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Lo stage post laurea perfetto? Al birrificio De Prael di Amsterdam

Una volta terminati i miei 5 anni di studi in Economia, ho deciso di concentrarmi su qualcosa che mi stava tormentando da anni: la birra artigianale.

Ho iniziato come homebrewer durante l’estate del 2009 e studiando, leggendo ed imparando dagli errori mi sono profondamente appassionato al processo produttivo. Da allora, non l’ho più mollato. È chiaro che non potevo abbandonare gli studi e, sebbene l’Economia non sia il percorso più adatto a chi vuole intraprendere questa strada, la mia specializzazione mi è stata molte volte di grande aiuto, soprattutto durante la redazione della tesi di laurea. Argomento: birra artigianale, è chiaro.

È stato proprio mentre scrivevo questa tesi che la mia cocciutaggine, l’amore verso la birra e l’età giovane mi sussurravano di fare un tentativo, ma la domanda era: come si può provare a diventare birrai partendo da homebrewing e studi economici? La risposta è stata l’Erasmus for young entrepreneurs (sito web), un programma della Commissione Europea non legato all’Università, che permette di fare esperienza lavorativa in un’azienda nel settore in cui il giovane neo imprenditore desideri lanciarsi.

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Trovare un birrificio disposto a questo tipo di scambio non è stato facile, ma il caso ha voluto che un produttore artigianale nel cuore di Amsterdam abbia deciso di iscriversi al programma come impresa ospitante. È stato questo il momento in cui ho conosciuto Fer Kok, uno dei due co-fondatori, nonché mastro birraio della Brouwerij De Prael.

La Brouwerij De Prael è un birrificio molto particolare situato nel cuore della zona a luci rosse di Amsterdam. Qui la produzione è alta e l’impegno nel sociale ancora di più: si producono 1.200 litri di mosto al giorno (5 volte a settimana), vi sono 17 fermentatori, ma soprattutto vi lavorano a rotazione più di 100 persone con problemi psichiatrici.

Queste premesse ovviamente mi spaventavano, ma ho subito colto la sfida e il 15 gennaio è cominciata la mia esperienza: sono entrato alla De Prael conoscendo la birra, il processo, le materie prime e il mercato, ma senza alcun tipo di esperienza lavorativa nel campo. In poche parole ero quasi a livello zero.

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Ogni aspirante birraio deve superare una sorta di battesimo: imparare a pulire un fermentatore. Così in effetti è cominciato il mio lavoro e francamente, nonostante possa apparire banale, la pulizia del fermentatore è tutt’altro che semplice. Esistono infatti tempistiche precise da rispettare, prodotti chimici da adoperare con attenzione e occorre sapere come smontare e rimontare tutti i pezzi che lo compongono. Per fortuna ho superato senza problemi il mio battesimo.

Da quel momento, sempre continuando a pulire fermentatori e lo scambiatore di calore a piastre, è cominciato l’approccio all’impianto: 12 ettolitri, semi-manuale. Lavorando al fianco di BartGerben – i due birrai- nel giro di 15 giorni avevo preso tutti gli appunti necessari per capire ogni singolo step da seguire ed eseguire, quali delle 50 leve azionare e come essere il più efficiente possibile durante la cotta.

Fer, Bart e Gerben mi hanno accolto in birrificio come un vero collega, hanno riposto in me molta fiducia e appena sicuri del mio pieno apprendimento, mi hanno lasciato solo sull’impianto quasi ogni giorno. È inutile sottolineare quanto questo sia stato importante e spronante.

Imparando a usare l’impianto, ho avuto la fortuna di approcciarmi a tanti stili di birra, dalle basse fermentazioni come Bock, Dortmunder o Lager affumicate, alle alte fermentazioni come Bitter, Ipa, Double Ipa, Barley Wine, Tripel, Quadrupel, Saison, Scotch Ale e Stout. Chiaramente ogni stile richiede il suo processo e sia durante la cotta che nelle fasi successive fino al confezionamento bisogna essere pronti a far fronte a possibili problemi.

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A complicare le cose è l’impiego di fermentatori a tenuta: da De Prael infatti non si rifermenta in bottiglia ma si mantiene la stessa co2 della fermentazione primaria. Questo aspetto si ripercuote su varie operazioni, che diventano più complicate del normale. Per fare un esempio, uno dei passaggi più delicati per un birrificio con fermentatori a tenuta è il dry hopping, motivo per il quale il più delle volte tornavo a casa sporco di luppolo e birra.

Qui il dry hopping consiste essenzialmente nel trasferire la birra in un fermentatore vuoto con all’interno del luppolo, ma il vero problema è come riuscirci. Il primo step è assicurarsi di avere un fermentatore svuotato e procedere alla pulizia dello stesso. Una volta pronto all’uso, si inseriscono i luppoli prima del travaso della birra, si chiude ermeticamente il recipiente e si inserisce almeno 1 bar di co2. Quest’ultimo step è necessario perché il fermentatore con la birra in uscita sarà già sotto pressione di almeno di 1,2 bar: se lasciata defluire liberamente nel fermentatore con il luppolo, la birra oltre a perdere la co2 per via della velocità e del movimento che assumerebbe nel fermentatore vuoto, creerebbe così tanta schiuma da rendere ingestibile ogni operazione successiva.

Ma il gioco delle pressioni non finisce qui. Durante il travaso bisognerà trovare la giusta apertura della valvola di sfogo (del fermentatore ospitante) affinché si mantenga corretta la carbonazione della birra e la velocità di entrata della stessa. Contestualmente andrà regolato il flusso di co2 in entrata nel fermentatore di partenza perché man mano che la birra esce, la pressione generale del fermentatore decresce: se non si intervenisse aggiungendo un flusso regolare di co2, il travaso si interromperebbe per mancanza di forza in uscita. Assistere a questa operazione è più facile che spiegarla o scriverla. In sintesi: bisogna mantenere una sorta di equilibrio di anidride carbonica in entrambi i fermentatori per permettere alla birra di defluire non perdendo carbonazione.

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Tecnicismi e curiosità a parte, insieme a Fer abbiamo anche messo a punto nuove ricette. Sono riuscito a far arrivare delle botti di vino rosso usate dall’Italia per l’affinamento della birra, ho avuto la possibilità di produrre una Belgian Dubbel con una mia ricetta, abbiamo partecipato a festival, fiere e ho conosciuto tante altre realtà birrarie di Amsterdam e dintorni. Insomma… mi è andata proprio bene.

In conclusione, è stato un periodo di forte crescita che, nonostante tutte le difficoltà, ha riconfermato la mia passione per la birra artigianale anche da un punto di vista professionale. Sicuramente non smetterò mai di ringraziare tutta la De Prael per l’opportunità e l’amicizia dimostrata.

Ora però inizia il bello, per cui… cheers!

L'autore: Francesco Sottomano

Homebrewer dal 2009, birraio da gennaio 2015. Pugliese di origine, ha frequentato l'università a Firenze e Roma, vissuto a Londra e lavorato come birraio ad Amsterdam; lì ha scoperto che la sua strada sarebbe stata fra malti, luppoli e lieviti.

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9 Commenti

  1. Articolo molto bello.
    Complimenti e un grande in bocca al lupo a Francesco!

  2. bravo Francesco bellissima esperienza la tua, descritta in modo impeccabile che mi ha fatto venire voglia di una bella artigianale

  3. gran bella esperienza! volevo chiederti quanto è durata e se poi continuerai a cercare lavoro nel campo birrario oppure cercherai lavori più attinenti con la tua laurea, relegando questa a una divertente esperienza..

    • Francesco Sottomano

      Ciao Andrea, ho lavorato alla De Prael da Gennaio a fine Aprile. Sí, continueró di sicuro in questo campo, ho realizzato ció proprio lavorando come birraio lí. É un lavoro molto particolare, molte volte stancante ma ricco di soddisfazioni e continue evoluzioni.

  4. Ma, non e che per caso posso chiederti il contatto per fare una visita al birrificio? sto finendo la triennale e mi sto per fare un giro da quelle parti.

  5. Ciao, ti contatto per conto di mio fratello.Lui ha conseguito il titolo di mastro birraio presso l’ ITS di Torino. Sei alla ricerca di un aiutante?
    Grazie,
    Ciao

  6. A conferma che l’apprendistato all’estero è un’altra cosa.

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