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Non solo Guinness: il fermento dell’Irlanda birraria

Se un anno fa mi avessero detto che sarei andato a vivere  in Irlanda, forse non ci avrei creduto. Non era una meta che avevo preventivato nel mio vagabondare birrario, però così è stato. Quando l’occasione si è presentata, io e la mia compagna Esther ci siamo guardati, parlati, scambiati idee e interrogativi, ma dopo pochi minuti stavamo già inscatolando e impacchettando le nostre vite da portare a Carrick-on-Shannon, una dinamica cittadina della Contea di Leitrim che conta 5.000 anime e – fonte Wikipedia di estrema importanza  – con il più alto numero di pub per persona in Irlanda. Dopo un lungo viaggio in macchina, da circa sei mesi ho l’onore e l’onere di vestire i panni di Head Brewer presso la Carrig Brewing Company.

Arrivare a Carrick in pieno inverno ha sicuramente destato timori,  inutile descriverne il tempo rigido e piovoso che però è stato l’ultimo dei nostri pensieri.  La Carrig Brewing Co. ha sede a Drumshanbo, un paesino ancora più piccolo di Carrick da cui dista circa 12 km, dove si è sviluppato un vero e proprio “polo del cibo” che, per l’appunto, ha preso il nome di Food Hub. Con uno stabilimento di 26.000 m², il Food Hub ha raggruppato aziende eterogenee del settore food & beverage. Oltre al birrificio, si trovano la Shed Distillery che vanta una produzione di ottimi whiskey e gin;  il Cheese Hub, affinatori e produttori di formaggi e kefir;  Chef in a Box,  Mc Niffes Bakery e la BoBeep Preserves con le sue marmellate. Un piccolo miracolo enogastronomico  che ogni giorno si avvera sotto lo stesso tetto.

Premesse a parte, prima di arrivare in terra gaelica non conoscevo minimamente né andamento né tendenze del settore birra artigianale irlandese e non nascondo che mi ci è voluto un po’ per capire come stessero le cose. E sicuramente mi serve ancora del tempo per avere un quadro definitivo. Non bisognerebbe neanche scriverlo, ma se dici Irlanda dici Guinness, e in effetti in ogni pub la colonnina nera con l’arpa dorata non manca mai. Oltre ad aver perso il conto dei numerosi camion a marchio Guinness che ogni giorno circolano per il paese.

La birra artigianale però si difende estremamente bene dando vita a un movimento molto attivo e proattivo. In Irlanda ci sono circa 60 birrifici più diverse beer firm, chiamate contract brewing, sparsi quasi equamente nelle 28 contee. Stilisticamente hanno ovviamente quasi tutti un’impronta anglosassone e le Ipa e le Apa sono al centro dell’attenzione. Vale la pena sottolineare che i birrai irlandesi sono molto ferrati sulle basse fermentazioni e ho avuto modo di assaggiare diverse Pils e Lager di alta qualità. Una delle caratteristiche più bizzarre però è l’attenzione che il cliente ripone nel grado alcolico. Per farla breve, sopra i 6 gradi le birre sono viste già come forti e con le quali bisogna andarci cauti in quantità. Inoltre non sono molto gradite le birre affumicate e, tornando al discorso Guinness, lanciare una Stout artigianale significa essere audaci e coraggiosi.

Una delle note positive dell’Irlanda è il consumo pro capite: parliamo di circa 90 litri l’anno a persona, ma in un Paese in cui la birra è la bevanda nazionale non c’è da stupirsi. Simile nei consumi è un’altra bevanda molto apprezzata, il sidro, che vanta un elevato numero di produttori artigianali. Con il passare dei mesi ho notato che c’è un bellissimo rapporto fra il mondo dei produttori di birra artigianale e quello dell’homebrewing, grazie a un confronto quasi quotidiano che porta spesso alla nascita di nuove birre, in collaborazione tra birrifici e homebrewers. Per esempio, qui al Carrig abbiamo ospitato diverse volte il Midlands Beer Club, uno dei tanti gruppi di cui sopra, con il quale produciamo birre ogni volta diverse. Un aspetto che, mi sento quasi di dire, fa accrescere un solido rapporto di fratellanza fra questi due mondi. Con tutto ciò che ne consegue: libertà di pensiero, critiche o plausi.

Uno dei pensieri che è stato più complicato formulare e forse anche scrivere, è il rapporto che c’è fra birra industriale e birra artigianale. A differenza dell’Italia, non c’è una categorizzazione assoluta: chi prova e apprezza la birra artigianale, non è detto che non continui parallelamente ad acquistare una birra industriale. Questa mancato dualismo si ritrova anche nei pub:  ancora non ne ho trovato uno con sole birre artigianali, ma solo locali che hanno deciso di mantenere entrambi i prodotti. Ovvio, anche qui ci sono gli estremisti del gusto che se passano all’artigianale non tornano indietro, ma in proporzione all’Italia sono davvero una minoranza. Lascio a voi la lettura di questo pensiero, ma personalmente posso dire che il consumo congiunto delle due birre non crea scompensi e non si respira un’aria di guerra all’ultimo boccale tra craft e macro.

Dal punto di vista lavorativo birrario, invece, ho trovato una piccola ma enorme differenza burocratica nel vivere quotidianamente la produzione: non esiste alcun contalitri sigillato dalle Dogane allo scambiatore di calore. La dichiarazione del prodotto a fini accisa avviene sul confezionato e non sul mosto, quindi non si pagano accise sulle perdite. C’è molta fiducia, insomma.

Come ben tutti sanno, l’Irlanda è il paese smeraldo, degli arcobaleni, delle quattro stagioni al giorno. È un paese dove in ogni angolo trovi allevamenti di mucche e pecore pascolare liberamente in ampi prati. È un paese in cui impari ad impugnare un’ascia per tagliare la legna da ardere nel camino di casa, l’ultima volta due giorni fa.  Dove la gente pratica ancora l’autostop. Gli irlandesi sono estremamente vivaci, generosi, pronti a fare qualsiasi cosa pur di aiutarti e anche se non li conosci, loro ti saluteranno e ti chiederanno sempre “Come stai?”. Amano il loro paese e lo si capisce da come ne parlano. Spesso ti guardano, sorridono e dicono: “Are you happy? Let’s go for a few pints!”. Poi, capisci subito che “few” sono tante, a volte troppe. È un paese dove la birra artigianale non manca ed è in forte crescita. Oltre la Carrig Brewing Company vi sono birrifici e birrai molto bravi e pluripremiati che amano quello che fanno.  Per nominarne alcuni: Trouble Brewing, Black Donkey, Kinnegar, Independent Brewing, White Hag, Rye River, Yellowbelly, Eight Degrees e tanti, tanti altri.

Quanto detto fin’ora è solo un piccolo sunto della situazione birraria irlandese. Di sicuro mi sento di dire che anche qui c’è un settore in pienissimo fermento: non mancano sperimentazioni, birre folli, festival, fiere, collaborazioni. Sua maestà Guinness è onnipresente, ma non necessariamente in senso negativo, e tutti i birrai, birrifici e publican che ho conosciuto finora lavorano sodo per avverare il loro sogno e offrire ottime alternative ad un consumatore che, nonostante tutto, è ben predisposto ad assaggiare le nostre bimbe luppolate.

E ora, con un bicchiere pieno di fronte a me, non posso che concludere con un brindisi alla gaelica: Slàinte!

L'autore: Francesco Sottomano

Homebrewer dal 2009, birraio da gennaio 2015. Pugliese di origine, ha frequentato l'università a Firenze e Roma, vissuto a Londra e lavorato come birraio ad Amsterdam; lì ha scoperto che la sua strada sarebbe stata fra malti, luppoli e lieviti.

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