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Quei birrifici italiani pionieri nell’uso di ingredienti particolari

Tra le tante novità presentate al recente Beer Attraction è comparsa la Hops Chili Gang del Birrificio Amiata, di cui però vi parlerò più dettagliatamente nella prossima panoramica sulle nuove birre italiane. La particolarità dell’ultima creazione del birrificio toscano risiede nell’uso di peperoncino, un ingrediente che di rado (per usare un eufemismo) si trova all’interno di una birra. In casi del genere è normale chiedersi quale sia stato il produttore che per primo si è cimentato nell’impiego di una determinata spezia, cioè colui che – almeno in Italia – ha fatto da apripista per l’impiego di un particolare ingrediente nella produzione brassicola. Trovare una risposta spesso significa tornare indietro nel tempo, arrivando in alcuni casi persino all’alba del movimento nazionale. Nel post di oggi cercherò proprio di elencare i pionieri di precisi ingredienti, pur sapendo che la mia memoria non è infallibile e che probabilmente andrò incontro a sonori scivoloni. Ma tentar non nuoce (almeno in questo caso), quindi partiamo…

peperoncino

Peperoncino

E cominciamo proprio con il frutto piccante utilizzato da Birra Amiata. La Hops Chili Gang non è certo la prima birra italiana a includere il peperoncino nella sua ricetta, tanto che proprio i fratelli Cerullo già in passato avevano realizzato una creazione aromatizzata allo stesso modo in collaborazione con Croce di Malto: la Helles Diablo. Ma quale fu il primo birrificio italiano a usare peperoncino? Qui ammetto di non essere sicuro al 100%, ma sarei propenso a indicare il Birrificio del Ducato. Tra le prime birre che portarono alla ribalta dei riflettori l’ottimo lavoro di Giovanni Campari ci fu infatti la Verdi Imperial Stout, che sulla falsariga di alcune analoghe produzioni statunitensi, arricchisce il suo già complesso profilo aromatico con il peperoncino. Come si può leggere sul sito del produttore emiliano, il piccante finale si rivela tra l’altro un espediente molto interessante, perché stuzzica la gola riuscendo ad alleggerire la pienezza di gusto e il corpo rendendo la bevuta più facile.

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Castagne

Pochi subbi invece sul primo birrificio che in Italia sperimentò l’uso di castagne, inaugurando una tendenza che caratterizzò l’intero movimento nei suoi primi anni di vita. Il fenomeno fu tale che a lungo ci si riferì alle birre alla castagne come a uno stile tipicamente italiano, prima di un calo d’interesse sopraggiunto in tempi recenti. Qui la memoria storica è tutelata da Kuaska in persona, che non perde occasione di ricordare che il primo esperimento è da attribuire ai Soci dea Bira, associazione di homebrewer della provincia di Treviso: forse fu l’unico caso nella storia della birra artigianale italiana in cui l’homebrewing influenzò direttamente tutto il settore. L’ingrediente è impiegato in forme e varianti diverse (caldarroste, farina, miele, ecc.) e può essere considerato il primo destinatario di quel legame col territorio tanto caro a molti birrai italiani.

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Mosto d’uva

Da uno stile italiano mancato passiamo a uno recentemente ufficializzato come tale, almeno in una forma embrionale. Sto chiaramente parlando delle Italian Grape Ale, che in qualche modo furono “inventate” in Italia dal sardo Nicola Perra del birrificio Barley. Correva più o meno il 2008 l’inizio del 2007 quando uscì sul mercato la mitica BB10 realizzata con sapa di Cannonau, alla quale seguirono le sorelle minori negli anni successivi – l’ultima è stata annunciata recentemente. Col tempo altri birrifici si cimentarono con questa tipologia, fino al riconoscimento del BJCP avvenuto nel 2015. Oggi le Italian Grape Ale prodotte nel nostro paese non si contano più ed è probabile che aumenteranno ancora nei prossimi anni.

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Sale

Il salato è un sapore che di norma non incontriamo nella birra, tranne in un caso unico al mondo rappresentato dallo stile delle Gose. Questa tipologia di nicchia che prevede l’aggiunta di sale è tornata alla ribalta in tempi recenti, grazie a un trend di rivalutazione al quale hanno partecipato anche diversi birrifici italiani. Se non sbaglio però il primo produttore che in Italia presentò una birra al sale fu Bi-du: la Saltinmalto non era una Gose in senso stretto, ma utilizzava sale nero delle Hawaii (poi sostituito con quello di Cervia) per regalare sensazioni gustative uniche nel panorama brassicolo nazionale. Oggi il sale sembra un ingrediente emergente a livello internazionale, usato non solo per il tipico stile di Lipsia, ma anche per produzioni birrarie molto diverse tra loro.

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Fiori d’ibisco

I fiori d’ibisco hanno la capacità di caratterizzare profondamente una birra, sia da un punto di vista aromatico che più propriamente gustativo. È un ingrediente utilizzato assai di rado, ma che recentemente è salito alla ribalta grazie all’ottimo successo ottenuto dalla Fleur Sofronia del birrificio MC-77, fresco vincitore di Birraio dell’anno nella categoria “giovani emergenti”. In Italia esistono almeno altre due birre che ricorrono a questo tipo di speziatura: la Zio Selassie di Toccalmatto + Aleph e soprattutto la Karkadè dell’Olmaia, che fu il birrificio apripista di questa “categoria” nel lontano 2009. All’estero non so quanti produttori utilizzino fiori d’ibisco, ma tra questi si può sicuramente inserire l’ottimo Dieu du Ciel (Canada) con la sua Rosée d’Hibiscus.

Avete altri ingredienti da aggiungere in questa ricerca degli “apripista”? Ma soprattutto, i miei calcoli vi tornano tutti?

 

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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6 Commenti

  1. Non penso sia apripista perché è un birrificio relativamente giovane,comunque volevo citare la birra Deisi del Birrificio Le Fate (anche per mero campanilismo marchigiano), con mela rosa dei Monti Sibillini.

  2. io ci aggiungerei pure i fichi d’india! “Figu Morisca” del Birrificio di Cagliari e’ una vera e propria perla nella quale tra gli ingredienti spiccano appunto i fichi d’india anche se penso i primi a produrla siano stati i siculi del birrificio Irias

  3. Ciao Andrea.
    Piccola precisazione…
    La BB10 fu prodotta per la prima volta nel 2006 ed uscì sul mercato italiano nei primi mesi del 2007.

    • Ciao Nicola, grazie della precisazione, per me è importante conoscere la precisa data di nascita di una birra così importante. Descrizione corretta.

  4. Oltre che con i frutti di fichidindia , in Sicilia c’è Birra TRIMMUTURA una Beer Firm che fa la sua Blond Ale con i fiori di fichidindia siciliani di Roccapalumba , ingrediente aggiunto in bollitura che rende la birra Artigianale ancora piu’ medicamentosa ! prima di noi in Sardegna Janas ha fatto la Morisca sempre con i fiori di fichidindia!
    Per tutti quelli che con i derivati della pianta di ficodindia fanno le artigianali, il Kuaska ha suggerito di organizzare un Festival! in Italia ne conto 4 di produttori sino ad ora, appena crescono organizziamo!

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