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Assaggi di… Jungle Juice e Ritual Lab

jungle juice logoNell’evoluzione della scena italiana della birra artigianale, il Lazio ha sempre rappresentato un caso piuttosto curioso. Ricco di locali importanti anche a livello nazionale, è per anni rimasto ancorato a una condizione caratterizzata dai soliti, pochissimi birrifici. Poi negli ultimi anni è avvenuto un impressionante boom di nuovi produttori, tra i quali le beer firm sono state protagoniste primarie (a fine 2014 la loro percentuale nella regione era vicina al 50%). È chiaro che in un marasma del genere incontrare progetti davvero validi non è sempre facile, ma per fortuna bevendo e bevendo qualcosa di interessante alla fine si trova. Nel pezzo di oggi sui miei assaggi quotidiani andiamo allora alla scoperta delle birre di due giovani produttori della provincia di Roma: la beer firm Jungle Juice e il birrificio Ritual Lab. In entrambi i casi siamo al cospetto realtà da tenere d’occhio per il futuro.

Come raccontato a ottobre scorso, Jungle Juice è la creatura di Umberto Calabria, appassionato capitolino e homebrewer di lungo corso. Si definisce un gipsy brewer, un birraio itinerante che ama creare forti legami interpersonali con i birrifici con cui collabora. Bellissime a mio modo le etichette, curate dall’illustratore Patrizio Anastasi e in grado di creare un’identità visiva piuttosto peculiare.

jelly fishLa Jellyfish (6% alc.) è la prima birra che ho bevuto. Si tratta di una Saison di stampo tradizionale, sebbene realizzata con l’aggiunta di segale e frumento torrefatto. È caratterizzata visivamente da un colore dorato opaco, abbastanza opalescente, e da una carbonazione piuttosto evidente. La schiuma bianca è ricca ed estremamente persistente. All’olfatto il lievito è protagonista, con piacevoli note di crosta di pane che si accompagnano a un bel profilo fruttato (frutta gialla, agrumi e persino ananas). Come nelle migliori interpretazioni dello stile si distingue una netta sfumatura pepata, che nonostante l’intensità risulta molto elegante. In effetti è questa la migliore virtù olfattiva della birra: naso molto intenso, ma anche decisamente fine.

In bocca si nota un corpo abbastanza snello, anche grazie a una frizzantezza evidente ma mai fastidiosa. È presente una nota agrumata continua, dall’ingresso fino alla chiusura, che procede insieme a una gradevole sfumatura speziata. La conclusione non è particolarmente secca, ma riesce comunque a pulire la bevuta. Infine nel retrolfatto si avverte un ritorno di agrumi e spezie. La Jellyfish mi ha davvero conquistato. È una Saison splendida, con la segale e il frumento torrefatto che donano una nota rustica molto piacevole. Ma al di là di questo aspetto è una birra costruita benissimo, gradevole, intensa, elegante e facile da bere.

baba jagaLa Baba Jaga (6,7%) è invece un’American IPA di colore colore ambrato scuro, nella quale compaiono in controluce bei riflessi ramati. La schiuma è a bolle fini ma poco persistente. Come da copione, il naso appare molto intenso e costruito secondo i canoni aromatici degli Stati Uniti. Il tessuto dei malti richiama nettamente il caramello, poi la scena viene chiaramente conquistata dal luppolo, che contribuisce con sfumature resinose, di pompelmo e uva spina e con una suggestione di frutti canditi.

A livello tattile si nota una buona mouthfeel, grazie a un corpo medio e una corretta carbonazione. L’ingresso è tendente al dolce con sfumature di caramello e frutta (agrumi, frutta a polpa gialla), poi arriva l’amaro che diventa protagonista incontrastato. La bevuta rimane comunque morbida e nel finale torna la nota di resina con una pennellata di liquirizia. Purtroppo il retrolfatto penalizza la bevuta: non molto gradevole e armonico, con un po’ di gomma bruciata e un amaro quasi medicinale. Sebbene non raggiunga le vette della Jellyfish, anche la Baba Jaga si rivela una birra abbastanza ben costruita, sebbene alcuni nei la releghino a prodotto di qualità media. In effetti condivide gli stessi difetti di molte altre American IPA italiane: una grande potenza aromatica dei luppoli, bilanciata da una parte caramellata fin troppo evidente e caratterizzata da poca eleganza in bocca. Ma come inizio non è affatto male.

ritualA differenza di Jungle Juice, di Ritual Lab non vi parlai in una delle solite panoramiche sui nuovi birrifici italiani, bensì in un post di inizio 2014 dedicato a forme produttive alternative. Prima ancora che come birrificio, il marchio in questione nacque infatti come spazio didattico dedicato alla produzione brassicola, fornito di impianto professionale di proprietà e della consulenza di un birraio di grande esperienza. Da lì il passo fu breve: qualche mese fa cominciarono a essere commercializzate le prime birre Ritual Lab.

super lemon aleIl mio primo assaggio ha riguardato la Super Lemon Ale (5,3%), la cui ricetta è costruita per valorizzare al massimo il luppolo americano Citra. Si presenta con un colore aranciato, riflessi dorati e un’ottima limpidezza. Di buona fattura la schiuma, a bolle medio piccole, non molto ordinata ma di discreta persistenza. All’olfatto si distinguono profumi piuttosto puliti, in cui sono naturalmente emergono gli agrumi, ma senza eccessi. Le note di pompelmo e arancio si accompagnano a piacevoli sfumature resinose, a un tocco pepato e ancora a frutta che rimanda sensazioni moderatamente esotiche.

L’ingresso non è particolarmente incisivo, con una moderata dolcezza che però viene subito sopraffatta dagli agrumi. Il corpo risulta snello, sorretto da una corretta gasatura. Solo più avanti sopraggiunge l’amaro, deciso ma non violento, che accompagna la bevuta restituendo aromi agrumati nel retrolfatto. Da elogiare la pulizia generale, mentre l’unica pecca è un gusto un po’ monocorde.

La Super Lemon Ale è un’American Pale Ale molto ben realizzata, che riesce nell’intento di risultare incisiva negli aromi (ovviamente agrumi su tutto) ma nel contempo facilissima da bere, al punto che 33 cl scompaiono dal bicchiere in un battito di ciglia. Nel complesso c’è una buona pulizia e un modo intelligente di esaltare le caratteristiche sulle quali punta la ricetta: gli eccessi sono tenuti lontani (anche nell’amaro finale, che in altre incarnazioni del genere diventa facilmente arrogante) e si avverte una generale armonia. Unico appunto: al gusto sembra mancare quella marcia in più che la trasformerebbe in un capolavoro. Occhio perché si candida a birra dell’estate 2015 😛 .

ritual pils

La Ritual Pils (4,9%) è invece una Pilsner interpretata in maniera molto classica. All’aspetto è di colore giallo paglierino, molto pallido ed estremamente cristallino. La schiuma candida rivela un’ottima struttura, mentre si distingue un perlage evidente ma non tumultuoso. I profumi, molto puliti, sono quelli classici da Pils: miele e cereali su tutto, ma anche camomilla e fiori di campo. Più in lontananza, molto in lontananza, una leggera nota erbacea e pepata. Il naso può essere valutato molto corretto in quanto a pulizia, mentre è nella sua monotonia che perde qualche punto a favore.

All’ingresso ritroviamo le sfumature molto dolci di miele e camomilla. Il corpo è leggero e scorrevole, accompagnato da una giusta frizzantezza. La parte floreale continua per lunga parte, monopolizzando un po’ troppo le sensazioni gustative. Nel finale una punta di amaro si insinua a bilanciare la bevuta, mantenendo però sempre il dolce in primo piano. Nel retrolfatto compare ancora la camomilla, accompagnata da sfumature erbacee e pepate.

La Ritual Pils può essere definita quasi di concezione teutonica, nella quale la pulizia generale raggiunge vette invidiabili. Da questo punto di vista è un passo avanti rispetto a molte Pils italiane, però paga in termini di carattere. Al naso sembra mancare una marcia in più, mentre al palato l’alternanza tra dolce e amaro è risolta in maniera semplicistica a favore del primo, con una nota floreale troppo evidente. Tecnicamente ben fatta, lascia però poco spazio alle infatuazioni.

Nonostante gli alti e i bassi, come avrete capito siamo al cospetto di quattro birre molto valide, che in due casi (Jellyfish per Jungle Juice e Super Lemon Ale per Ritual Lab) raggiungono livelli ottimi. Gli assaggi risalgono a qualche mese fa e nel frattempo le due aziende hanno lanciato altre birre, che in assaggi più informali mi sono sembrate parimenti valide.

Conoscete questi due produttori? Cosa ne pensate?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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10 Commenti

  1. Umberto Calabria, oltre ad essere un ragazzo d’oro, è anche un mastro coi “cosiddetti”. Ho assaggiato tutte le sue tre “creazioni”.
    Jellyfish stupenda. Ritrovo perfettamente i sentori della tua descrizione. Per essere ipercritici mi stancava un po alla beva un persistenza amaricante alla “romana” nel finale poco “elegante”. Però signora birra.
    Cosi come la Baba Jaga!! Per me una delle migliori American IPA (allo streguo della Riappala, non a casa prodotta nel medesimo birrificio, il PBC). E’ il bilanciamento caramelloso-amaro che per me è perfetto, un filo “medica” al retrolfatto te ne do atto. Ma CENEFUSSE.
    Spero che nei tuoi assaggi informali ti sia capitata anche la Jungle Fever, black IPA da favola a mio modesto parere. Resinosa, balsamica, liquirizia, cioccolato, un viaggio extrasensoriale! mi è piaciuta tantissimo (bevuta ieri mentre vedevo la juve, forse ero già in estasi per le giocate di Tevez, ma la birra m ha agevolato alle esultanze!! ) 😉

  2. Volevo Ringraziare Andrea Turco per le belle recensioni di queste quattro birre, fatta come sempre con maestria , volevo solo puntualizzare la mia opinione sulla Super Lemon Ale che essendo a me ben nota posso ritenere come un ardito progetto di mono luppolo. Tutti sanno che usare il Citra espone il birraio ad un rischio elevato e di veder trasformata la birra in una bevanda d’agrumi. Qui abbiamo invece qualcosa di estremamente ben bilanciato e facile da bere, che non stanca e che invoglia a ribere decisamente , e non avermene , la semplicità fa di questa birra una grande birra. Le cose semplici spesso se ben riuscite , e qui ci siamo,
    sono quelle vincenti. Grazie Andrea per la scelta di queste quattro.

  3. Ho avuto modo di testare le creazioni del Ritual Lab in diversi locali della capitale, la piacevole sorpresa e’ stata trovare un prodotto sempre fresco ed in piena forma.
    La Super Lemon dal mio punto di vista rappresenta ormai una realtà, sicuramente una delle migliori “PROFUMATE” del momento, ma le mie preferite rimangono proprio le classiche (Ritual Pils, La Bock) che mantengono il forte legame con il fantastico, classico, semplice (ma NON facile) mondo tedesco.
    Inoltre Vogliamo parlare delle etichette….
    BRAVI DAVVERO!!

  4. Ad avercene di Pils come la Ritual… Secondo me al naso è migliorabile, ma è già una delle migliori interpretazioni che abbiamo in Italia a mio modesto parere. La Super Lemon Ale è una buona APA, ovviamente tutto sta nel trovarla fresca.
    Anche la Bock mi ha favorevolmente colpito, un po’ dolciona però godibile.

  5. Ho sentito parlare molto bene di queste birre, e la tua recensione mi da la conferma. Sapete dove le posso acquistare non essendo della zona?

  6. Ciao ragazzi, sono Giovanni Faenza birraio del Ritual Lab, prima di tutto ci tengo a ringraziare Andrea per le recensioni e soprattutto vorrei precisare che non voglio assolutamente fare polemica, il post sulla pagina Ritual Lab e’ per tutte le persone che ci seguono e che mi hanno contattato deluse riguardo alla recensione sulla “PILS”.
    Inoltre e’ molto importante precisare che (si spera per ancora per poco) SIAMO UNA BEER FIRM, seppur anomala vista la possibilità di usufruire di un lab di sperimentazione che rappresenta il cuore del nostro progetto.
    Non penso che la nostra amata RITUAL PILS sia perfetta, naturalmente c’è ancora da lavorare ma sono convinto di avere in mano un prodotto di altissima qualità seppur estremamente semplice, frutto di una sperimentazione che va avanti da anni.

    IN RISPOSTA A MATTIA:
    ti consiglio di testare le nostre creazioni presso 200°(Piazza Risorgimento) o presso la “Brasserie 4:20” (Via Portuense, 82) qui sempre presenti e soprattutto sempre FRESCHE.
    Oppure nei numerosi beer shop che ormai popolano Roma.

    P.S E’ sempre un onore ricevere dei compimenti dal grande Paolo Erne a mio modesto avviso uno dei più’ grandi birrai avanguardisti che abbiamo!! BIRRE DA SOGNO!!
    CIAO PAOLO!!

    VI ASPETTO AL LAB.

    Giovanni

    • Sinceramente rimango abbastanza esterrefatto nel sapere che c’è qualcuno che riesce a lamentarsi per una recensione come quella della Ritual Pils. Ho premesso che i due marchi presentati nell’articolo sono tra i migliori che mi è capitato di assaggiare recentemente in zona: già questo dovrebbe bastare per ritenersi soddisfatti (non perché io sia chissà chi, ma perché è di questa recensione che si sta parlando). Ho espresso un giudizio lodevole sulla Super Lemon Ale e uno un po’ più tiepido sulla Ritual Pils… ma evidentemente c’è chi ha problemi con le critiche, perché se legge che una birra non è considerata “perfetta” non riesce ad accettare il giudizio. Questo ahimè è uno dei grandi problemi del movimento italiano della birra artigianale.

  7. Problema che di certo non si pone il mastro birraio Giovanni Faenza, che anzi ringrazia per le tue recensioni e per il lavoro che fai con grande stile! La gente forse non ha molti problemi da risolvere e si preoccupa per gli altri!

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