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Viaggio al centro della birra – Quarto episodio

pavese-bottiglieDopo la parentesi dedicata ad alcune fiere milanesi, il “viaggio al centro della birra” di Marcello Mallardo torna a varcare le porte dei birrifici italiani. Ora è la volta del Birrificio Pavese, produttore relativamente giovane di cui abbiamo parlato in passato su queste pagine. Quella del Pavese è un’avventura partita da poco e questa caratteristica offrirà a Marcello l’occasione di scontrarsi con le criticità relative alla progettazione iniziale. Calcolare gli spazi nell’ottica di una futura evoluzione non è semplice, così come operare scelte che potranno avere ripercussioni negli anni a venire. Aprire un proprio birrificio significa non solo investire una grossa somma di denaro, ma anche avere idee chiare su un’infinità di aspetti. Ed è proprio ciò che Marcello sta imparando in questo suo viaggio…

Il Birrificio Pavese

Il viaggio prosegue verso il Birrificio Pavese, dopo aver velocemente organizzato l’appuntamento con Claudio Caffi, che incarna in tutto e per tutto l’attività del birrificio e non esita ad aprirmi le porte.

Purtroppo non riesco ad assistere alla cotta, perché, come vedremo, in questa fase iniziale Claudio non riesce a superare le 4-5 cotte mensili. Vengo accolto dal padre, che spesso lo aiuta, soprattutto in fase di imbottigliamento, e mi accorgo da subito di uno spazio davvero bene organizzato anche in ottica di crescita e ampliamento. Il birrificio è inserito in una sorta di centro commerciale e può godere di un intero capannone, organizzato in un ingresso-vendita diretta, un ufficio, una cantina e uno spazio enorme che ospita l’impianto, i fermentatori e l’imbottigliatrice.

All’inizio della visita ci soffermiamo subito sulla tipologia di fusti utilizzati che permette di evitare l’acquisto della lava fusti e che ritroverò anche nella tappa successiva del viaggio. La francese Ecofass ha infatti messo a punto una tecnologia che permette di inserire la birra in dei sacchi di plastica usa e getta che si gonfiano all’interno di un fusto dalle dimensioni tradizionali, sebbene più leggero.

L’imbottigliamento, soprattutto per gli impianti di grandi dimensioni, può essere un nodo davvero cruciale. Se sommiamo i costi delle attrezzature e della manodopera necessaria a quest’attività ci accorgiamo di quanto possa influire sulla qualità del nostro lavoro. Credo sia necessaria un’analisi attenta del proprio mercato e delle tecnologie a disposizione per massimizzare gli sforzi in tal senso.

Pur avendo risparmiato sulla lava fusti, l’onerosità dell’investimento è evidente, limitando di fatto Claudio nell’acquisto dei fermentatori, che non sono dimensionati a misura dell’impianto. Questa scelta vincola dunque il birraio a un numero di cotte ancora inadeguato alla dimensione del birrificio. Questa decisione può tuttavia non essere considerata un errore, se consideriamo che Claudio non ha ancora la possibilità di inserire un supporto in produzione né tanto meno lavorare a pieno regime sulla crescita del proprio mercato di riferimento. Come a dire: tutto a suo tempo…

Nonostante le difficoltà che accompagnano l’inizio dell’attività di un micro birrificio, Claudio si sobbarca con passione tutte le fasi della produzione birraria, ivi incluse le attività commerciali, sulle quali sente però l’esigenza di un aiuto. La strategia per ora è la vendita a km 0 in tutta l’area limitrofa al birrificio, parzialmente “liberata” dallo spostamento del Birrificio Rurale che è stato a lungo il principale punto di riferimento del pavese per quanto riguarda la birra artigianale.

Ulteriore spinta per far conoscere il nome del birrificio e la capacità di valorizzare il territorio è la Zeta, una pumpkin ale proposta a Claudio dai ragazzi della pro loco De. Co della zucca Bertagnina. Collaborazioni di questo tipo possono essere un ottimo trampolino di lancio per entrare nel tessuto locale, valorizzare i prodotti del territorio e caratterizzare la birra artigianale dal punto di vista identitario. Personalmente credo fortemente nella necessità/opportunità di caratterizzare la birra di qualità italiana valorizzando prodotti del territorio. Allo stesso tempo, come mi insegnerà la visita successiva, non credo sia necessario partire subito con una gamma troppo ampia di prodotti né cercare la stranezza a tutti i costi. Come ci insegna Agostino (Birrificio Italiano), la vera risposta è nelle session beer!

La visita al birrificio mi offre un ulteriore spunto che spesso suscita le preoccupazioni dell’homebrewer che vuole farsi birraio: quanto tempo occorrerà per imparare a utilizzare l’impianto? E soprattutto: quanto tempo ci vorrà per adattare le mie ricette alle dimensioni dell’impianto?

Dall’esperienza di Claudio imparo che gli impianti, qualsiasi sia la loro dimensione e tipologia, sono facili da utilizzare così come i loro automatismi sono rapidamente assimilabili. Diverso il discorso per le ricette. In questo caso è difficile comprendere le tempistiche per arrivare al giusto equilibrio tra quello che abbiamo in mente (o precedentemente elaborato come homebrewer) e la birra che si andrà a realizzare. Ci potrebbero volere 3 cotte come 3 anni. Solo il tempo ci darà le risposte a questo quesito…

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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