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Viaggio al centro della birra – Decimo episodio

Logo-GIF-biduTorna l’appuntamento con il Viaggio al centro della birra di Marcello Mallardo. Oggi il nostro aspirante birraio dovrà confrontarsi con una tappa impegnativa come quella rappresentata dal Bi-Du, dove Beppe Vento è solito non lesinare assaggi e chiacchiere. Marcello affronterà diversi argomenti, dai fornitori agli assetti societari, cercando di carpire informazioni e nozioni che gli torneranno utili per continuare ad alimentare il suo sogno: l’apertura di un suo birrificio. Ma la tappa sarà doppia, perché prima, a pranzo, Marcello sfrutterà l’occasione per una sosta presso il pub del Birrificio Italiano, in una zona della nostra nazione ad alto contenuto brassicolo.

Il birrificio Bi-Du (e una sosta al Birrificio Italiano)

Come anticipato, la giornata di visita da Extraomnes non finisce (mio malgrado o per mia fortuna) con Marnate. Pochi km a nord, nel primo pomeriggio, ho infatti il piacere di vistare il birrificio Bi-du di Olgiate Comasco. Nonostante mi fossi premunito con la classica schiscetta con insalata di riso, prima però decido di regalarmi una pausa pranzo presso il Birrificio Italiano. Il ventaglio di birre provate da Extraomnes, la voglia di visitare il pub del produttore di Lurago Marinone e la curiosità di provare la neonata Nigredo si rivelano un richiamo irresistibile. Questo luogo accoglie infatti uno dei primi brewpub d’Italia, prima che la produzione si distaccasse come ho sottolineato nel corso della prima puntata. Il servizio e l’accoglienza sono notevoli, così come le birre (naturalmente). Note leggermente più dolenti arrivano dal lato cibo, ma questa è – ahimè – una tendenza abbastanza consolidata nei brewpub di tutto il mondo, anche se qualcosa sta cambiando, come sottolineato da Andrea in questi giorni.

Completamente e definitivamente rifocillato parto alla volta di Olgiate per il Bi-Du, ben consapevole di quello che mi aspetta. Non faccio in tempo a entrare e presentarmi che Beppe Vento mi mette in mano una Yerba, Ale chiara con aggiunta di yerba mate. Carpita la mia distinguibile cadenza, Beppe mette su un disco dei 24 Grana e per me è difficile credere che un lumbàrd possa amarli e apprezzarli. Ma nel corso di questo viaggio non sono pochi i luoghi comuni cui ho dovuto rinunciare.

Tutte le birre a disposizione alle spine del birrificio hanno una pericolosa beverinità che, insieme alla capacità di Beppe di mettermi a mio agio, rendono più scorrevole e piacevole il pomeriggio.

Beppe mi racconta la sua storia e il suo inizio. I primi anni del 2000 subentrava in una realtà preesistente, abbandonando il suo lavoro di programmatore informatico. Su questo punto invito e suggerisco un’indagine sociologica su Cronache di Birra per studiare la correlazione tra mondo dell’informatica e voglia di brassare. Molti dei protagonisti sinora incontrati (Birrificio Rurale in primis) provengono infatti da questo mondo. Per gli informatici il “mollo tutto” diventa “ammosto tutto”!

Il successo delle birre di Beppe decreta una rapida evoluzione del birrificio sia in termini produttivi che societari. Il progetto Bi-du è infatti portato avanti con uno dei massimi esponenti del panorama birraio italiano: Nino Maiorano dello Sherwood di Nicorvo, recentemente incontrato all’interno del suo nuovo progetto, il Lambiczoon. L’artigianato (e in particolare il fronte birraio) e il panorama imprenditoriale italiano si basa spesso sulla convinzione di essere in grado e avere la capacità di poter affrontare qualsiasi sfida con le proprie forze, competenze e capacità. La definizione di un buon gruppo societario è invece a mio avviso uno dei principali fattori che possono decretare il successo o la disfatta di qualsiasi iniziativa imprenditoriale. Avere a disposizione un publican di questo livello in società credo abbia giovato non poco al progetto. Lo stesso discorso può essere visto anche da un’altra prospettiva se consideriamo che nella compagine societaria troviamo anche Marco Pion, in arte Tyrser. Il sogno di aprire un birrificio per un appassionato può infatti passare anche dall’acquisto di una quota di minoranza.

Con Beppe abbiamo modo di spaziare da un argomento all’altro, arrivando a parlare dei fornitori. Scopro che come per molte realtà, anche in questo caso i fornitori rimangono quelli utilizzati dalla maggior parte di noi homebrewers, considerati affidabili e celeri, nonostante non offrano i prezzi più convenienti. È chiaro che i volumi assicurati da un singolo birrificio non consentano la possibilità di contrattare direttamente con le malterie.

In tal senso Beppe è stato tra i promotori di un gruppo d’acquisto per i malti base tra i microbirrifici di zona. Basti vedere microbirrifici.org per notare che non sono affatto pochi. L’iniziativa è sicuramente lodevole ma ha incontrato evidenti limiti logistici che ne hanno impedito il proseguimento. Considerato che, come abbiamo visto, siamo ancora lontani dal poter contare su malterie italiane, non credo che questa strada sia del tutto da abbandonare.

Intanto il birrificio comincia ad essere affollato. Tra gli altri torna da una consegna Simone che avevo conosciuto al Menaresta. Quasi da tradizione inglese il birrificio si presta nel tardo pomeriggio al dopolavoro di molti ragazzi di zona. Se è vero che l’apertura di un brewpub può risultare difficoltosa, soprattutto per problemi riguardanti la ristorazione, tenere aperte le porte del birrificio può risultare molto facile e, allo stesso tempo, conveniente. Eppure sono in pochi a percorrere questa strada. Mentre mi chiedo il perché, vi lascio con una delle canzoni ascoltate in giornata.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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10 Commenti

  1. Ciao,
    su qualche video visto su youtube, avevo notato che appunto in fase di mash venivano presi dal mastro birraio di turno i sacconi con scritte di fornitori da homebrewers (ricordo mr malt).

    Pensavo che le cose col tempo fossero cambiate, e che i birrifici si riuscissero ad interfacciare con fornitori industriali riuscendo a spendere meno per il malto.

    Sapere che le cose stanno ancora così mi stupisce….

    E’ possibile scrivere qualcosa in più su questo argomento?

    Ciao

    Carlo

    • Ciao Carlo,

      purtroppo allo stato attuale dobbiamo fare i conti con regimi produttivi ancora piuttosto deboli.
      I micro produttori di medio grandi dimensioni stanno facendo qualche passo in avanti soprattutto sperimentando i prodotti delle malterie italiane con le quali si riesce ad avere, evidentemente, un maggiore potere contrattuale.
      Per gli altri produttori la strada maestra potrebbe essere l’aggregazione della domanda in GAS o cooperative. Come ho scritto in questo caso la logistica è un limite evidente.
      I rivenditori italiani sono allo stato attuale la migliore soluzione per risparmiare tempo e fatica.

    • Vista dal versante homebrewer, è una delle cose che mi dà sempre conforto. Significa che molte artigianali, fermo restando il livello di esperienza ed attenzione agli altri particolari produttivi ed impiantistici (discorso acqua escluso, forse), sulla carta sono quanto meno replicabili in casa. E così certe birre pro sembrano meno irraggiungibili del previsto.

  2. Questo è l’ultimo episodio 😀 ?

  3. “Ma nel corso di questo viaggio non sono pochi i luoghi comuni cui ho dovuto rinunciare.”

    Benvenuti al Nord….ahahahaha

  4. Rispondo a carlo, purtroppo il 95% dei birrifici artigianali usano tutti lo stesso malto lo stesso luppolo e lo stesso lievito, l’acqua è quasi sempre osmotizzata e aggiunta dei microelementi che
    mancano di solito si aggiunge solo calcio, i metalli pesanti restano peró!! per esempio dove abito io a sud di roma ci sono due birrifici che producono birra con un alta percentuale di ARSENICO, le ho analizzate io e infatti no le bevo piu…i veri birrifici secondo me DEVONO produrre anche le materie prime!! NO I SOLDI FACILI!! LE MODE PASSANO

    • I birrifici sino ad inizio 1900 avevano quasi tutti una malteria propria, poi eliminata perché prodursi in proprio il malto è diventato antieconomico e parliamo di industrie, figuriamoci al livello artigianale.

      Questo senza considerare la necessità di avere campi coltivati, la qualità ottenibile in loco e le competenze necessarie alla maltazione. Ma che cavolo stai dicendo?

      Mentre e vero che il 95% dei micro birrifici, pur dichiarando nel sito che seleziona ed utilizza le migliori materie prime, si affida al duopolio vigente in Italia. Per fortuna, so da fonti certe, che sta cosa sta per cambiare, come annunciato anche nel post di fine anno. Finalmente arriverà in Italia, chi proponendo materie prime di alta qualità, cercherà di cambiare la situazione attuale.

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