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Una riflessione sugli stili birrari e le regioni di appartenenza

Non ricordo se in passato abbia già fatto qualcosa di simile, in ogni modo il post di oggi trae direttamente ispirazione da una discussione nata tra i commenti dell’articolo di ieri. Raccontando la degustazione che ho condotto al Blind Pig di Roma, ho citato la Gose tra le specialità “a rischio”, in quanto prodotta al momento solo da tre birrifici in tutta la Germania. Indastria e Davide mi hanno però fatto notare che lo stile viene costantemente riproposto da birrifici stranieri, con un paio di esempi anche in Italia – sono la Saltinmalto di Bi-Du e la Marsilia di Amiata, entrambe citate dal sottoscritto martedì sera. Personalmente ho difficoltà a considerare Gose delle produzioni al sale realizzate fuori dalla zona di appartenenza (città di Lipsia e dintorni), ma la storia della birra obbliga a una riflessione più approfondita.

Pensiamo alle Blanche. In origine sono sempre rimaste circoscritte a una precisa regione del Belgio, finché la loro esistenza è entrata in pericolo a causa della crescente popolarità dei prodotti industriali. Pierre Celis ne ha riesumato la ricetta originale, donando nuova linfa a uno stile molto particolare. Oggi possiamo affermare senza problemi che le Blanche godono di ottima salute, poiché sono diffuse ovunque e prodotte da birrifici di tutto il mondo. Quante sono le Blanche esistenti? Sicuramente centinaia: il rischio di estinzione è decisamente un ricordo lontano.

Oggi non ho problemi a classificare a tutti gli effetti come Blanche una birra di questo genere realizzata da un birrificio italiano, americano o di altra nazione. Insomma, lo stile ha perso il suo legame con il territorio di origine ed è diventato “globale”. Un concetto che si può applicare anche ad altre birre, come le IPA, le Imperial Stout, le Porter e via dicendo. Certamente le Blanche di oggi sono diverse rispetto alla ricetta originale, ma le caratteristiche principali sono mantenute immutate dalle varie incarnazioni di ogni azienda brassicola.

Ci sono però stili molto particolari, che vantano un rapporto strettissimo con la zona geografica di appartenenza – in molti casi un primo indizio lo troviamo già nel nome. E’ il caso della citata Gose, o delle Kolsch di Colonia, o ancora delle Altbier di Dusseldorf. Ma potremmo menzionare ancora le Dortmunder Export o le Berliner Weisse. A differenza degli stili precedenti, ho difficoltà a considerare queste specialità al di fuori della regione natìa. Quindi non riesco a considerare Kolsch a tutti gli effetti una Rodersch del Bi-Du o una Pecan di San Paolo. Stesso discorso per la Sticher di Grado Plato, la Jatobà di San Paolo o la Negramara di Birranova. Se non è prodotta a Colonia, una Kolsch per me non è tale. Se non è prodotta a Dusseldorf, una Altbier non è tale. E via di questo passo.

Non so se anche per voi vale lo stesso discorso. A questo punto mi pongo alcune domande: ha senso associare uno stile a una zona di origine? Potranno certi stili salvarsi dal rischio di estinzione se già nel nome sono relegati a confini territoriali ben precisi? E’ giusto considerare Kolsch, Altbier o Gose quelle prodotte fuori dalla regione di appartenenza? Inoltre, ha senso parlare di zona di appartenenza quando non è facile stabilire confini precisi (le Gose sono le birre di Lipsia, ma nascono a Goslar)?

Confido nelle vostre risposte. Nel frattempo faccio notare che tutte queste specialità locali sono una particolarità della cultura birraria tedesca. Altrove qualsiasi stile è riuscito a emanciparsi dalla zona di appartenenza e a diventare globale. Esempi? Le Porter di Londra, le Pale Ale di Burton-on-Trent, le Pilsner di Plzen, le più recenti Cascadian Dark Ale.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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31 Commenti

  1. Molto interessante questa riflessione. In realtà ne implicherebbe un’altra: fino a che punto ha ancora senso parlare di stile birrario? In pratica molti stili che come hai scritto tu sono diventati globali annoverano creazioni difficilmente riconducibili alle birre diciamo così originarie. Essenziamente più uno stile è riprodotto in zone geografice e in contesti culturali diversi, più si allontana dall’interpretazione originaria. Tutto ciò a mio avviso non fa che sottolineare la vivacità e la ricchezza dell’attuale rinascita mondiale del prodotto artigianale. Dal punto di vista birrario non possiamo che dirci fortunati a vivere in questo momento. Viva la differenza!

    • A mio parere ciò denota l’incapacità di molti birrai, in tutto il mondo, a mantenere adeguata l’appartenenza ad uno stile. Stile che dovrebbe servire ad identificare un range di gusti, aromi e sentori tipici appunto dello stile. Se li snaturi che indicazione mi dai e come faccio io assetato a decidere di cosa preferisco disertarmi, se tu mi metti uno stile e poi lo snaturi? Fortuna?

      Appartenere ad uno stile non vuol dire avere birre tutte uguali, ma con delle direttive comuni, se non ti piace una tipologia, ne sceglierai un’altra, ma snaturarla è blasfemia birraria o più probabilmente incapacità.

  2. Purtroppo quando beviamo o mangiamo qualcosa il “fattore testa” incide molto, per fare un esempio banale, possiamo citare la Guinness, che quasi per magia è più buona bevuta a Dublino e non altrove, stessa cosa può valere per una Pils in Repubblica Ceca o una Rauchbier a Bamberga; pensandoci bene lo stesso succede anche con altri prodotti, anche italiani, prendiamo per esempio il nostro parmigiano reggiano, lo troviamo in tutto il mondo, ma sappiamo che non è lo stesso; stessa cosa vale per alcuni vigneti nostrani, li possiamo trovare in California, in Sud America, ma non sono gli stessi che troviamo in Piemonte o in Sicilia.
    In finale credo che gli stili possono essere considerati tali solo se vengono prodotti nella zona di origine.
    E’ pure vero però che grazie a queste “belle copie” abbiamo la possibilità di assaggiare prodotti che altrimenti sarebbero difficili da reperire, a meno che non spendiamo tutti in nostri averi in viaggi alla ricerca di prodotti di nicchia o ordini costosissimi su internet, motivo in più per spingere affinché nascano sempre più GAS (gruppi di acquisto solidale), ma questa è un’altra storia.
    Saluti

  3. O è sul posto o, per quanto ben fatto, quel determinato stile sfuma nell’interpretazione personale.
    E ben venga.
    Su qualcosa non si transige però: le fermentazioni spontanee.

  4. Le materie prime della birra, a differenza di quelle impiegate per altre produzioni, vedi il vino, sono facilmente trasportabili e conservabili. Quindi impiegando materie prime e ricette originali e modificando l’acqua a dovere, qualsiasi tipologia di birra è riproducibile ovunque.

    Non è quindi il luogo di produzione a fare la differenza, ma la provenienza di ingredienti e ricette ad aggiudicare l’appartenenza o meno di una birra ad una tipologia.

    Resta il fatto però che, la scarsa convenienza ad importare certe materie prime e la furbizia di molti produttori, hanno di fatto stravolto molti stili.
    Volendo prendere uno degli stili più diffusi e replicati in assoluto nel mondo, la Pils definita la regina delle birre, è stata completamente snaturata.

    Oggi si parla infatti di Bohemian, Bavarian e American Pils, come se si potesse parlare di Belgian Weizen. Mi spiego una Blanche Belga ed una Weizen Tedesca sono due tipologie differenziate e di fatto le birre hanno sentori ben distinti e non confondibili l’una con l’altra, pur avendo in comune la particolarità dell’impiego di frumento.

    Conoscendo la storia della nascita della Pils, che è stata casualmente scoperta da Groll, nell’intento di fare una Lager, in quel di Plzen, impiegando materie prime locali e rivelatasi poi una scoperta che ha coinvolto il mondo intero, come si può parlare di Pils fatte con ingredienti diversi?

    Se Groll voleva fare una Lager, ma gli è venuta una Pils perché ha inserito la variabile ingredienti, vien da se che se faccio una Pils, senza quei determinati ingredienti ottengo per forza di cose una Lager.

    L’industria su questo ci ha marciato per secoli, bastava cioè fare una Lager maggiormente luppolata, per imitare l’intenso amaro del SAAZ, molto diverso però dai luppoli Tedeschi ed apporre in etichetta la dicitura “Pils” per vendere maggiori quantità, sull’onda del successo che questa tipologia ha riscosso nel mondo.

    Ora con la riconversione in ambito artigianale della produzione di birra, il gioco continua. Se chiedi a molti birrai cos’è la Pils ti dicono: “ah è quella più luppolata”. Infatti producono svariate Lager, che però riportano in etichetta Pils, pur non impiegando nessun ingrediente tipico e tanto meno la ricetta giusta, che ricordo prevedere la decozione multipla, che nessun birrificio fa, visto il dispendio di tempo, energia e manodopera, assurdo per i piccoli volumi trattati dagli artigiani.

    Gli appassionati hanno quindi voluto fare delle distinzioni, anche perché tra una Pils Tedesca ed una Ceca, c’è differenza come tra una Weizen ed una Blanche. Quindi s’identificano le Pils non Ceche, con il prefisso American o Bavarian. Per Pils Ceche non intendo naturalmente quelle fatte per forza In Rep. Ceca, ma quelle che impiegano ingredienti e ricette Ceche.

    Ha senso questa distinzione? A mio parere no, visto che la storia c’insegna che se non è fatta con determinati ingredienti, trattasi comunemente di una Lager. Questo non significa per forza che si tratti di birre inferiori, ma solo che si sta parlando di tipologie diverse e che il prefisso e la tipologia errata sono li proprio per ingannare ed invogliare l’acquirente. A volte consapevolmente a volte no.

    Assurdità delle assurdità, in Italia, Paese con un livello di cultura birraria prossimo allo zero, si fa una manifestazione chiamata Pils Pride dove di Pils ce né solo una, guarda caso di provenzale Ceca.

    Questo scempio si estende naturalmente anche alle materie prime, troviamo infatti malti Pils Tedeschi e Belgi luppolo SAAZ con provenienza Tedesca e Inglese (ultimamente anche a Sassuolo). Salvo poi impiegare gli originali Cechi per accorgersi, che non hanno niente a che fare con le imitazioni straniere. Colori, sapori, aromi e rese completamente diverse.

    A cos’altro servono tali denominazioni se non ha valorizzare ingredienti e prodotti, che non hanno tutto sto valore. Per fare un esempio chi la compra la borsa dal Cinese, se non ci mette il marchio Luis Vitton?

    Quindi più che a non considerare birre tipiche di alcuni luoghi, prodotte in luoghi diversi, impariamo ad apprezzare e a differenziare birre prodotte con i giusti ingredienti ed i metodi appropriati e che poi corrispondono appieno ad una determinata tipologia, da altre che pur riportando una tipologia definita, poi la tradiscono impiegando materie prime e metodi del tutto diversi.

    Ciò denota solo due cose o il birraio è ignorante e non sa quello che fa o il birraio è un furbo e tenta d’invogliarci all’acquisto, raccontando panzane e prendendoci in giro.

    meditate gente, meditate (cit.)

  5. e le Oude Bruin ? O le Flanders Red ? anche loro a rischio ?

  6. Io penso che come succede per i prodotti DOP o cmq per gli alimenti di qualitá;oltre a rispettare l’impiego di determinati ingredienti,per definirsi tale deve avere un livello qualitativo adeguato o cmq delle regole su come produrla anche. Posso pure fare una pils con tutti gli ingredienti giusti ma se poi la faccio nel modo sbagliato non la considero una pils.
    Per il fattore territoriale per me se si usano le stesse materie prime e le si lavora allo stesso modo’una birra fatta in italia o in inghilterra puo far parte dello stesso stile.
    Cosa diversa come giá é stato detto riguarda le fermentazioni spontanee.

  7. Chiariamo una cosa:
    la kolsch fatta a colonia si chiama così perché è un marchio registrato (un po’ come le nostre doc), stessa cosa vale per la berliner weisse, e per altri stili oggi in via di estinzione, soprattutto tedeschi.
    Per cui qualsiasi birra fatta oltre quei confini potrà dirsi ispirata a quegli stili ma non si potrà definire propriamente tale. È un discorso anche legato, come diceva già qualcuno, agli ingredienti.

    Gli stili si estinguono A CAUSA della globalizzazione e -non- SI SALVANO grazie alla globalizzazione, poiché questa porta ad appiattirne le caratteristiche. Chi studia antropologia o sociologia mi può capire.

    Detto ciò: non sono convinto che le “innovazioni” di questi anni stiano portando a buoni risultati, credo invece che si stia appunto andando verso un pericoloso appiattimento del gusto.
    Luppoliano tutto oppure cacciamo in botte per 6 mesi.
    Ecco la ricetta del 90% delle birre italiane di oggi.
    Un appello ai birrai: per favore, cercate di studiarvi gli stili prima di chiamare “bitter” la solita APA, oppure “barley wine” una birra semplicemente molto alcolica. Non ha alcun senso, io credo.
    Come spiegare altrimenti ai consumatori che la TITAN IPA, pur rimanendo una birra spettacolare…non è un’IPA!!!!???

    “Le parole sono importanti!!!” [cit.]

    Diciamo così: se vogliamo creare degli stili nuovi, possiamo benissimo farlo, ma quelli tradizionali perché distruggerli?? È un vero peccato!! Solo la pluralità salverà gli stili.

    Inoltre aggiungo che pensare di creare stili nuovi a tavolino, senza poter contare su prodotti italiani (intendo luppoli, malti o lieviti; no frutta e spezie), forse è puerile.

    • Quoto. Probabilmente la Titan, dico probabilmente perché non l’ho mai assaggiata, è come la Tipo Pils, che pur essendo una grande birra non è una Pils. Le parole sono davvero importanti ed in Italia, grazie ad una schiera di espertissimi, che sbucano da ogni dove, si confondono moltissimi termini birrari, attribuendogli i significati più disparati. Questa potrebbe essere un’idea per un prossimo post di Andrea i termini birrari ed il loro reale significato.

    • Sono d’accordo riguardo le denominazioni. Anche se questo non impedisce che parecchi birrifici, americani o meno, utilizzino il nome commercialmente.

      La mia precisazione nell’altro post aveva un valore puramente numerico.
      Personalmente ritengo necessaria una certa elasticità nel giudicare gli stili; a meno che il birraio stesso non dichiari che la sua birra vuol essere una replica al 100% bombastic fedele allo stile.

      Non è un caso che questa discussione riguardi principalmente le birre tedesche perché il problema sta in quel mercato. È una situazione abbastanza desolante (anche se in miglioramento. ritorneranno anche le steinbier:D) e quindi tra glia appassionati spiccano le produzioni più particolari che però corrispondono meno alla situazione reale. Per quanto una berliner weisse possa rappresentare la città di berlino, riuslta sicuramente più comune una stenburg export di ddriana memoria.

      Alla fine, birre come una gose sono prodotti abbastanza particolari che, se non sostenuti da distribuzione e promozione adeguati (leggasi “hipe”) faticano ad interessare gli appassionati più distratti.
      Di solito chi replica questi stili lo fa più per omaggio alla tradizione che altro.

      Gli americani da sempre tendono ad essere vari grazie alla forte e variegata immigrazione europea del passato dove ognì comunità riproduceva le birre dellla propria nazione d’origine. storicità che poi è diventata in seguito la base della loro cultura birraia e della scena craft attuale
      Non lo dico io, lo diceva un certo micheal jackson

      Questo si riallaccia al discorso della globalizzazione e della purezza degli stili:
      è pur vero che certi stili si sono allontanati dal concetto classico che li caratterizzava (ipa, irs per esempio), ma anche grazie a questo sono stati salvati. Permettendo in seguito la riscoperta delle loro versioni classiche.

      P.S.
      da quando mi interesso di birra ho letto di tutto e di più sulla tipopils:
      non è una pils;
      facciamo le pils meglio di tedeschi e cechi;
      è una keller etc etc

      Secondo me è abbastanza lontana dal concetto classico di pils ma molto vicina a quello di grande birra.

  8. Interessante spunto quello che proponi…
    A mio modo di vedere, così come le Blanche non prodotte in Belgio, possono definirsi tali, allo stesso modo col tempo e con la proliferazioni di produzioni “estere”, anche le Gose non tedesche potranno fregiarsi del nome dello stile di riferimento.
    Non può certo essere una dicitura caratterizzata dal punto di vista geografico, come Kolsch, a impedire di chiamare così una birra. L’esempio Pils, che riportavi, conferma quanto detto. A mio modo il legame col territorio non sta nel nome quanto piuttosto nella specificità degli ingredienti. E a questo punto forse è meno corretto chiamare Pale Ale una birra non prodotta con acqua di Burton-on-Trent che altre birre meno caratterizzate dalla tipicità delle sue componenti, o sbaglio?

  9. Io credo sia positivo che i mastri birrai provino a riproporre stili diversi in posti diversi. Se così non fosse, oggi non potremmo bere una tipopils che a mio avviso, fà le scarpe a tante colleghe del suo genere, nel posti di appartenenza. Certo non è come nel vino, dove gli ingredienti sono parte integrante del legame del territorio, ma secondo me, la creatività è un caposaldo dei birrai italiani e questo è l’ aspetto che và considerato. Avere tante proposte, che aderiscano allo stile (anche se non sarei così talebano come qualcun altro proponeva) secondo me danno la dimensione di un prodotto come la Gose di Lipsia, che fino a qualche anno fà molti appassionati dell’ ultima ora non conoscevano. Oggi bevendo la saltimalto o la marsilia, magari andranno in qualche locale e se vedranno scritto Gose, la prenderanno per confrontarle.

  10. ciao,
    ho seguito la serata al blind pig e le utili ed esaurienti spiegazioni… mi collego a questa discussione perché in parte sono d’accordo in parte no! E’ verissimo che molti degli stili particolareggiati non sono pensabili in altre nazioni (penso anche io alla Gose e alle Lambìc) ma per esempio che dire della Kolsch di Maltovivo? secondo me è un’ottima riproduzione italiana di una birra di colonia, ma giro a voi, più esperti, i commenti tecnici.

    • Parli della Tscho immagino. In realtà credo di non averla mai assaggiata (mea culpa) ma ne ho sempre sentito parlare molto bene

      • Esattamente. Io l’ho bevuta diverse volte e mi ha sempre colpito per i suoi profumi fruttati e soprattutto per quanto sia beverina. Aspetto allora una tua degustazione per sapere se si avvicina in maniera più o meno dignitosa ad una birra di Colonia original.

  11. la saltainmalto….non e’ una gose! non ha il frumento!

  12. lo usa nella remedios!! stefano e’ un po’ che non ti vedo! vieni domenica a sartirana?
    ciaooooooo

    • Ciao lallo,
      non sono lo stefano che immagini! comunque sia non posso venire a sartirana… un saluto alcolico.

      ps. aspetto ancora considerazioni sul tema proposta in un mio precedente commento

  13. Filippo Garavaglia

    fai bene a non annoverarle a quello stile.. e grazie a Dio gli stessi birrai spesso lo dicono: sono birre “che si ispirano” a determinati stili.
    La correttezza non può che far bene sia al birraio che allo stile di origine.

  14. sr e’ stefano ricci??? che tema proposta era? ciaooooo

  15. Vorrei sottolineare che non per una mia idea, ma per “legge” (non ci sono molte scappatoie quindi) la koelsch deve essere prodotta in un determinato ambito geografico e seguendo un determinato standard.
    http://www.koelner-brauerei-verband.de/k%C3%B6lsch-konvention
    In sostanza se un birraio italiano volesse vendere in germania una birra chiamandola koelsch verrebbe multato come è successo poco fa per la dicitura “birra artigianale”.
    Come se un produttore di vino di colonia pretendesse di vendere un vino chiamandolo Lambrusco di Sorbara…

    Noi italiani siamo abituati a pensare alla birra come slegata dal territorio, semplicemente perché la continuiamo a relazionare col mondo del vino, e in un certo senso non possiamo fare altrimenti.
    In paesi come la Germania, dove la tradizione è ben più antica, esistono invece prodotti tipici di una zona geografica, luppoli, malti ma anche lieviti, che permettono legami col territorio.

    Personalomente sono felice che i birrai si sviluppino nel tentativo, a volte felice e a volte maldestro, di riprodurre stili meno “famosi” (a me piace molto la “koelsch” del birrificio emiliano), ma penso anche che la poesia di alcuni stili risieda proprio nella loro realtà locale.

    • Il legame col territorio c’è eccome, per questo andrebbero utilizzati ingredienti e metodi tipici del territorio dove la tipologia è nata. Quando invece si scrive una tipologia in etichetta e poi si stravolgono ingredienti e metodi, non si rispetta nel la tradizione, ne l’appartenenza geografica, ne il consumatore.

      Certo ogni tipologia bevuta sul posto ha un fascino indescrivibile.

  16. sciopero dei treni! niente sartirana!! sara’ per la prossima volta….ma porca tr….!!

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