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Homebrewing: lo famo strano?

Esistono tanti modi per produrre birra a casa: dai kit, agli estratti con aggiunta di luppoli e malti speciali fino alla tecnica all grain, che parte dalle singole materie prime ed è quella praticata dai birrifici. Il bello della produzione casalinga di birra è che si può arrivare ai livelli dei pro anche con tre pentoloni, un fornello e un frigorifero (per alcune birre anche senza frigorifero, a dire la verità). Di contro c’è che la fase di produzione a caldo fatta secondo i sacri crismi, la cottura, o la cotta come viene chiamata nell’ambiente, difficilmente dura meno di cinque o sei ore. Non sempre si ha tutto questo tempo a disposizione per praticare un hobby e quindi spesso si cercano delle scorciatoie. Oggi lasciamo da parte i kit e gli estratti e parliamo degli approcci più o meno strani che gli homebrewer si divertono a seguire per le loro produzioni casalinghe. Non tutti sono consigliati, almeno non da me, ma troverete sempre qualcuno che vi dirà “io faccio così e le mie birre sono buonissime lo stesso”. Provare per credere!

Il metodo classico

Partiamo con una panoramica veloce su quello che possiamo definire il “metodo classico”, ovvero la produzione con tecnica allgrain partendo dalla macinazione del malto d’orzo. Questo metodo, specialmente in ambito casalingo, viene chiamato spesso allgrain a tre tini (dove i tre tini sono le tre pentole necessarie per la cottura del mosto). Proverò a fare una sintesi di massima che più o meno descriva brevemente tutte le fasi del processo, ma andando a chiedere in giro scoprirete facilmente che ciascuno applica qualche piccola accortezza che lo distingue dagli altri. A ogni modo, i passaggi generali del metodo classico sono sempre più o meno gli stessi. Dopo aver macinato il malto, si riempie un pentolone di acqua calda e si tengono in ammollo i grani per un’oretta a una temperatura che può variare tra i 65 e 70 gradi centigradi. In questa fase gli enzimi scompongono l’amido del malto trasformandolo in zucchero digeribile dal lievito. Questa fase si chiama ammostamento, o mash in inglese. Una volta terminata la conversione degli amidi in zuccheri, la miscela viene filtrata aprendo un rubinetto sul fondo della pentola: il mosto passa attraverso il letto di trebbie e arriva bello limpido nella pentola di bollitura. In questa fase si opera anche un risciacquo facendo passare altra acqua calda nel letto di trebbie, in modo da recuperare più zuccheri possibile. Questo passaggio viene chiamato risciacquo delle trebbie, sparge in inglese.

Dopo aver lasciato tutte le trebbie nella pentola di ammostamento, si inizia la bollitura del mosto trasferito nella pentola di boil. Si fa bollire in genere per un’ora, aggiungendo luppolo in vari momenti per estrarre amaro e aromi. Questa fase si chiama, ovviamente, bollitura. Terminata la bollitura si fredda velocemente il mosto, con uno scambiatore a piastre in birrificio, a casa anche con una serpentina in rame in cui scorre acqua fredda, e si passa nel fermentatore. Si aggiunge il lievito e la fermentazione parte. Da qui in poi i tempi variano, ma nella maggior parte dei casi dopo un mesetto la birra è pronta per essere imbottigliata o infustata. Quindi, riassumendo: macinatura del malto, ammostamento per estrarre gli zuccheri, filtrazione per rimuovere le trebbie e ottenere un mosto limpido, risciacquo per recuperare tutti gli zuccheri, bollitura per estrarre amaro e aromi dal luppolo, raffreddamento, inoculo del lievito e fermentazione. Quanto tempo ci vuole dall’inizio della cotta (macinatura malto) alla fine (inoculo del lievito)? Dipende anche questo da molti fattori, ma chi fa birra in casa difficilmente ci mette meno di cinque/sei ore, considerando anche le pulizie finali che prendono parecchio tempo. Non tutti hanno a disposizione tanto tempo libero da dedicare alla produzione, ragion per cui negli anni sono sviluppati diversi metodi alternativi più o meno “estremi”. Passiamo in rassegna i principali.

Brew in a Bag

Anche noto come BIAB, si tratta di un metodo abbastanza diffuso tra gli homebrewer che utilizzo anche io per produrre birra in casa. Rispetto al processo standard, elimina completamente le fase di filtraggio e risciacquo delle trebbie. L’idea è simile ai sacchetti di tè su scala più grande: il malto d’orzo si macina e si mette in una sacca a maglia molto fine, insieme a tutta l’acqua (che non viene divisa tra ammostamento e risciacquo). Si procede con la fase di ammostamento come nel metodo classico, mantenendo la temperatura stabile per un’ora circa; poi si estrae la sacca con i malti dalla pentola e si avvia la bollitura. L’enorme vantaggio di questo metodo è quello di utilizzare una sola pentola per tutte le fasi del processo, anziché tre (una per scaldare l’acqua di sparge, una per il mash e una per la bollitura). Attrezzatura meno costosa, ridotti tempi di lavaggio e praticità sono i principali vantaggi di questo metodo. Svantaggi? Il primo è il limite sui litri di produzione: estrarre la sacca dalla pentola risulta già complicato con sette/otto Kg di malto (circa 20 litri di birra finita), per volumi maggiori serve una vera e propria carrucola. Il secondo svantaggio è la minore efficienza di sistema: siccome si salta il risciacquo delle trebbie, molti zuccheri restano nella sacca al momento dell’estrazione. Questo riduce la concentrazione degli zuccheri estratti a parità di Kg di malto utilizzati. In pratica, per fare una birra con un tot percentuale di alcol serve più malto. Strizzando la sacca si può comunque arrivare a efficienze non troppo lontane dal metodo classico.  Esiste poi tutto un altro filone di critica al metodo Brew In A Bag legata alla torbidità del mosto che si porta in bollitura, ma siamo nel campo delle elucubrazioni filosofiche (se interessa trovate un articolo di approfondimento qui).

Overnight mash

Qui siamo al primo metodo un po’ estremo, almeno a mio parere. Se il BIAB è controverso, l’overnight mash lo è ancora di più. Abbiamo detto che l’ammostamento in genere dura più o meno un’ora e serve per far lavorare gli enzimi che scindono gli amidi del malto in zuccheri semplici, facilmente digeribili dal lievito che andrà successivamente a fermentare la birra. Alcuni homebrewer preferiscono dividere la giornata di cotta in due per alleggerire l’impegno, dedicando un paio di ore alla cotta per esempio il sabato sera e altre due/tre la domenica mattina, dopo aver fatto colazione in famiglia. Quando è lecito interrompere l’attività della catena di produzione? In teoria non lo sarebbe mai per diverse ragioni, ma in molti hanno provato a lasciare il malto in ammollo tutta la notte per bollire il mosto il giorno successivo. In pratica si porta la miscela di acqua e malto alla temperatura di ammostamento (tra 65 e 70 gradi a seconda della necessità), si chiude il pentolone, lo si isola in qualche modo (magari avvolgendolo con una coperta) e si lascia il tutto da parte fino al giorno dopo, quando si riparte con bollitura seguendo il procedimento standard. Se il tutto è ben isolato, la temperatura della miscela rimarrà più o meno stabile per un’oretta, mantenendo le condizioni di mash e portando a compimento la conversione degli amidi in zuccheri.

Dove sta il pericolo? Come tutti sappiamo i chicchi d’orzo sono cresciuti in un campo all’aperto, quindi sono tutt’altro che sterili: all’esterno dei chicchi hanno preso dimora i più svariati organismi, come lieviti, batteri e chi più ne ha più ne metta. Le temperature di ammostamento sono al limite di quelle di pastorizzazione (che in genere è di 68°C) e non è detto che si riescano a rendere innocui lieviti e batteri che sono presenti naturalmente nei chicchi. Anche per questa ragione il mosto si fa bollire dopo il mash, per esser sicuri di uccidere le forme vegetative di tutti i microrganismi che sono naturalmente presenti sui grani. Nel classico mash di un’ora questi microrganismi non hanno tempo sufficiente per riprodursi, fermentare gli zuccheri e creare aromi indesiderati nella birra; se il mash dura però tutta la notte, il tempo c’è. Considerando anche che nel giro di un’ora tutti gli amidi saranno stati convertiti in zuccheri dagli enzimi, ci troviamo praticamente di fronte a un vero e proprio party per batteri e lieviti selvaggi. Eppure, chi pratica questo approccio giura e spergiura di produrre birre buonissime senza contaminazioni. Come è possibile? Anzitutto un minimo di pastorizzazione avviene, anche se non completa. Secondo, a un certo punto la temperatura della miscela inizia a scendere, inibendo una quota parte (ma non tutti) dei microrganismi presenti. Terzo, c’è sempre la botta di culo. Personalmente è un metodo che temo, ma ho letto di tanti homebrewers che l’hanno praticato con buoni risultati.

No chill

Come dice la parola stessa, no chill significa “senza raffreddamento”. Il che non vuol dire che il mosto non venga raffreddato dopo la bollitura, ma che non si usa nessuna attrezzatura per raffreddarlo: niente serpentina in rame, quindi, niente scambiatori o vasca di raffreddamento. Semplicemente si lascia il pentolone chiuso da una parte dopo la bollitura, possibilmente in una zona fredda (magari la notte sul terrazzo) e si attende che si freddi da solo fino alla temperatura ambiente. Di fatto, come per l’overnight mash, si riprende la cotta il giorno successivo trasferendo il mosto raffreddato nel fermentatore con successivo inoculo del lievito. Questo metodo è molto praticato nelle zone in cui scarseggia l’acqua, dato che per il raffreddamento con serpentina o scambiatore servono ingenti quantità di acqua che non tutti hanno a disposizione. In questo caso i rischi di contaminazione sono minori rispetto all’overnight mash, perché la bollitura garantisce la disattivazione della forma vegetativa di tutti i microrganismi (le spore resistono alla bollitura di un’ora, ma non hanno il tempo di riattivarsi e creare danni in una notte, in genere).

Il rischio maggiore, in questo caso, è di altro tipo: la formazione del DMS. Questo composto originato dai malti, si forma durante la bollitura ma si volatilizza durante la stessa grazie al moto vigoroso del mosto. Una bollitura di un’ora non garantisce però sempre l’eliminazione di tutto il DMS presente nei grani: questo può iniziare a riformarsi dopo la bollitura fino a quando il mosto non scende sotto i 60°C, senza avere in questo caso la possibilità di evaporare. Ciò significa che ce lo ritroveremo nella birra finita sotto forma di aroma di mais in scatola, cavolo bollito o verdura bollita. Eventualità rara? Stando a chi pratica questo metodo (e non sono in pochi) la birra finita è esente da questo difetto, ma certamente il rischio c’è ed è maggiore rispetto al classico raffreddamento di una ventina di minuti con serpentina. Il vantaggio è indubbiamente un minore consumo d’acqua e, anche in questo caso, la possibilità di dividere la cotta in due fasi.

No Boil

Qui siamo all’estremo dell’estremo: niente bollitura, si fa solo il mash, si filtra e si inocula il lievito. Non a caso questo metodo viene utilizzato quasi esclusivamente per la produzione di birre in stile Berliner Weisse, storicamente acidificate con i batteri presenti sui chicchi di orzo. Ovviamente, saltando la bollitura è impossibile estrarre l’amaro dal luppolo, ma se la birra prodotta è acida l’amaro non necessariamente deve essere presente. Alcuni fanno bollire a parte il luppolo in acqua e lo aggiungono in soluzione successivamente, altri lasciano all’acidità il compito di bilanciare la dolcezza residua. A differenza dell’overnight mash, in questo caso il mosto non viene mai bollito, il che lascia molto più tempo d’azione a batteri e lieviti selvaggi che possono iniziare a manifestare la loro presenza a molte settimane di distanza producendo potenzialmente aromi sgraditi, acidità (questa non sempre sgradita) ma soprattutto sovracarbonazione una volta che la birra finisce in bottiglia. Lascerei decisamente questo approccio estremo a chi sa quello che sta facendo.

Conoscete qualche metodo ancora più estremo? Se sì, sono curioso di conoscerlo!

L'autore: Francesco Antonelli

Ingegnere elettronico prestato al marketing, da sempre appassionato di pub e di birre (in questo ordine). Tra i fondatori del blog Brewing Bad, produce birra in casa a ciclo continuo. Insegna tecniche di degustazione e produzione casalinga. Divoratore di libri di storia e cultura birraria. Da febbraio 2014 è Degustatore Professionista dell'Associazione Degustatori di Birra.

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4 Commenti

  1. C’è il metodo NO MASH-NO BOIL-NO CHILL-NO FERMENTATION
    In pratica prendo la bustina di birra liofilizzata, un po’ d’acqua e via, birra pronta in 5 minuti!

    http://snowboardmountaineer.com/review-pats-backcountry-beverages-beer/

  2. In effetti si trovano in vendita sciroppi al malto da aggiungere all’acqua carbonata per birre istantanee.

  3. Turbid mash, Parti gyle

  4. Vorrei sapere. Oggi dopo circa quattro giorni ho provato ad assaggiare la birra che era nel fermentatore. Il gusto è molto amaro perché?

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