Cimec

Sono publican ed esercenti i responsabili dell’attuale omologazione birraria?

Sabato scorso, mentre il sottoscritto era ad arrostire sulla costiera amalfitana 8) , Angelo pubblicava sul suo Berebirra un veemente post sull’evoluzione delle cosiddette Gateway Beer – se non sapete cosa si indica con questa espressione, date un’occhiata qui. A suo modo di vedere, le birre con cui compiere il salto verso i prodotti artigianali non sarebbero più Chimay, Hoegaarden, Duvel e via dicendo. Ad esse si sarebbero sostituite le birre di punta di birrifici più moderni, come Mikkeller e Brewdog, presenti in modo capillare ormai ovunque. Con una piccola differenza: mentre le prime erano birre in qualche modo legate alla tradizione, queste ultime puntano invece a distruggere il passato per proporre qualcosa di nuovo. Questione di scelte di marketing, insomma, che però fanno sorgere una domanda: se viene rinnegata la storia birraria, cosa rimane alle nuove leve del concetto di birra artigianale?

Allargando il discorso, ho il timore che oggi si faccia molta meno cultura birraria di quanto avvenisse in passato, almeno nei luoghi in cui la birra viene venduta. Come sempre in questi casi ho negli occhi la situazione romana, che è sì un caso unico nel panorama nazionale, ma anche in grado di influenzare le dinamiche di tutto l’ambiente birrario italiano. In particolare, mi sembra che ci si stia indirizzando verso una preoccupante omologazione dei prodotti disponibili in pub e beershop. O meglio: è ancora possibile trovare un buon assortimento di stili diversi, tuttavia le birre di maggior successo sono sempre le stesse. Con le solite caratteristiche: luppolature esagerate, ricette a dir poco creative, appartenenza a un paio di tipologie di riferimento.

Il successo di un prodotto dipende dai numeri di vendita, ma questi ultimi arrivano alla fine di un percorso in cui sono coinvolti diversi attori. In testa c’è il produttore, che decide cosa creare e vendere: ha totale libertà di impostare il proprio lavoro come desidera e secondo me ognuno è libero di agire come meglio crede. Alla fine del percorso c’è il consumatore, che acquista sulla base di diverse variabili: quello più esperto saprà come orientarsi, ma se è alle prime armi acquisterà in base ai consigli di altri (amici o venditori) e alle percezioni che avrà ottenuto fino alla scelta finale.

In mezzo c’è chi vende la birra, che fa da tramite tra produttore e consumatore e, soprattutto, che rappresenta colui chiamato a fare cultura birraria. A vendere – e ci mancherebbe altro – ma anche a comunicare cosa vende. Per un motivo fondamentale: veicolare conoscenza è l’arma migliore che ha per crescere una base di consumatori consapevoli, capaci di alimentare un bacino di clienti appassionati. Chiaro che il fine ultimo è la crescita degli affari, con l’effetto collaterale di accrescere il movimento.

Quando iniziai ad appassionarmi i miei assaggi erano estremamente vari. Passavo tranquillamente da una Tripel a una Stout, da una Bock a un Lambic. Ogni assaggio era una scoperta, una finestra su un classico modo di intendere la birra: c’era quella brassata dai trappisti, quella prodotta per dissetarsi nelle campagne del Belgio, quella dei facchini della vecchia Londra, quella nata da un prodigio di lieviti selvaggi. Spesso e volentieri, in questo viaggio ero guidato da chi la birra me la vendeva: prima ancora di portare la birra alle labbra, mi ritrovavo immerso in un contesto nuovo e affascinante, di cui il liquido era la diretta emanazione.

Oggi mi chiedo se tutto questo ancora accada, ma credo di sapere la risposta. Il successo della birra artigianale ha stravolto meccanismi una volta indispensabili. Quando i prodotti dei microbirrifici non erano conosciuti, bisognava necessariamente farli conoscere. Chi apriva un locale con birre del genere era prima di tutto un appassionato, magari con alle spalle diversi anni di viaggi nell’Europa birraria. Oggi questo accade con minore frequenza e non sono pochi i casi di chi si lancia nel settore conoscendolo solo in modo decisamente sommario. E’ l’altra faccia della medaglia del successo della birra artigianale, qualcosa con cui possiamo convivere in nome della crescita del movimento.

Il problema è che mi sembra che questa crescente omologazione dei consumi stia abbracciando tutti, vecchi e nuovi operatori. Come dice Angelo:

[…] stupirsi di fronte all’ennesima IPA con vagonate del nuovo luppolo proveniente dalla “Nuova Culonasia” ed innamorarsene dimenticando tutto d’un tratto pilastri birrari belgi, birre favolose ceche o capolavori di beverinità britannici lo considero un delitto.

I paesi birrari non sono più Belgio, Inghilterra e Germania, ma Stati Uniti, Danimarca e Scandinavia. Alla straordinaria ricchezza delle birre dei primi, si sostituisce la monotonia di quelle dei secondi, che proprio per questa ragione possono essere più facilmente metabolizzate da consumatori inesperti. Le nuove leve hanno imparato che la birra artigianale è amara: finché non verrà spiegato loro che esiste una varietà birraria incredibile, continueranno a cercare l’amaro; finché i loro palati non verranno educati, considereranno scialbi e inconsistenti prodotti straordinari come una Saison Dupont.

E’ per questo motivo che ritengo che la responsabilità sia di publican ed esercenti se la situazione sta diventando così deprimente. A volte mi sembra che siano loro i primi a non essere convinti della loro passione: tendono ad assecondare la moda, lasciando ai consumatori il completo controllo del mercato, che però finisce a tendere all’omologazione. Si limitano a fare da intermediari, da muti esecutori delle strategie di marketing dei birrifici. Non c’è filtro, non c’è valutazione: il consumatore è alla merce dei concetti espressi dai birrifici, buoni o cattivi che siano.

Ci dovremmo sempre ricordare come è nato il movimento: se tutti si fossero limitati ad assecondare le propensioni dei consumatori, avremmo continuato ad avere solo Irish Pub con Guinness e Tennent’s alla spina. Se cominciamo a farlo ora, si creerà un esercito di bevitori che considerano la birra artigianale solo una moda, perché ignari di tutta la cultura che si nasconde dietro a una pinta o a un boccale di buona birra.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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79 Commenti

  1. Berliner Marco

    Finchè ci saranno pubs e distributori che spingono sempre il solito prodotto, o vengono aperti locali perchè ora fa tendenza, o si attaccano, in quei pubs, dieci spine dello stesso stile, trascurando TOTALMENTE l’amore per la birra…. Penso che andremo verso un appiattimento e una mortificazione della birra artigianale, quella fatta con il cuore e venduta con passione…

  2. Sinceramente trovo ridicolo -come mi è capitato di recente- di sentirmi sconsigliare una Ayinger weisse (una delle mie birre preferite!) perché dopo aver comprato una sierra nevada rye ero stato “inquadrato” come un hopaddicted incapace di bere altro.

    Eppure ricordo come fino a pochi anni fa le IRS erano richieste e vendute quanto le ipa.
    Sono forse i frutti del discorso “dolce o amaro”?

  3. Che bel post!
    Che la birra sia una moda è evidente. Mi è capitato di partire entusiasta a parlare di Orval, St. Bernardus con gente che si professava esperta e ho visto visi stupiti esentito frasi preoccupanti. “No, io bevo solo birre artigianali” Ehm.

  4. Il problema delle “super luppolate” sul mercato romano si sente eccome.
    Tutti i publican e/o proprietari di beershop con i quali ho avuto il piacere di parlare non fanno che confermare una tendenza ormai esasperata.
    Quindi condivido il fatto che le nuove gateway beer non siano le stesse del passato, anzi posso dire tranquillamente che alcune persone che conosco e che hanno iniziato a bere birra artigianale non sanno nemmeno cosa sia un Tripel o una Saison, ma hanno tracannato quantità industriali di Punk IPA, Spaceman, Zona Cesarini…
    Di chi sia la colpa non saprei dirlo, ma è sicuro che su un novizio una IPA ha un impatto gustativo/olfattivo devastante.

  5. tutto molto bello e poetico..ma é pur vero che chi vende deve sempre fare i conti con costi e spese via via crescenti…e magari non tutti possono permettersi di mettere su real ale e lambic e gueuze…

    tirano su qualche ipa mediocre e vendono..e ci stanno alla grande…

    credo sia compito anche dell avventore evolversi autonomamente…i

    • Sì è giusto che si evolva autonomamente, non ha certo bisogno dell’accompagnatore. Però dall’altro lato c’è anche chi ha una responsabilità ben precisa.

      Per quanto riguarda la prima affermazione, mi trovi completamente in disaccordo: secondo te all’esercente costa più una Saison Dupont o l’ultima bomba da 8 tonnellate di luppolo? E perché la seconda dovrebbe vendere più della prima? E se anche la seconda vende di più, perché intanto non si può comunicare la grandezza della prima?

    • …Me sa che te devi fa due conti meglio Nazucao…Sotto t’ha risposto Andrea, e ti posso assicurare anch’io che le birre che fanno “cassa” sono ben altre che IPA o simili, che consente pochi ricarichi di sopravvivenza, fortunatamente il mercato propone in un settore basso di prezzi, birre di ottima qualità che un gestore “sano” sa presentare in una linea di spine.

      E’ solo una questione di tempo…

      Comunque si fa sempre più fatica a tenere le redini di un bancone, ed è vero che c’è sempre più passività da parte del publican nel guidare o proporre cose diverse all’avventore (che spesso ne sa più del gestore stesso). All’ultimo Indipubs ho avuto il piacere di confrontare idee e pensieri con tanti gestori che vivono situazioni diverse da quelle romane, ne sono uscite fuori cose interessanti…

      • Tipo? Dicci dicci… 🙂

        • Mah, fuori da Roma le realtà sono totalmente diverse, si è fatta una bella riunione di confronto con parecchi pubbari, molto interessante…Sento di un ritorno di birre più semplici con meno richiesta di birre estreme in pensiero scandinavo, contingente a una scelta degli stessi gestori di birre qualitativamente valide ma più economiche (il periodo è quello che è…).

          Inoltre si osserva un calo di presenze a vari festival (eccezione l’IBF di Milano, probabilmente dovuto a un esplosione di richiesta sicuramente in ritardo rispetto alla scena romana, ma lì il Polli può dirci di più), anche se personalmente vedo un innalzamento di interesse per le birre esclusivamente italiane…Insomma, sembrerebbe che la richiesta di birra artigianale sia in un momento di stallo, positivo sempre ma con una crescita più rallentata rispetto agli ultimi anni.

          Ancora più personalmente sposo un pensiero recentemente espresso da Schigi, soffro infatti anch’io di un calo “emozionale” e sempre più raramente mi sorprendo per una birra…Ho nostalgia tipo di una Rulles Estival…Chenneso…Starò invecchiando

          Chiudo con un saluto ad Alle dell’Arrogant, sono stato nel suo nuovo locale di Reggio Emilia e vi ho trovato una linea di spine di assoluta intelligenza propositiva, un capolavoro di linea: passione e intelligenza!

          • quello dei festival birrari rischia di diventare un problema

            ce ne sono troppi. e gli appassionati invecchiano, non hanno troppa voglia di sbattersi. sono annoiati, hanno già provato tutto, oppure le news si ripetono in più festival. e quello che non hanno provato magari non hanno manco voglia di provarlo, che ognuno ha i suoi birrifici di eccellenza, e sono pochi. e poi, cosa di cui forse ci si accorge poco, il carburante, le autostrade, i trasporti, costano in maniera fottuta rispetto ad una volta mentre gli stipendi scendono. un 30-40 euro solo di trasporto per farsi 5 birre (che costan pure quelle) non sono mica uno scherzo

            di nuovi appassionati, quelli che hanno ancora fame, non è che se ne vedano poi molti. forse perché una volta dovevi galoppare per provare qualcosa, oggi l’artigianale la trovi anche al Mc Donald ed è più dura far nascere il sacro fuoco

            il risultato è che si fanno 1000 festivalini della birra ad alto rischio flop, per varie ragioni: appeal del posto, appeal della manifestazione, sovrapposizioni, offerta numerica e qualitativa

            nel mentre, stanno esplodendo le festicciole di varia natura dove il banchetto di artigianale sbanca. chessò festa della salamella col gruppo che suona, notte bianca di Binasco, porte aperte al Tennis Club di Orzinuovi, circo in castello… roba del genere, dove il popolo comune scopre che esistono piccoli artigiani che fanno birre, cosa di cui qualcuno gli aveva parlato, e per provare assaltano il banchetto. per dire, la notte bianca di un paesotto di 5000 abitanti, che fondamentalmente si risolve con una via chiusa un po’ di locali che mettono fuori le sedie due gruppi che suonano e qualche bancarella, ha totalizzato 400 lt di artigianale venduta in una sera. non so se mi spiego

            e forse è pure meglio così

  6. Sono un amante degli stili estremi, su questo non si discute.
    Però c’è da dire che il mercato tirerà fin troppo dove la pecunia arriva spremendolo finchè ce n’è.

    Il cuore c’è però non è certo strano che molti bevano l’ennesima IPA/APA perchè è lì che attualmente c’è certezza.

    Il Publican ha indiscutibilmente la sua quota parte di responsabilità, ma non credo che sia solo sua.

    Il pubblico da svezzare beve sicuramente ciò che gli consigliano: il publican può modulare la scelta (se vuole ed è interessato a farlo).

    Il pubblico maturo può indirizzare verso stili diversi o verso stili più fedele alla tradizione.

    C’è da dire che l’amaro agrumato tipico nei luppoli americani… tira. Quasi come quella cosa li ;).

    E’ il caso di far apprezzare anche altro, ma se poi tutti tornano per l’esagerato, l’esasperato… non so se il Publican ha l’interesse a limitare questo atteggiamento.

    Io ho amici che incontrato l’amarilllo… sono passati definitivamente al lato oscuro del luppolo.

    Che si può fare se non prendere qualcos’altro, farglielo assaggiare, esaltarne profilo aromatico e gustativo e poi sentirsi dire: “Buona eh… ma meglio la Hardcore o la Titan”.

    Credo proprio che finchè non finisca il luppolo… 😀

  7. ci dev’essere qualcosa nell’animo dell’uomo che porta all’omologazione, alla divisa. che nemmeno sempre ha come obiettivo l’abbattimento dei costi. uomini d’affari vestiti tutti uguali, punkabbestia vestiti tutti uguali.. piercing tutti uguali, tribali tutti uguali, pullover tutti uguali, borsette tutte uguali, fantasie tutte uguali…

    ogni rivoluzione viene sempre omologata, per spremerci qualche quattrino. e il consumatore si crogiola nell’assenza di coraggio: ci ha mezzo una vita a mollare gli ormeggi della Moretti, ora chi lo schioda più dalla sua IPA? il publican fidelizza, prospera sul suo know how rispetto ai concorrenti

    poi un bel giorno BrewMouse lancerà la rivoluzione dei lieviti del belgio e dei luppoli tedeschi, e per le vetuste IPA saranno cazzi amari. i vecchi tromboni tuoneranno contro queste birre poco amare e resinose e modaiole. finché un giorno Samueller arriverà con questa rivoluzione: lieviti neutri e un vagone di amaro. e via così

    proprio l’altro giorno mi incazzato col mio barista perché non riesco mai a trovarci una birra belga come dio comanda e devo sempre rimpinzarmi – buonissime eh! – di US-05 e luppoli. gli dicevo qualcosa tipo “perché oramai voi…”. mi ha più o meno mandato a cagare, a torto. il problema è che un posto dove bere non lo scegli solo per le birre che ci trovi. se le trovi

    • Sì sicuramente. Però non riesco ad abbandonarmi all’idea che è assurdo che io finisca (senza neanche accorgermene) a giudicare valida la selezione di un pub solo perché tra le spine ci ritrovo una Saison Dupont, dopo anni che l’avevo data per desaparecida in città.

      • Io a Pescara (nell’evento con Amond 22 e Foglie d’Erba) mi sono commosso davanti alla Guldenberg alla spina, non la rivedevo da secoli.

        • Eheh considera che stavo per aggiungere “o anche una XX Bitter”. Lei una volta alla spina mi emozionava, oggi sbadiglio di fronte a quello con cui è stata sostituita.

          • Fino a qualche mese la XX bitter la trovavo regolarmente in pub del Celio (immagino ci siamo capiti). Poi, nulla più.

      • io non ne faccio manco una questione di nomi, ma di stili. ho una mia teoria, suffragata da qualche esperimento: fare certe birre di moda, è pure più facile. e quindi tutto casca a fagiolo, la quadratura del cerchio

        trovo ci sia un’omologazione SPAVENTOSA di sapori in tante birre pur ottime nel modo della birra contemporanea. un conformismo premiato dal mercato, che peraltro nulla a che fare con la quotidianità di una tradizione chessò alla Pils. e come valvola di sfogo, per poterci riempire la bocca negando tutto ciò, ecco un fiorire parallelo di birre le più assurde ed elaborate, one shot botti frutta fagioli borlotti, tutta roba che se va bene entra nel mercato del lusso e rappresenta un’inezia sul volume dei birrodotti dei pub

        c’è da dire che si beve gran meglio di una volta. ed in fondo i veri strenui difensori di un bere diversificato sono i neofiti curiosi, che han paura dell’amaro, qualche ragazza a volte, a cui allunghi una blanche

    • In molti publican ormai vedo perfino rassegnazione, della serie “questa mi chiedono e questa mi tocca offrire”.

  8. A milano direi che non esiste proprio questa realtà.
    Le gateway beer sono sempre le “solite” Chimay, Duvel, Chouffe etc. peraltro sono birre che ancora a distanza oltre un decennio di birra Buona (artigianale o meno) continuo ad apprezzare.
    Diciamo che secondo me molti partono da queste belga dall’alto vol alcoolico e alcuni successivamente si interessano e capiscono tutto quello che c’e’ oltre la percentuale d’alcool.
    Non ho mai sentito praticamente nessuno a milano passare da una becks/peroni/tennents direttamente a brewdog e men che meno mikkeller senza prima passare dal belgio o in alcuni casi (ma meno) dalle real ale inglesi.

    • In effetti una volta quello che ti chiedevano era “dammi la più alcolica”. Oggi, almeno qui, è “dammi la più amara”.

    • io però anche qui al nord noto che quando in un locale esce il distrubutore automa e si insinua la passione più o meno convintamente aumentano gli IBU…

  9. Io non condivido troppo questo “allarmismo”. L’età media di chi beve solo birre megaluppolate (intendo chi beve solo quelle e rifiuterebbe a detta vostra una saison dupont o quello che ve pare a voi) è abbastanza bassa, non ci trovo niente di strano se sono fissati con qualcosa dall’impatto violento ed evidente. Dal mio punto di vista se finiranno con l’interessarsi realmente al mondo brassicolo berranno anche tutto il resto, se si limiteranno a bere per stare fatti continueranno con le ipa da 9 gradi e mezzo e nessuno di noi sentirà la loro mancanza nelle occasioni che contano.
    Fra l’altro noto anche che pure chi si lamenta da tempo di questa tendenza finisce con l’ordinare sempre e comunque megaluppoli. Anche gli insospettabili bevono “triple ipa” 😀
    Inoltre trovare alla spina qualcosa di raro e particolarissimo per cui impazzireste è interessante ma se la trovate a disposizione ringraziate (si fa per dire) quella imperial double mega ultra ipa spillata a fianco, i cui fusti vengono cambiati in continuazione.

  10. Salvatore (adb)

    Assolutamente d’accordo con quanto scrivi, specie nell’ultima frase. Nella fase iniziale del boom, tutti i publican che proponevano birra artigianale erano realmente appassionati. Avevano competenza, amore e voglia di divulgare un nuovo modo di bere anche a discapito del vil danaro. Erano loro la forza trainante e innovativa. Oggi è sempre più probabile il contrario e che il proprietario di un beershop o un publican sia qualcuno che vuole investire in un settore in crescita. Facile poi che la necessità di far quadrare i conti prevalga. Forse una parte più attiva dovremmo ritagliarcela noi appassionati, promuovendo la cultura della buona birra, legata alle tradizioni ma aperta alle innovazioni.

  11. Buon articolo a mio avviso pero’ la situazione viene analizzata molto dal lato dei publican che e’ vero oggi annovera tra le sue fila figure non preparatissime e questo e il bene ed il male della crescita di un movimento. Analizziamo pero’ la cosa dal lato del pubblico, quando uno ha una nuova passione ma anche solo una curiosity’ tende a provare a cercare paragoni a cercare di capire nasce cosi’ dentro una persona un bagaglio culturale. Io agli inizi (a dire il vero anche ora) assaggiavo di tutto spesso andando a documentarmi di persona perche’ chi era di la dal bancone ne sapeva meno di me oggi vedo gente che viene al locale forse per moda o per curiosita’ma pochi con la voglia di conoscere e provare anzi trovano la birra che gli piace e prendono solo quella nemmeno un altra etichetta magari con lo stesso stile di riferimento, sento gente che si lamenta e va via perche’ ruoto le spine e non ritrova la birra che gli era piaciuta la volta prima. Ma non allarmiamoci sicuramente oggi abbiamo una situazione culturale generalein italia drammatica e tante persone si avvicinano a questo mondo come pecore in un branco solo perche’trasportate ma incapaci di scegliere perche ‘ non sono abituati ne gli interessa allora si segue la moda la pin’ amara che ha sostituito la pin’ forte! dobbiamo pensare forse che non per tutti la birra sia passione e come dico a me stesso se da un branco riesco a tirar fuori un individuo che crescera’ ogni tanto saro’ riuscito anche nel mio intento culturale. Chiudo con una frase che mi son detto leggendo l’articolo :”esistono pessimi publican grazie a pessimi client!”

  12. Bho ragazzi forse sono una capra io ma tutta questa corsa ad aprire pub per sfruttare l’onda della birra artigianale proprio non la vedo. Difficile pensare di diventare ricchi quando io publican devo pagare dai 3.20 ai 4e litro a seconda della birra e non posso vendere la pinta a più di 5e, ormai praticamente prezzo imposto e sulle bottiglie il margine è ancora più basso. Chi si getta in questo mondo secondo me lo fa ancora per grande passione altrimenti il gioco non vale proprio la candela.

    • Se sei di Roma sai che non è così. spunta un beershop/pub ogni 3 giorni.
      Fidati che il margine per fare soldi è ancora ampio.

      • Tralasciando che se parli di birra con un buon 85% del personale presente nei suddetti beershop/pub ne esci sconsolato…..

  13. Siete dei vecchi tromboni.
    C’é spazio per tutti e cercare di regolare il mercato sarebbe come svuotare l’oceano con un Kölschglas.
    Un plauso a quei publican che comunque di fianco a camionate di luppolo (si devono pagare gli stipendi) mantengono fissa una Rosé de Gambrinus.
    E big shame per quei pub che hanno solo birre per pischelli ibudipendenti, probabilmente due anni fa i titolari gestivano un noleggio di DVD o un solarium ed in futuro avranno un negozio di centrifugati di verdura.

    • non so mica. a parte il fatto che se l’alternativa è fra il dominio dell’amaro assoluto e quello dell’acido PH2 stiamo freschi… ma se tutti i pub meritevoli avessero una Cantillon alla spina, chi la dovrebbe fare? Timmermans?

      io continuo ad essere disponibile a sciropparmi un centinaio di km che una Dulle Teve alla spina in grande spolvero. peraltro oramai molto più rara della Rosé

      • Eh sì, estremizzazione anche lì.

      • Una Rosè de Gambrinus è il monito per il pischello ibudipendente.
        Si fa di luppolo pensando di essere trasgressivo, ma papà è lì per dirgli: “guarda che i tuoi francobollini mi fanno ridere…”

        • io non li sfiderei. poi finisce che sballano definitivamente, si fanno di acidi e ci ritroviamo al pub ogni genere di zozzeria…

          e poi arriva qualche residuato bellico del 68 a fare il trombone spiegando che non ci sono più gli acidi di una volta…

    • Berliner Marco

      Verità!

    • Appunto, come sopra…E’ solo una questione di tempo 😉

  14. mah. io non sono convinto. posso dire con sicurezza che al bq sui navigli la birra più venduta è la blanche, seguita dalla weiss, seguita dalla belga chiara alcolica (belgian strong golden ale o tripel).

  15. secondo me ognuno deve bere seguendo il proprio gusto…15 anni fà come Pale ALE trovavo la “Bass” oggi trovo tante IPA APA ecc… per i miei gusti e positivo.. è altrettanto vero che una Saison Dupont è buona punto e basta…!!! e chi non l’ha provata si è perso molto…

  16. Penso che nella vita e anche nelle passioni ci siano della fasi, individuali e collettive…nella musica mi capitan periodi da punk estremo e periodi di rock anni 70…nella birra periodi di classice belga e periodi di IBU smodati… Sono fasi che ognuno passa, se poi la passioni esiste veramente si va avanti e non ci si ferma sono alla prima fase (che senza dubbio per la maggior parte dei neofiti è quella dell’amaro estremo)…il publican deve dare l’input ma il cervello e la passione (merce rara), li mette il consumatore!!!

  17. non condivido questo pessimismo. secondo me le superluppolate sono una grande oppurtunità per fare avvicinare la gente alla birra di qualità. personalmente ho “iniziato” molti amici alla artigianale proprio con una punk IPA o con altri succhi di luppolo american/scandinavi. sono birre che hanno il grande vantaggio di essere molto riconoscibili e di forte impatto, se poi dietro c’è un po’ di curiosità l’emancipazione dall’IBU estremo avviene naturalmente. se invece qualcuno rimane incastrato nelle spire delle IPA estreme si sarebbe comunque fermato alla prima “cosa nuova” che gli passa davanti. non darei la colpa ai radiohead se la gente non conosce i beatles.

  18. Quesito interessante. Per quanto mi riguarda, credo che il publican o proprietario di beer-shop abbia interesse a proporre ampia scelta su quanto più richiesto.
    Anzi tra le prime richieste credo ci sia quella di avere ampia scelta (inteso come varie etichette dello stesso stile per le bottiglie o ampio ricambio se si parla di birre alla spina).
    Se un beer shop propone 15 ipa e solo 3-4 etichette per ognunodegli altri stili, non credo ci sia poi nulla di male.
    Così come se un pub propone 2 -3 ipa – apa su 5 spine disponibili.
    L’importante è avere scelta. Poi finito il boom le cose si ri-equilibreranno, così come si ri-equilibrerà il numero dei clienti (nel senso che la % di bevitori di birra diminuirà a favore di altre mode del momento).

  19. Il pub del futuro avrà 6/8 linee al massimo, tutte di grandissimo livello e garantite da un publican colto e con le palle.
    Prevedo anche un buttadentro che lasci fuori chi non merita.

  20. Comunque, giusto per la cronaca, Angelo dell’Open è da mesi che pensa al “no-ipa day”. Vogliamo aprire la raccolta di adesioni?

  21. Cicili e ricicli… l’amaro estremo in fondo è una prova di forza, quindi è naturale che attragga i giovani, meglio ancora se amaro E alcolico. Agli estremi, una specie di Petrus o Cynar, ma di quelli che puoi bere una pinta per volta perché sì, c’è l’alcool ma non più di tanto e comunque si sente meno al palato e fa venire meno preoccupazioni…

    Ma la storia della birra è comunque piena di “gusti del momento”, di popolarità cresciute e cadute allo stesso passo della moda nel vestire: la speranza è che al termine di questo ciclo ce ne sia un altro, che non si torni agli insipidi fermentati di mais ultragasati ma si approfitti dello slancio per allergare gli orizzonti. Anche solo uno su 10 sarebbe più che sufficiente per iniziare a creare una cultura, e far cessare l’obbrobrio della bionda/ambrata/nera con opzione doppio malto…

  22. Il mercato si regolerà rifiutando interventi esterni, di sicuro.
    Però certe volte bisogna pure fermarsi a guardare quello che si combina.
    Sui publican pesa il fardello della cultura birraria da impartire.
    Di alcuni spesso fa quasi tenerezza vederne alcuni parlare ogni sera di belgian ale, helles o strong ale. Di qualche altro mi chiedo come possa contemporaneamente andare di matto per una Nanny State e per una Samuel Smith’s Imperial Stout.
    Tema importante, secondo me, perchè al momento la situazione si può ancora raddrizzare, se quelli che saranno gli appassionati di domani riuscissero a rinsavire da questo torpore mediatico estremo ed estremista.

    Belli i tuoi rilanci sul tema, Andrea.
    E scusa per averti “rovinato” l’arrosto sabato! 🙂

  23. Rauchbierlover

    Applausi! Quando riuscirò a trovare una schwarzbier o una alt a Roma al posto de ste spremute di resina potrò morire felice…

    • Non le vendono più manco in Germania….ci sarà un motivo….

      • Certo, sono troppo difficili da fare 🙂

        • Ma va…te ne faccio subito un paio….

        • Ma va …te ne sparo un paio al volo….il problema è che poi non le vendi….

          • Certo che non le vendi a 15 €/lt visto che c’e’ chi le fa da perfette a 1 €/lt (al cliente).

          • Rauchbierlover

            Non le vendi perché non sono di moda. E non regge la storia che si “rovinano” facilmente. Perchè se si riescono a far fuori con poco le birre americane che passano per i porti dell’Olanda, non vedo perché non sia possibile vendere birre della Turingia. Possibile che per bermi una kölsch devo passare per le “cover” dei birrifici italiani? Che per bermi una schwarz devo rivolgermi a De Molen? (quindi De Molen che è moda sì, Neuzelle che non se lo fila nessuno no). Alla fine poco male, sono spesso in Germania e me le bevo lì. Però la situazione romana sotto questo punta di vista è davvero triste.

          • @Anon effettivamente non hai tutti i torti 😀

          • La PRIMA del Birrificio Italiano era ottima poi è diventata Sui Generis, è sempre buona ma è diversa…

            la migliore è LA NERA di Rienzbrau…ma devi andare fino a Brunico 🙁
            http://www.rienzbraeu.com/de/Brauerei/Biersorten.html

      • vero; ed è un peccato.
        Per dirne una, la Heizer della Bayerischer Bahnhof mi ha stregato.
        BB che, mi sbaglierò, luppola un po’ di più le sue birre ultimamente (sempre per tornare al discorso del topic)

  24. Io posso riportarvi la nostra esperienza di pub aperto da meno di 4 mesi… Vi assicuro che il 99% delle persone che si affaccia per la prima volta in questo mondo, almeno da noi, ci entra attraverso una tedesca o una belga… l’amaro, di primo acchitto, non piace proprio.
    Poi è evidente che, una volta entrati nel vortice del mondo dell’artigianale, la maggioranza si sposta verso il luppolo, e i motivi possono essere tanti, tra cui il fatto che le ultraluppolate siano la moda del momento… ma seguire la massa non è un problema relativo solo al mondo della birra…
    Secondo me il discorso è un pò diverso.
    Prima c’erano poche birre artigianali, pochi birrifici e pochi posti dove berle… quindi era una cosa per pochi, e soprattutto per appassionati, che, in quanto appassionati, apprezzano tutto il mondo birrario e non seguono soltanto la moda del momento.
    Ora non possiamo non renderci conto che questo mondo è totalmente cambiato.
    La birra artigianale non è più una cosa per pochi intenditori, è un fenomeno che sta crescendo enormemente, e direi anche per fortuna!
    Vogliamo forse lamentarci che adesso la gente possa iniziare a bere birra con una punk,mentre prima si iniziava con la tennent’s?
    Io, sempre per la nostra piccola esperienza di pochi mesi, posso dirvi che di nuove leve appassionate ce ne sono tante, ne più ne meno di prima… e loro le birre le conoscono e le bevono tutte… anzi ormai se le fanno direttamente in casa!
    La vera differenza rispetto a qualche anno fa, è che queste nuove leve sono circondate da una marea di gente non appassionata, ma che comunque beve artigianale, e se questa marea si sta facendo trasportare dalla moda delle ipa… Siamo sicuri che sia colpa dei publicans?
    E soprattutto siamo sicuri che sia una cosa negativa per il mondo dell’artigianale?

  25. Purtroppo la tendenza a seguire la massa è presente in ogni campo della socialità umana, non bisogna rammaricarsene troppo. In ogni caso, guardando indietro a cos’era il mercato romano di qualche anno fa, non possiamo negare che l’offerta di birra di qualità sia nettamente aumentata e di questo non c’è che da rallegrarsene.
    Certo, è un peccato che continuino a sorgere come funghi beershop dall’offerta banale e dai prezzi talvolta stellari e che all’aumento dei consumi di birra artigianale non abbia fatto seguito una proporzionale crescita della varietà in commercio. Sarebbe stupendo avere sotto casa un piccolo “Bir&Fud bottega” invece del classico spaccio di Brewdog identico ad altri cinquanta. Ma cosa possiamo fare? Intimare al proprietario di chiudere o costringerlo a vendere la birra che preferiamo? Ci sarà sempre chi prova a cavalcare l’onda, a trarre il massimo profitto con il minimo sforzo. L’unica cosa che si può fare è promuovere la cultura della birra tra i neofiti con manifestazioni, iniziative (e qui la responsabilità è sia delle associazioni che dei publicans), ma anche singolarmente, magari mettendoci all’occorrenza a discutere con chi non è mai andato oltre una Punk Ipa. Questo non vuol dire rifiutare in toto le APA o le recenti creazioni bizzarre, che hanno comunque un loro senso di esistere, ma far scoprire alla gente che un birra può farci provare molte più emozioni che una semplice mazzata di amaro in bocca.

  26. A noi Publican africani d’italia Prima bisogna averle le birre …o xlo meno devono arrivarci… x non parlare dei Microbirrifici Italiani che neanche ti cagano …. Comq .. Grazie alla distribuzione di MMerda che aleggia nel continente…col caxxo che le possiamo servire!
    Leinechen & moretti continueranno a dettare legge .. purtroppo! 🙁 non ci resta che sperare nei Micro Africani…sicuramente sapranno fare meglio di Tante aziende di distribuzione Italiane…che riescono a importare dagli USA & Non riescono a distribuire in Sicilia!

  27. Quello che dice Andrea è vero, noi per esempio abbiamo una Pils di qualità che purtroppo è difficile vendere agli esercenti, eppure quelli che l’hanno presa la vendono molto bene…

  28. …c’é anche che va un po’ in controtendenza…

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