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La birra nel Regno Unito e il conservatorismo del CAMRA

In Italia si fa un gran parlare di cosa sia la birra artigianale. Qualsiasi definizione ne si voglia dare, una cosa è certa: gli appassionati sembrano tutti, in un modo o nell’altro, uniti sotto la bandiera della “qualità”. Prima di trasferirmi nel Regno Unito, dove ormai vivo da tempo, ero convinto che i membri del CAMRA (Campaign for Real Ale, per chi ancora non lo conoscesse) fossero il corrispettivo britannico degli appassionati italiani di birra artigianale. Del CAMRA ammiravo soprattutto l’organizzazione capillare, la funzionalità, la trasparenza e la solerzia dei suoi associati. Nulla di tutto ciò è cambiato, continuo a rispettare queste qualità. Devo però ammettere che mi sono anche dovuto rendere conto delle sue straordinarie incertezze.

L’attuale situazione della birra nel Regno Unito è effettivamente piuttosto complessa, in quanto vede contrapporsi due mondi che comunicano tra loro con estrema difficoltà. Il problema non riguarda solo la birra, è anzi molto più profondo, direi generazionale. Uno di questi due mondi, il CAMRA, rappresenta la tradizione, in tutti i sensi. Nato oramai più di quarant’anni fa, conta oltre 171 mila membri di cui solo una piccola percentuale sotto i 30 anni. Il fatto preoccupante è che, malgrado il boom dei birrifici artigianali degli ultimi due/tre anni (aperti per lo più da “youngsters”), il CAMRA fatica ad aumentare la percentuale dei giovani affiliati.

Foto: Stephen Duncan Photography
Foto: Stephen Duncan Photography

Se non nel CAMRA, in cosa si rispecchiano dunque queste giovani leve britanniche del bere di qualità? Nel movimento “craft beer”, un termine che si può associare al nostro “birra artigianale”. Anche le caratteristiche sociali del movimento sono assimilabili alla rivoluzione birraria italiana. Età media relativamente bassa, voglia di sperimentare, mettersi in gioco, e grande interesse verso ciò che viene da fuori. Le loro birre sono principalmente d’ispirazione americana, non mancano ardite sperimentazioni, birre acide e basse fermentazioni.

Da straniero riesco fortunatamente ad apprezzare entrambe le facce della medaglia; non posso però nascondere che il conservatorismo del CAMRA e tutto ciò che ne consegue abbiano reso la vita di un volenteroso trentenne – per di più straniero – particolarmente difficile in più di un’occasione: le differenze tra un appassionato medio – italiano, americano o quant’altro – e il CAMRA sono talmente profonde che alle volte ci si può sentire fortemente disorientati. I problemi di comunicazione non sono linguistici, ma culturali.

Un esempio: per il CAMRA le Lager non sono, per loro natura, un prodotto degno. Come far capire quindi che una delle birre italiane di punta è proprio una bassa fermentazione? E come far capire che non intendo la Peroni, ma la Tipopils del Birrificio Italiano? E soprattutto, come far capire che oramai sono rimasti gli unici nel mondo birrario a ignorare completamente ciò che accade all’estero, Italia inclusa?

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I birrifici che seguono il CAMRA sono ancora la maggioranza nel paese, ma è chiaro che le nuove leve della birrificazione si stanno direzionando verso filosofie produttive dalle influenze più internazionali. Ovviamente questo avviene soprattutto in città cosmopolite come ad esempio Londra, Manchester o Bristol. Di conseguenza, sentendosi in qualche modo a rischio, alcuni dei birrifici CAMRA-style stanno tentando di attirare la fetta di mercato “craft”, interessata a qualcosa che vada al di là delle solite Bitter. Per non perdere però i benefici del rimanere sotto l’ala protettrice del CAMRA, questi produttori hanno dato alla luce prodotti poco rassicuranti.

Il termine “Lager”, infatti, sembra attirare particolarmente l’attenzione del consumatore medio di Real Ale, la punto che è diventato il principale oggetto di questa ricerca verso l’esotico. La conseguenza è che in giro sono cominciati ad apparire prodotti definiti “Real Lager”, sebbene siano tutto meno che delle Lager. Infatti, le Lager prodotte secondo i dettami del CAMRA non potranno mai essere, per forza di cose, “vere lager”. Di contro però non sono neanche basse fermentazioni, ma semplicemente Cask Ales “lagerizzate” per un periodo prolungato dopo la fermentazione. Queste birre superano la censura del CAMRA e vengono ammesse ai suoi festival, nonostante rappresentino un evidente non-sense in termini di cultura birraria.

Questo è purtroppo il risvolto negativo di uno scontro generazionale che sta minando le basi di una cultura birraria centenaria. Per quanto esistano delle realtà per forza di cose più timidamente progressiste (come ad esempio il Great British Beer Festival di Londra), la maggioranza del CAMRA rimane caratterizzata da un conservatorismo paraocchiuto. Fino a pochi anni fa il CAMRA era un’associazione – l’unica del suo genere – in grado di tenere le redini di un intero paese. Oggi, con gli appassionati di birra più giovani che ne rifiutano la chiusura mentale e preferiscono l’apertura della realtà “craft”, il futuro della Real Ale è quantomai incerto.

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Foto: Stephen Duncan Photography

È uno straordinario periodo di transizione. Il CAMRA come lo conosciamo oggi sicuramente non scomparirà, quantomeno non nel prossimo futuro, ma senza dubbi l’istinto di adattamento lo porterà ad un’evoluzione forzata. Ciò che mi auguro è che questo avvenga con misura. Personalmente non reputo necessario che il CAMRA debba obbligatoriamente evolversi in qualcosa che ne snaturi lo spirito con cui è nato.

Ritengo assolutamente possibile sperimentare ed evolversi anche rimanendo all’interno del concetto di Real Ale. Come sempre però la crescita – o la molto più banale sopravvivenza – non passano tramite la paura e l’imitazione patetica di prodotti che per forza di cose sono estranei alla propria natura. Al contrario, necessitano di forza di volontà, inventiva, intraprendenza, riconoscimento del valore del proprio patrimonio birrario e voglia di offrire qualcosa di semplicemente inimitabile.

L'autore: Jacopo Mazzeo

Consulente, degustatore e scrittore birrario free-lance di stanza nel Regno Unito. È membro della British Guild of Beer Writers e giudice internazionale. Viaggia spesso alla scoperta di nuove mete birrarie e segue alla lettera il suggerimento del medico della nazionale, bevendo birra dopo ogni attività fisica - tipo camminare fino al pub.

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5 Commenti

  1. Apprendo qui di questa triste storia delle lager “made in CAMRA”. Ma a parte questo, ammetto di essere strenuo sostenitore del loro atteggiamento conservatorista: piú mi capita di bere inglese “tradizionale” (per esempio al Tree Folk’s a Roma) e piú mi convinco che non si tratta né di curiositá erudite né di cimeli nostalgici. Quello che il CAMRA difende è un autentico patrimonio di bontá, forse meno “immediato” rispetto allo stile craft moderno, ma ben venga anche un approccio da talebani, se è necessario a preservarlo.

  2. Complimenti per l’articolo, davvero interessante.

  3. Adriano Giulioni

    Interessantissimo articolo. Forse con dinamiche diverse è quello che accade anche in Germania.

  4. I rischi son stati ben esposti. Il contro è che i trend del comparto craft attuale facciano scomparire o snaturare gli stili tradizionali. Secondo me la paura vera è questa: che non si riesca poi più a trovare una english IPA davvero ENGLISH o una scotch ale davvero SCOTCH.

  5. Grazie a tutti per i vostri commenti! 😉

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