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A Vienna e Innsbruck due nuove mete per il beer geek europeo

Distanti tra loro circa quattro ore e un quarto di treno ad alta velocità, fino a pochi anni fa Vienna e Innsbruck, come l’Austria tutta a dir il vero, non brillavano certo per la qualità dell’offerta  birraria. Le cause erano da ricercare nel forte legame della scena brassicola e del pubblico con la tradizione bavarese, nell’assenza di pub con una selezione allo stesso livello di quella rinvenibile in altre città europee, nell’abitudine di organizzare specie nei mesi estivi eventi gastronomici dove la birra svolge un ruolo per lo più ancillare, e nella dimensione comunque esigua e strettamente local dei birrifici artigianali. Tuttavia, negli ultimissimi anni, qualcosa si è mosso, eccome. In primo luogo la presenza di birrifici artigianali non necessariamente legati alla tradizione di stampo bavarese, che anzi oserei dire esulano volutamente da tale tradizione, quali a titolo esemplificativo e non esaustivo Bierol, Bevog e Alefried; in secondo luogo la nascita di pub e la presenza di publican, soprattutto non austriaci, che valorizzino tali birrifici, ma con il quid pluris di un’attività di ricerca e selezione più attenta alla dinamiche delle scena internazionale, incluse referenze di birrifici in hype. A mio avviso, ad oggi, due sono i pub con le predette caratteristiche, il Tribaun di Innsbruck e l’Ammutson di Vienna.

Situato a Museumstrasse, a ridosso del centro storico di Innsbruck e a dieci minuti dalla stazione ferroviaria, il Tribaun (sito web) è un locale che si sviluppa sotto il livello stradale: scendendo infatti alcuni scalini ci si ritrova in un piccolo corridoio dove a sinistra è collocata una stanza con luci abbastanza soffuse e arredata con tavoli sociali di legno scuro, e a destra la sala con il bancone delle spine. Lo stesso bancone è piuttosto vivibile e con sedute a disposizione, mentre alla sua destra è presente un divano e alcuni tavolini in arte povera. Dal lato opposto ci sono ulteriori tavoli che precedono una bellissima sala con un tavolo sociale ideale per degustazioni, eventi di cultura birraria e bottle sharing che può ospitare una ventina di persone, contornata da scansie piene di bottiglie, delle quali alcune piuttosto rare, e tre frigoriferi nei quali campeggiavano alcune referenze della serie Twist of Fate di 3 Fonteinen e qualche Bokke. Tornando al bancone, noto sul display luminoso che di venti spine solo otto o nove sono attive, ma non mi scoraggio, siamo di poco oltre la metà di agosto e in questo periodo un pub che si sviluppa al 95% al chiuso e peraltro sotto il livello strada non può avere un afflusso come nei mesi invernali.

L’atmosfera è molto piacevole e rilassata, non mancano gli avventori locali, ma noto la presenza di diversi appassionati internazionali, soprattutto inglesi, che discutono in particolare della recente acquisizione di Magic Rock e di Mills Brewing e colgo l’occasione per scambiare quattro chiacchiere sulle ultime evoluzioni della scena UK e bere qualche birra. Per quanto attiene le bevute, la mia scelta è caduta sulla Schafehax, Witbier di Bierol contraddistinta da un bel profilo reso dal malto di frumento, sentori di coriandolo e scorza di arancia, note di zenzero e pepe rosso, molto gradevole e rinfrescante. Ho proseguito con la Vogelwuid, IPA di Hoppebrau non convincente per le eccessive note di malto caramellato e un finale troppo poco amaro e persistente, e con la Galactus, Hazy Double IPA sempre di Bierol prodotta con frumento e avena e priva di eccessivi spigoli, con un bouquet dove si rinvenivano mango, pesca e melone, senza fastidiosi sentori vegetali, con un corpo medio e un finale moderatamente amaro che risultava abbastanza persistente. Ennesima buona prova di Bierol che conferma, per quanto mi concerne, la sua solidità.

Nota positiva sul servizio, sul punto ho espressamente richiesto che la Galactus mi fosse servita in pinta, invece che in coppa, in primis per via della migliore carbonazione che la pinta assicura, ma non solo, e sono stato accontentato senza alcun problema, peraltro appurando come la birra non venisse eccessivamente “spaccata” durante la spillatura.

L’Ammutson, nato nel 2018, è situato immediatamente a ridosso del centro di Vienna, a Barnabitengasse, una tranquilla stradina a 10 minuti a piedi dal Museum Quarter e a poca distanza dalla fermata della metro Neubaugasse. Avvicinandomi al locale, noto la presenza di un piccolo ma curato patio all’aperto arredato con tavoli e panche di legno, mentre l’interno del locale è veramente gradevole, luminoso, con alternanza di legno chiaro e scuro, e una bella la saletta in fondo che risulta essere molto intima e tranquilla. L’unico aspetto che non mi ha convinto è stato il bancone, dotato di 12 spine, che risulta non eccezionale sia per comodità che per vivibilità. Altra peculiarità che ha rubato la mia attenzione è stato il frigo delle bottiglie: presenti referenze molto ricercate e rare sia di Cantillon che di Bokke, oltre ad un buon numero di 3 Fonteinen, incluse tutte le bottiglie della serie Twist of Fate. Il punto non è casuale, visto che l’Ammutson è stato selezionato come uno dei 25 rivenditori ufficiali delle special releases di 3 Fonteinen, altrimenti disponibili solo presso il produttore belga.

Differentemente dal Tribaun, la selezione in spina è fortemente incentrata su realtà internazionali piuttosto conosciute, tra le quali Garage, Ermitage, O/O e Cantillon. La selezione austriaca è limitata ad una referenza di Bierol e con piacere ho notato la presenza in spina della Piè Veloce Cascade di Ca’ del Brado. Il locale è popolato soprattutto nel patio esterno e le presenze si rivelano in maggior parte di avventori internazionali. Anche qui l’atmosfera è piuttosto conviviale e molto rilassata, nelle ore pomeridiane non è raro vedere all’Ammutson persone che leggono o lavorano sul proprio PC o iPad. Ma vediamo cosa si è bevuto. Ho ordinato una Chai de l’Ermitage vol. 1 del birrificio Ermitage, una Saison con farro blendata con il 15% di Lambic giovane di Cantillon e invecchiata per 7 mesi in botti di vino bianco, e una Slayer di Garage, una West Coast Ipa lievemente torbida con corpo medio, abbastanza resinosa, e sentori di pompelmo, frutta a pasta gialla, mango, con un amaro mediamente intenso e piuttosto persistente. Probabilmente l’Ipa più “west coast” di Garage e in generale una buona scelta se si vuole esulare dalle Hazy Ipa. A questo punto ho puntato sulle referenze in frigo e ho optato per una Kriek Pjassel 2017 e una Abrighost di Bokke, entrambe condivise con una coppia di avventori inglesi. Non è l’articolo giusto per dilungarmi sull’analisi delle suddette, ma mi sento di poter sommessamente dire che abbiamo in entrambi i casi rasentato livelli eccellenti sul piano dell’equilibrio e dell’uso della frutta.

In conclusione, i due locali in argomento sono già due buone mete per i beer geek europei, ma anche per tutti gli altri appassionati, le uniche a mio avviso in Austria; il tutto per via di una selezione attenta sia alla scena internazionale che a quella austriaca di stampo più moderno, nonché per la disponibilità, specie in bottiglia, di referenze molto ricercate. Non è facile attrarre e creare una comunità di appassionati e geek in una realtà profondamente conservatrice dal punto di vista birrario come l’Austria, dominata da birrifici di stampo non artigianale o comunque da basse fermentazioni il più delle volte non esattamente imperdibili, ma questi due locali a mio avviso ci stanno riuscendo, presentando peraltro ulteriori margini di miglioramento, anche grazie al carisma e alle capacità comunicative dei rispettivi publican e altresì mediante la collaborazione con altri pub europei con filosofia similare, nonché l’hosting di eventi importanti quali lo Zwanze 2019 al Tribaun. Personalmente, penso proprio che tornerò a far visita ad entrambi.

L'autore: Pierluigi Nacci

Appassionato di birra artigianale sin dal 2004, ha frequentato numerosi corsi di degustazione e nel corso degli anni ha sviluppato una predilezione per i viaggi birrari all'estero, comprensivi di visite a taproom e pub, e per i festival internazionali. Senza assolutamente tralasciare la scena italiana.

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