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Birre di un altro mondo: cosa si beve in Africa

Chi non conosce la birra spesso rimane sorpreso dal sapere che è una bevanda antichissima, prodotta dall’uomo ben prima del vino. Non è un caso che il risultato della fermentazione dei cereali sia un prodotto comune a moltissime culture, anche assolutamente distanti tra loro e non solo in termini spaziali. Immersi come siamo nella visione di un mondo occidentalizzato, spesso ci dimentichiamo che la birra è diffusa e bevuta anche in paesi a prima vista insospettabili, e che anzi rappresenta un elemento importante per le tradizioni di determinate popolazioni. Perciò a prima vista può suonarci strano che in un continente come l’Africa sia prodotta regolarmente birra artigianale e che sia bevuta da una grande fetta di popolazione. Se però riflettiamo sulla genesi storica della bevanda, il dato non è poi così sorprendente. Ma com’è la birra africana? Vediamo un paio di casi profondamente diversi…

Se avete seguito gli aggiornamenti sulla Settimana della Birra Artigianale, saprete che domenica 13 febbraio il Domus Birrae e il Ma che siete di Roma ospiteranno il birraio Christian Svokdal Andersen. Chris è danese ed è nel suo paese che ha iniziato a imporsi sulla scena birraria internazionale, prima con il marchio Ølfabrikken, poi con Beer Here.

Il suo ultimo progetto si chiama Bierwerk ed è strettamente legato all’Africa. Il motivo è molto semplice: all’inizio del 2010 Chris si è trasferito in Sud Africa, a Città del Capo, dove ha aperto il suddetto microbirrificio. Come si può leggere su In Birrerya, l’obiettivo di Bierwerk è di affermarsi in un mercato che conta 55 milioni di potenziali consumatori e solo 12 birrifici attivi, nonostante non sia escluso anche l’export verso altre nazioni. Un’idea estremamente intrigante, difficile da immaginare anche per un personaggio del calibro di Christian.

Le birre attualmente prodotte sono Constantia (realizzata con uve Sauvignon e maturata in botte), Tokoloshe (birra + idromele, maturata in botte), Ystervark (con luppolo autoctono), Aardwolf (Imperial Stout con caffè locale). Insomma, produzioni particolari e legame col territorio: concetti che non credo siano molto diffusi nel panorama brassicolo sudafricano. Se siamo fortunati, Chris riuscirà a portare qualche assaggio nell’evento capitolino… speriamo bene!

Bierwerk è dunque un progetto “moderno”, semplicemente riprodotto in un continente diverso – per di più in una nazione relativamente ricca come il Sud Africa. Esistono però esempi di birra africana decisamente più artigianale, come insegna l’esperienza di Hosam Eldin Abou Eleyoun, pubblicata sul sito dell’Ais Lombardia.

Nell’articolo in questione, che vi consiglio assolutamente di leggere, l’autore racconta l’assaggio di due birre di miglio prodotte da altrettante popolazioni del Mali: i Bobo e i Dogon. Il ricorso a cereali diversi dall’orzo è una pratica molto diffusa in molte culture del mondo, principalmente per motivi di abbondanza di materie prime. In Mali dunque si utilizza il miglio, che viene bagnato e fatto germinare, successivamente bollito e infine “attivato” con del lievito. E’ su quest’ultimo aspetto che le due birre si differenziano: i Bobo utilizzano lieviti industriali, i Dogon la fibra di baobab, ricca di lievito naturale.

Il dettaglio sembrerebbe influire parecchio sul risultato finale. L’autore non è rimasto positivamente impressionato dalla birra dei Bobo:

Non aveva profumi gradevoli e il tenore alcolico era dominante. La prima impressione è stata un poco deludente […]

Molto migliore l’esperienza con la birra dei Dogon, a causa dell’ingrediente utilizzato:

Visitando i Paesi Dogon ho potuto degustare la loro birra di miglio e debbo dire che la nostra guida aveva ragione, è molto migliore di quella prodotta dai Bobo, sicuramente il lievito naturale di fibra di baobab non riesce a completare la trasformazione in alcol di tutti gli zuccheri presenti, pertanto ha un maggior residuo zuccherino e un tenore alcolico molto contenuto, che non supera il 2% vol. Il profumo è molto gradevole, di crosta di pane, fragrante. Ha un colore giallo-ocra e generalmente è torbida. La presenza di anidride carbonica è bassissima. Questa birra è prodotta rigorosamente dalle donne di famiglie di fede cristiana o animista, ed è da loro venduta principalmente durante i mercati che si tengono nei vari villaggi.

Un reportage davvero splendido, che offre uno spaccato delle tradizioni di una popolazione africana antica e affascinante. Credo sia interessante ogni tanto deviare dalle nostre conoscenze in materia per scoprire qualcosa di nuovo sulla birra di altre culture, che dite?

Già che ci siamo vi lascio con un indovinello. C’è un birrificio italiano che ha realizzato una birra al miglio proprio per riproporre quella prodotta dalle popolazioni del Burkina Faso. La creazione è inoltre collegata a un progetto di solidarietà sociale. Di quale birrificio e di quale birra sto parlando?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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9 Commenti

  1. Gradi Plato!
    Proprio lunedì ho partecipato alla degustazione al BQ 🙂

  2. Filippo Garavaglia

    Nanorò di Grado Plato?

  3. Nanorò di Grado Plato! Ho vinto qualche cosa?

  4. Filippo Garavaglia

    wow, un minuto al photofinish!

  5. Vince Filippo per una manciata di secondi 😉

  6. Filippo Garavaglia

    festeggerò stasera con una Jugnior!

  7. ragazzi buongiorno a tutti , torno da un viaggio in zambia e congo , cerco assolutamente una bottiglia di BIRRA SIMBA prodotta in congo , penso proprio a Lubumbashi, sapete dove posso comprarla , vivo a <Roma.
    grazie

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