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Black IPA, o di come non chiamare le Cascadian Dark Ale

Nella vivace scena americana a volte trovano anche spazio alcune riflessioni sul mondo della birra artigianale locale. Una delle dispute più interessanti degli ultimi tempi – almeno per me, per altri sarà una questione irrilevante – riguarda il nome da usare per le incarnazioni di un recente stile birrario. Alcuni lo conoscono con l’appellativo di Black IPA, altri con quello di Cascadian Dark Ale. In entrambi i casi si tratta della stessa tipologia di birra, basata su una ricetta che fonde le caratteristiche dei malti scuri (tostato, cioccolato, bruciato) con le luppolature tipiche delle India Pale Ale (o meglio, American IPA). Il risultato, ancorché di difficile bilanciamento, può essere molto intrigante: questo spiega il successo che sta avendo questo nuovo stile in patria e all’estero. Così mentre l’interesse degli appassionati cresce costantemente, di tanto in tanto torna d’attualità la questione del nome. CDA o Black IPA? Un dilemma mica da poco…

L’ultimo in ordine di tempo ad aver espresso la propria opinione al riguardo è stato Greg Koch, CEO e fondatore della rinomata Stone Brewing Co. Sulle pagine del sito Craft Beer, egli si schiera senza mezzi termini a favore della denominazione Black IPA, smontando le tesi dei sostenitori dell’altro appellativo. In primis quella per cui il nome Black IPA sarebbe un controsenso semantico, avendo al suo interno due riferimenti cromatici opposti (“black” e “pale”). Per Koch questo aspetto è irrilevante, almeno quanto lo è per stili consolidati quali American IPA (“american” e “India”), Belgian IPA, West Coast IPA e via dicendo. Con IPA si indicano birre che hanno ormai perso la loro appartenenza geografica originale, avendo acquistato un significato “globale”. Dunque sarebbe del tutto lecito differenziare le diverse varianti con un aggettivo accessorio.

In secondo luogo, per Koch il nome Cascadian Dark Ale conterrebbe un’appartenenza geografica fin troppo decisa – la Cascadia è una regione immaginaria a cavallo tra gli USA e il Canada. In un ambiente così inclusivo come quello della birra artigianale, adottare un termine simile corrisponderebbe a tracciare una linea netta sulla mappa della produzione brassicola nazionale. A maggior ragione se, come teorizza, lo stile non sarebbe nato espressamente in quella regione.

Infine, secondo Koch l’espressione Black IPA sarebbe in grado di identificare velocemente le caratteristiche della birra: Black + IPA = Black IPA. Niente di più facile – e di commercialmente redditizio, aggiungo io.

Ho letto attentamente il pezzo di Koch e sono arrivato alla conclusione che condivido poco e niente delle sue idee. Per me lo stile in questione deve chiamarsi Cascadian Dark Ale, per una serie di motivi che sono in parte spiegati in un precedente articolo di Matt Van Wyk (Oakshire Brewing).

Innanzitutto non mi piace il nome Black IPA perché contribuisce a inflazionare un termine ormai abusato. Ovunque si sente parlare di AiPiEi e spesso a proposito, dunque adottare l’espressione per una birra che ha poco da condividere con le vere IPA mi sembra quantomeno fuorviante. Credo che il punto più importante sia proprio questo: che senso ha definire IPA una birra che ha poco da spartire con esse? I malti sono sostanzialmente diversi, l’unico elemento in comune è l’uso di luppoli americani, tipici tra l’altro delle interpretazioni statunitensi dello stile.

Inoltre mi piace l’idea che il nome dello stile renda omaggio alla zona in cui sono nati i primi esperimenti in questo senso. A quanto pare non esistono documenti ufficiali che assegnino la paternità dello stile alla regione della Cascadia, ma è indubbio che molte tra le prime incarnazioni della tipologia si diffusero proprio lì, prima tra gli homebrewer, poi tra i birrai professionisti.

Anche l’ossimoro insito nel termine Black IPA non mi fa impazzire. Certo, gli esempi fatti da Koch hanno il loro senso e un’identica contraddizione è presente nel consolidato stile tedesco delle Dunkelweiss (“bianche scure”). Questo però non mi sembra una giustificazione per perseverare con un gioco semantico che può disorientare, soprattutto dal momento in cui non esiste alcuna ragione storica od organolettica per definire lo stile Black IPA.

Perciò quando parlerò di queste birre scure e luppolate tipiche degli Stati Uniti continuerò a usare l’appellativo Cascadian Dark Ale – che è anche più evocativo di un rude Black IPA. Voi invece siete più per un nome o per l’altro? E perché?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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29 Commenti

  1. Assolutamente d’accordo con Greg come scritto altrove. Black IPA funziona al 100%. Cascadian Dark ale non funziona per me.
    E va anche aggiunto che greg polemizza sulla questione perché sostiene che la paternità geografica sia da ricollocare sempre nella west cost.

    Per chi ha avuto la fortuna di assaggiare esempi riusciti dello stile, e ce ne sono pochi, può notare che il sapore è proprio quello di una IPA nera. il resto vira spesso verso le stout americane che non hanno mai nascosto luppolature non indifferenti o altro.

    CMQ siamo stati tutti superati visto che come ha segnalato Stefano Ricci, il nome ufficiale non è nessuno dei due ma American Black Ale o, ancora peggio/meglio American India Black Ale

    • American India Black Ale penso sia una delle peggiori creature della mente umana dai tempi del Neolitico

    • Mah

      alla fine cambia solo il colore e se esageri di tostature ti viene fuori una American Stout..che poi alla fine è la stessa cosa 🙂

    • Avando avuto il piacere di dissertare svariate volte con Shaun Hill proprio sulla questione (lui, avendo vissuto in prima persona la scena del Vermont e brassando tributi delllo stile da lui affibbiato a Greg Noonan), vi riporto questo altro interessante articolo:
      http://www.alestreetnews.com/beer-styles/435-black-and-bitter–true-origins-of-black-ipa.html

      Ovviamente è ovvio che il termine IPA ovunque diventa sinonimo di successo commerciale. Uno scarso birraio belga, sicuramente più onesto culturalmente degli altri, anni fa ammetteva candidamente che l’utilizzo di IPA o Imperial Stout su birre belghe era dettato da un’esigenza di mercato, soprattutto statunitense. Poi si è messo a organizzare festival (quelli che il Kuaska chiama festival Disney), ma di fare birre decenti non se ne è più parlato.

      Finite le mosse commerciali, alle quali i più abboccano come polli, tutto il resto sono pippe mentali. In mia opinione il nome Cascadian Dark Ale è nettamente più affascinante, già mi immagino nel Vermont i publican più tosti tirare fuori aneddoti leggendari nelle fredde nottate invernali, condendo con aurea mistica la pinta che si sta trincando. Gustativamente le ho trovate anche sempre interessanti, certo, anche lì la noia del monocorde è dietro l’angolo, e dopo qualche pinta torni a guardarti il poster di Klose o la maglietta di Osvaldo…Sicuramente rimane in mente più a lungo

      • Manu…secondo me l’idea di metterti un cappello da boscaiolo ed una camicia a quadri rossa ti renderebbe un grande “Competitor” ai più tosti publican del Vermont!
        Il legno c’è nel locale…fai crescere la barba a Fabio & Co. però!

  2. Condivido l’opinione.

    In un precedente commento facevo notare come anche un tizio ben noto al nostro mondo, Roger Protz, sia del medesimo avviso (vedere il suo articolo nell’ultimo numero di BEER del CAMRA).

    Inoltre, come dici tu Andrea, anche io sarei per tenere in poco conto la contraddizione insita nel nome Dunkelweisse (scura-bianca), siccome questo termine, a mia memoria, è poco utilizzato in Germania, dove essa è palese (mi viene in mente solo la Hacker Pschorr).
    I tedeschi mi sembra facciano uso molto più spesso del termine Dunkelweizen (scura di frumento), che poi è molto più sensato.

    Ho idea che da questa diatriba se ne uscirà solo quando saranno passate di moda

  3. Personalmente, per quanto “illegittimo” mi piace molto l’appellativo Black IPA!

  4. Pensavo di andare in produzione con una Florentin India Golden Ale.
    Che dite, può avere un appeal?

    Per natale poi avrò la versione più alcolica che chiamerò LEIA.

  5. Il termine “Black IPA” è funzionale al mercato, in quanto come dice il Turco si è già abusato, anche impropriamente, di tale appellativo. Di sicuro avere delle black Ipa sullo scaffale sarà più facile per i rivenditori che promuovere uno stile molto più difficile da spendere – e vendere – secondo me. Sinceramente sono maggiormente propenso al termine “Cascadian Dark”, anche per non fossilizzarsi sul termine IPA rispetto alla stragrande maggioranza delle produzioni “made in USA”.
    Poi sinceramente non è che sia propriamente un estimatore di questo stile, proprio per questo preferirei non richiamare le AiPiEi alla memoria!

    PROSIT !!

    • Secondo me il termine Black IPA risulta funzionale e basta. Sta cosa delle AiPiEi marchettare è più valida per noi che per gli usa dopo le EiPiEi vendono altrettanto mentre in italia non vendono proprio. IPA andrebbe inteso come sostantivo (il discorso di greg si basa su questo): birra dalla luppolatura intensa.
      d’altronde tutta la storia delle birre indiane è stata anche ridiminsionata storicamente.

      d’altronde “cascadian” a me fa venire in mente il cascade (luppolo nato nelle stesse zone), e ameno che questa birra non sia caratterizzata da questa varietà, risulta anche sviante.

      • Claudio, questo è giustamente il tuo punto di vista, ma se vedi la cosa a 360° (coinvolgendo quindi l’aspetto commerciale e sentendo le “confessioni” di addetti ai lavori), ti accorgerai che il termine in questione ha grosse funzionalità di vendita…per dirti: personalmente concordo che il termine Cascadian Dark Ale sia storicamente più corretto, ma sulla mia lavagna delle birre sarà sempre scritto come Black IPA…anche perchè non lo ritengo affatto scorretto. Mi sembra un pò la questione sulla birra dei Buskers: io l’ho proposta come un’ipa, Moreno mi ha detto altro e un mio caro amico me l’ha catalogata in un altro modo ancora…Nonostante tutte ste pippe la birra ha avuto la sua funzionalità: finita in 45 minuti. Poi i discorsi APA, IPA, Black IPA, li possiamo fare insieme per coindividere e confrontare le nostre esperienze, ma il mercato chiede altro…Basta non essere Klose di mente

        • Colonna ammettilo che di questa diatriba CDA vs Black IPA non te ne importa niente…

        • Comprendo anche il tuo punto di vista, ma proprio questo volevo dire: black ipa va dritto al sodo, si fa capire subito ed è per questo che viene commericalmente sfruttato; non il contrario.

          Poi, ovviamente, non cambia niente. In verità nessuna delle tre alternative mi ha mai convinto. Come anche lo stile se devo essere sincero 😛

  6. Probabilmente Black IPA è il termine che funziona meglio di tutti.

    Anche American Black Ale o American Dark Ale potevano andar bene.

  7. Comunque se volevo un buon esempio di Black IPA vi consiglio la DUE DI PICCHE del Menaresta…

  8. Quoto.
    L’ultima cotta, assaggiata in bottiglia a Muggiò, è notevolissima.

  9. La due di Picche è fatta al Menaresta da Marco Valeriani (come la Verguenza)……..tanto per precisare….
    Non me ne voglia Enrico che collabora con l’amico Marco…..
    Per me è la più buona Black IPA italiana….
    almeno prima della prossima settimana 🙂

    Per il resto : Black IPA 1000 volte…..Cascadian Dark Ale è molto fighettoide/intellettualoide……mentre Black IPA è molto più forte e diretto..(sticazzi)….più Rock…..

  10. alexander_douglas

    Però tecnicamente dark ale non sarebbe più corretto? voglio dire sia che parliamo di APA o IPA il pale comunque ricorda le classica pale britanniche che hanno un colore per l’appunto più “pallido” rispetto al rosso carico della classica ale britannica. Una birra nera pallida è un ossimoro su tutta la linea 😀 anche se poi magari indubbiamente avranno delle caratteristiche di una IPA nel corpo di una birra scura 🙂

  11. olà. secondo me Black IPA è più semplice, più intrigante e suona sicuramente meglio. Dark Ale sarebbe comunque un ossimoro. Alla fin fine resta comunque soltanto una denominazione, un’etichetta. L’importante è che la Birra sia buona. buona Birra a tutti comunque la si voglia chiamare.

  12. Guido Garzia Civico Petrilli

    Per me il ragionamento è unico, solo , incontrovertibile:

    – 1 Bjcp ce l’ha tra gli stili come Black Ipa
    – 2 Se connoti una birra ad un’area geografica, chi riproduce lo stile non dovrebbe usare quel nome, spesso vedo su bottiglie la scritta Kolsch ad esempio, ma molti non si rendono conto che lo stile e’ correlato alla regione di produzione e tra l’atro protetto legalmente come IGP e protetta dalla Kölsch Konvention, per cui se mai dovesse venire in mente a qualcuno di non scrivere sull’etichetta “Birra in stile Kolsch” dinvece di Kolsch ,prima o poi si dovrebbe aspettare qualcuno che bussi alla sua porta (specie se poi prova a venderla a Colonia).
    Tra l’altro non è il Caso della CDA, ma solo perchè la Germania è molto piu’ protettiva dell’america per le sue birre.

    Black Ipa è nettamente meglio di India Pale Lager o Lager Ipa per diversi motivi.

    ciao

    • Beh l’articolo è vecchiotto, sono passati quasi 8 anni (!) e il BJCP l’ha inserito come stile nel 2015 se non sbaglio.
      Comunque nel frattempo le cose sono un po’ cambiate, a partire dall’importanza di questa tipologia che è rapidamente scemata.
      Alcune correnti di pensiero oggi considerano CDA e Black IPA come due stili diversi: nelle prime la componente dei malti scuri è nettamente avvertibile, con i classici toni tostati e di caffè; nelle seconde invece il colore scuro ha pochissimo riscontro all’olfatto e al gusto, poiché il trick consiste proprio nell’ottenere una birra che è una (American) IPA in tutto e per tutto, tranne che nel colore.

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