche se molti ne hanno le scatole piene dei giochi di parole fatti con suffissi e prefissi, questi servono anche ad identificare la tipologia di birra.

    @UB
    Ma la soluzione a questo problema quale sarebbe?
    un albo, un registro, un’anagrafe delle birre?
    Con bionde, rosse e brune come la mattiamo poi?

  19. Al di là delle considerazioni di “furberie” o ignoranze varie, credo sia importante ricordare che la scelta del nome per un prodotto ha una grande importanza sul successo che il prodotto, una volta immesso sul mercato, possa avere.

    Non a caso, prodotti con concorrenza feroce, assumuno agenzie di comunicazione e marketing di tutto rispetto spendendo cifre percentualmente considerevoli sul fatturato.

    Adesso non voglio dire che vanno scomodati le varie Saatchi & Saatchi e gli altri guru della comunicazione, ma forse una girata su google (peraltro gratis) eviterebbe situazioni imbarazzanti o peggio, “legali”…..

    Certo il caso “estremo” della Gaia di Filippo è molto particolare e non privo di una certa tenerezza….ma forse cambiare il nome alla figlia è più difficile.

    Cheers,
    Andrea

    n.b. in ogni caso puoi anche non aver mai bevuto la Tipopils, ma DEVI conoscerla…..si chiama benchmarking 😉

  20. il problema della birra italiana è proprio il benchmarking mi sa. Ognuno è convinto di fare grandi birre perché non ne conosce molte.

    CMQ, davvero, io conosco operatori del settore che non hanno nemmeno idea di cosa sia la birra artigianale. Casomai conoscono sì (di nome) baladin e birra del borgo, ma gli sfuggono lambrate e B.I. per dire (nomi random).

    c’è un altro caso sempre del birrificio italiano: mentre cercavo info sulla fleurette, mi son reso conto che la russian river fa (ha fatto?) una birra con lo stesso nome. Caso più perdonabile?

  21. simone monetti

    Buongiorno a tutti! Ovviamente la mia riflessione era generale: i singoli casi mi interessano poco ed ovviamente per ognuno possiamo trovare pro e contro.
    Ritengo che però il fenomeno sia significativo e ci possa dare più di uno spunto sul nostro mondo.
    Per stare sul leggero mi lancio in considerazioni di tipo storico.
    Cronologicamente possiamo individuare tra i birrai i pionieri, coloro che hanno iniziato l’attività con il mito dei pionieri e in ultimo (mi scuso immediatamente per la forzata generalizzazione), gli “individualisti”.
    Per i secondi, a cui personalmente appartengo, era molto appassionante confrontarsi e conoscere il lavoro dei propri colleghi e questo anche senza l’ausilio di forum e social network.
    Per i terzi a mio avviso non lo è, e questo nonostante internet costituisca un possibile valido aiuto.
    @velleitario: penso che con la frenesia di nuove aperture e nuove birre sia abbastanza difficile pensare ad una anagrafe: e poi, è davvero un problema in sè?

  22. @Indastria
    Le omonimie con le birre estere secondo me ci stanno: alla fine si opera su mercati che non hanno punti di contatto (quasi mai). Inoltre se iniziamo a scartare tutti i nomi delle birre del mondo, credo ne rimangano davvero pochi 🙂

  23. @andrea sono perfettamente d’accordo

  24. se mai farò una birra la chiamerò Antani.

  25. @ Andrea Turco

    :-)…..non credo che se un birrificio italico chiamasse la sua birra (magari stout) Guinnes, a Dublino fanno finta di nulla…. :-))))……

    ovviamente ho perfettamente capito il tuo intervento, era solo un “celiare” dovuto alla fame 🙂

    ciao

  26. @Simone Monetti
    x me non è assolutamente un problema e credo che non lo sia per chi conosce le birre e usa internet.
    Il problema ci potrebbe stare tra i birrifici che vorranno contendersi l’esclusività del nome e a quel punto, forse, potrebbe diventare anche un problema di UnionBirrai (come associazione di categoria).

    @Drachen
    Ora che hai svelato il nome te lo ruberanno sicuramente 😀

  27. simone monetti

    @velleitario
    non intendevo dire che fosse un problema per te…l’esclusività a mio avviso la si ottiene solo registrando il marchio

  28. Straquoto indastria, se il problema della birra artigianale Italiana fosse solo nei nomi, saremmo molto più avanti. Strano però che i birrai Italiani, generalizzando, sono più famosi per la fantasia che per la qualità, ora però anche quella sembra venir meno. CIAO.

  29. Le birre italiane sono famose per i prezzi alti. Sulla qualità vorrei spendere una parolina in più. Fino a 10-15 anni fa in Italia si beveva peggio che in Spagna e Grecia, adesso abbiamo una qualità media della birra che ci permette di competere con i migliori paesi europei. All’estero si dice di noi che la birra italiana “fa curiosità” e a volte anche un po’ snob, poi magari la nostra birra non viene così apprezzata perchè non è sempre ortodossa. Ma classiconi come la Tipopils di cui si parlava prima sono dei mostri sacri sui quali nessuno può discutere. Io trovo che la qualità della birra artigianale italiana sia molto più alta di quanto viene percepita dalla media, e forse un pelino sopravvalutata dagli addetti ai lavori. Sul lato fantasia, però (e aggiungerei anche dal punto di vista del packaging) siamo su eccellenti livelli.

  30. State facendo un bordello , conosco personalmente il birraio delle coti nere e vi assicuro che nella loro produzione non vi è nessuna birra chiamata tipopils.
    Le birre prodotte se non erro si chiamano nove marroni , domina pils , domina ambrata ,
    Affumata, nynkasj blanche.
    ps. la tipopils del birrificio italiano la conoscono anche i bimbi.
    cordialmente.
    David.
    w la birra di qualità.

  31. @INDASTRIA

    Ricordo un batch di Fleurette del Birrificio Italiano fatto da Agostino con Vinnie Cilurzo a Sonoma, 3/4 anni fa se non erro.

    @David

    Straquoto! http://www.birradellelba.com/img/retro.pdf “DOMINA capsula bianca: tipo pils birra classica semplice…” – anche noi, non solo i birrai, una gugolata sarebbe sempre meglio farla.

    Dato che come Birrificio OM anche noi stiamo lavorando ai nomi delle future birre dico la mia: trovare un nome bello, immediato, efficace, significativo e vocalmente piacevole è sicuramente difficile (in lingua Italiana forse ancor più), e mi trovo comunque d’accordissimo sul fatto che i nomi uguali o con assonanze/consonanze particolarmente simili siano una grossa piaga per il mondo della birra artigianale italiana e non solo (oltre a creare guai legali notevoli).

    Dato che tutti i nomi delle nostre birre sono/saranno registrati con estensione nazionale, se può interessare elenco il nostro iter:
    1) Ricerca indipendente su Google prima e microbirrifici.org poi (gratuite e immediate)
    2) Ricerca su banche dati nazionali e internazionali online (da poco altrettanto gratuite, certo un po’ meno immediate), sia in classificazione di Nizza #32 (birre, acque minerali e bibite) sia a livello generico:
    http://www.uibm.gov.it/uibm/dati/avanzata.aspx
    http://oami.europa.eu/ows/rw/pages/index.it.do
    http://wipo.int/romarin/

  32. La cosa figa e’ che adesso anche le associazioni si copiano…
    MOBI-Campionato Italiano Home Brewing (CIHB)
    ADB-Campionato Italiano Home Brewer (CIHB)

    Alla faccia della fantasia italica. Non so chi ha copiato chi, pero’ un po’ di attenzione in effetti non guasterebbe…

  33. @David
    Che stavolta Microbirrifici.org abbia toppato? Cerco di informarmi (non metto certo in dubbio ciò che scrivi) e poi eventualmente aggiusto il tiro. Comunque il discorso di fondo rimane valido, quello è (sarebbe) solo il caso più eclatante…

  34. Andiamo tutti all’Elba per farci perdonare!

  35. ciao a tutti
    credo di poter confermare che nella produzione del birrificio Le Coti Nere non ci sia nessuna birra chiamata Tipo Pils…
    io ci sono stato l’anno scorso e come potete vedere dal link messo da Leo quelle sono le birre di produzione del birrificio alle quali si aggiungono la nove marroni e la nuova birra del palombaro…
    e comunque vi consiglierei veramente di andare a fare un giro all’isola d’Elba… isola stupenda… e ottime birre…

  36. il mio amico Marco ed io al Makke:
    M:che te stai a beve?
    P:Tipopils
    M:ok,e che birra è?
    P:te l’ho detto,Tipopils!
    M:ho capito che è tipo pils ma che birra è?!
    P:è NA TIPOPILS PORCA PALETTA!
    (ecc.ecc.)

  37. @leo: avevo pensato anche ad una collaborazione infatti.

  38. E’ inutile girarci intorno, sono operazioni di marketing belle e buone, soprattutto in casi eclatanti. Toglierei casi come Frederic e Fredrik, Gaia e via dicendo, lì sembrano proprio dei casi dovuti a scarsa informazione (basterebbe guglare…) che fanno parte dell’approssimazione che gira in questo mondo, poco conta…ma lanciare sul mercato soprattutto romano una birra come L’Irreale che oltretutto era sullo stesso stile della Reale, lanciato da chi conosce benissimo le potenzialità e la diffusione sul mercato laziale di quella birra mi sembra alquanto discutibile…e di cattivo gusto.

  39. A me irreale e reale sembrano due cose talmente diverse che non riesco neanche a capire perchè ci si deve indignare.
    Ma una volta non era la qualità della birra quella che faceva la differenza?

    Poi, se siamo a corto di idee polemicogene, tutto va bene, s’intende.
    L’importante è essere sempre tutti contro tutti.

    Orchidea!

  40. io penso che un po’ colonna abbia ragione. Cioè, irreale (bel nome devo dire) è davvero una furbata sembra e non sembra 😀

  41. simone monetti

    Ci tengo a ribadirlo: il mio intervento non aveva nessun fine polemico. Se i segnali che colgo sono sbagliati sinceramente sono contento di sbagliarmi.

  42. @Livingstone
    Due cose talmente diverse? Anche se un termine è il preciso opposto semantico dell’altro?

  43. Gent. Sig. Turco

    Ma come niente più nomi che finiscono in -ale!
    Devo forse rinunciare definitivamente al mio sogno di veder un giorno realizzata la “Maiale”?
    (una maibock aromatizzata alle ghiande)

  44. Gent. Sig. Demis

    E’ evidente che saremmo tutti ben contenti di concedere un’eccezione alla regola pur di soddisfare la sua storica perversione. Inoltre per lei il suffisso -ale sarebbe solo un pretesto per il nome della birra, visto che la ricetta è una bassa fermentazione e non una Ale.

  45. Benchmarking? Marketing? Marchi Registrati? Azioni legali?
    Ma parlate di Heineken e McDonalds o di microbirrifici artigianali
    con il birraio che fa la cotta, imbottiglia e vende? Comparate un
    microbirrificio da 300 hl/anno con Mercedes o Fiat?
    Il grande Farinetti disse nella presentazione del libro sul marketing
    di Eataly che se gli dicono che qualcuno in giro ha chiamato
    un’attività con un nome simile li contatta, li va a trovare e con un
    po’ di fortuna riesce a vendergli qualcosa. E se no, chi se ne frega,
    il cliente non è stupido e sa distinguere.
    Sarebbe più bello se una telefonata tra birrai (come succede spesso)
    sistemasse le cose in queste occasioni magari con una bevuta assieme
    meglio che far ridere gli avvocati.
    Grande rispetto ai pioneri, che si son trovati liberi e hanno
    registrato nomi come http://www.birrificio.it, Birrificio Italiano,
    http://www.birreria.it, Tipopils, nomi generici che non sarebbero
    registrabili e che pertanto davanti a una causa non so come si
    finirebbe… ma non avevo detto di lasciare fuori gli avvocati? Vado a
    registrare mio nome, Federico ®… non si sa mai. Salute!

  46. Mi fa piacere sapere che nessuno ha prodotto una birra dal nome Tipo Pils. E’ vero, l’importante è che la birra sia buona, ma il nome è la prima informazione che dai.

  47. cioè dopo tutto questo casino della Tipopils delle Coti Nere ed alla fine vi eravate sbagliati ?!? controllare le fonti no? che sappia io nel giornalismo è la prima cosa da fare ma a quanto sembra non è scontata.(bastava andare sul sito del produttore e guardare le produzioni..)
    Onestamente il birraio del suddetto birrificio una bella letterina dall’avvocato non avrebbe fatto male a mandarvela.
    Ora comunque le persone assoceranno le coti nere a dei copioni…
    ai ai ai ai

  48. @mauro
    A citare avvocati fuori luogo fa sempre figo, eh? Solito malcostume…
    La mia fonte era Microbirrifici, che fino a questo episodio si era sempre distinto per riportare informazioni corrette e aggiornate
    Poi ben contento di ricevere lezioni di giornalismo da te, io d’altra parte giornalista non lo sono di certo.

  49. @ mauro: non credo proprio che la “gente” assocerà coti nere a dei copioni, primo perché leggendo tutto l’articolo la realtà viene a galla (diciamo che abbiamo assistito ad un’inchiesta giornalistica in diretta, come in fondo dovrebbe essere considerato un blog, che non è un giornale). Secondo perché, con tutto il rispetto per Andrea e questo blog, non credo che ci siano poi così tanti clienti (potenziali e non) di coti nere che leggono qui…
    Anzi, nel mio caso ora sarei proprio curioso di assaggiare le loro birre (a trovarle…) mentre in caso di una letterina dell’avvocato, beh, mi sarebbe passata ogni voglia anche solo di provare le loro birre.

  50. io dico solamente che le fonti si controllano (semplice visita sul sito del birrificio, mica tanto) e se fosse il mio birrificio mi sarebbero girati non poco i cocones punto e basta, non voglio insegnare il lavoro a nessuno ci mancherebbe…

  51. @mauro
    Se dovessi attenermi a quello che leggo sui siti dei birrifici italiani, il 90% dei quali è rimasto all’età della pietra informatica per tecnologia e aggiornamenti, questo blog neanche esisterebbe. Ho le mie fonti che considero attendibili e in questo caso era Microbirrifici.org, ma non solo. La mia fonte ha sbagliato e io di conseguenza ho pagato dazio, mostrando in modo trasparente di aver scritto un’incorrettezza e chiedendo scusa a lettori e azienda. E non è scontato, te lo assicuro.
    Ora se per questo mi devi mettere in croce fai pure, ma non vorrei che sotto sotto ci fosse del prurito nei confronti di qualcuno che, in quanto consumatore, si permette di scrivere del lavoro di altri su Internet. Non sarebbe la prima volta, tutto sommato.

  52. Ci mancherebbe Andrea… non voglio mettere in croce nessuno e soprattutto non nutro risentimenti ^_^ anzi ho sempre trovato interessanti gli argomenti trattati.
    questo è proprio il caso di dire Pils and Love 😉

  53. @mauro
    Ok ci siamo chiariti. Accetto il Pils and Love 🙂

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