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Festeggiare San Patrizio con una panoramica sulle Stout italiane

Per i pochi che non lo sapessero oggi è San Patrizio, una delle ricorrenze birrarie più conosciute e festeggiate al mondo. Proprio per questa ragione c’è chi la detesta con tutto il cuore e chi la sfrutta per riscoprirsi improvvisamente grande bevitore di birra, anche se solo per un giorno. Io, che non amo né gli atteggiamenti snob, né l’allineamento forzato alle mode, lo considero per quel che è: un rito da celebrare con la nostra bevanda preferita, approfittandone magari per far baldoria o semplicemente per concentrarsi su un particolare stile birrario. Ed è proprio ciò che faremo oggi, perché San Patrizio è anche il giorno delle Stout e delle scure in generale – volenti o nolenti l’equazione “birra + Irlanda = Guinness” è dura a morire. Approfittiamo allora della ricorrenza per una panoramica sulle principali “scure” d’Italia.

Forse la più importante Stout per l’evoluzione del movimento italiano è anche una delle meno tradizionali in assoluto, a causa del suo netto profilo affumicato. Chiaramente sto parlando della Ghisa del Birrificio Lambrate, che ha senza dubbio segnato l’ascesa del produttore meneghino sin dai suoi primordi. Probabilmente è più assimilabile a una Smoked (Baltic) Porter che a una Stout, ma per la sua importanza era impossibile non citarla in apertura del post di oggi. Se oggi mi trovassi a Milano, festeggerei sicuramente con una pinta di Ghisa.

Altra nera storica, nonché una delle birre italiane più premiate in assoluto nei concorsi internazionali, è la Verdi Imperial Stout del Ducato. Qui chiaramente siamo al cospetto dell'”upgrade” di una Stout – lo stile è quello delle Russian Imperial Stout, versioni più alcoliche e muscolari destinate originariamente agli zar di Russia – ma il punto d’incontro con la Ghisa del Lambrate è la caratterizzazione inusuale dell’aroma. In questo caso non parliamo di note affumicate, bensì dell’impiego di peperoncino che aggiunge ulteriore profondità a una birra già decisamente complessa.

Al recente concorso Birra dell’anno l’oro tra le Stout è andato alla Blackdoll di Mostodolce – altro produttore con diversi anni alle spalle – che ha preceduto nell’ordine la Gallagher Stout di Hilltop e la Hot Night at The Village di Foglie d’Erba. La Gallagher Stout è una Stout prodotta con alghe affumicate su legno di quercia e il birraio Conor ha proprio radici irlandesi, quindi immagino che oggi si sentirà particolarmente chiamato in causa 🙂 . La Hot Night at The Village si può invece considerare una Robust Porter e dimostra come Gino Perissutti non sia capace di districarsi solo con birre luppolate, ma anche con delle classiche scure. Non per niente ottima è anche la sua Songs From the Wood, che rientra nel già citato stile delle Imperial Stout.

La Hot Night ottenne una medaglia anche nell’edizione 2015 nel concorso, ma tra le Stout pluripremiate a Birra dell’anno compaiono anche la Montinera del Piccolo Birrificio Clandestino, l’Imperiosa di Civale e la Calix Niger del Birrificio dei Castelli, tre produttori troppo spesso sottovalutati. Tornando invece ai risultati di quest’anno, nella categoria delle Imperial Stout troviamo nell’ordine la Zarina del campano Birrificio dell’Aspide, la R.I.P. di White Dog – anche in questo caso il birraio Steven Dawson ha origini anglosassoni – e la già citata Calix Niger del Birrificio dei Castelli.

Se prendiamo la classifica di Microbirrifici.org e consideriamo le birre con un numero sufficiente di votazioni, emergono altre Stout interessanti. Tra le classiche “Dry” abbiamo la Stout di Brùton, la storica Brune di Baladin, la Panil Black Oak di Torrechiara (maturata in legno), la Blackout di Rurale e la BK dell’Olmaia, una delle figlie predilette del birraio Moreno Ercolani. Nelle Sweet Stout il primo posto è per la Pecora Nera di Geco, una delle migliori scure d’Italia, che precede la Maior di Collesi. Nelle Oatmeal Stout invece incontriamo nell’ordine Fusca di Babb, Black Mama di Bi-Du e Acheronte de I Due Mastri. Infine tra le Imperial Stout si segnalano l’Imperial di Maltus Faber e la già citata VIS del Ducato.

Quelle delle Stout è uno stile particolare, che non sempre incontra il gusto dei consumatori. Il loro ruolo di birre “quotidiane” si è perso alcuni secoli fa e oggi sono spesso trascurate dai pub perché non vendibili come altre tipologie. Per il loro tenore alcolico e la predisposizione a interpretazioni più moderne, è non di rado più facile imbattersi nelle loro versioni muscolari, che strizzano l’occhio alle culture brassicole d’America e Scandinavia. Ma per i veri appassionati di birra, trovare una classica Stout alla spina (o ancora meglio a pompa) è una gioia che riempie il cuore, perché spesso rappresenta la scelta migliore quando si cerca qualcosa da bere con facilità, ma deviando dai gusti più usuali.

E quindi stasera onorerò il mio San Patrizio brindando con una bella Stout italiana, in particolare una di quelle menzionate nell’articolo. Lascio a voi indovinare birra e pub 🙂 . Buon St. Patrick’s Day a tutti!

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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2 Commenti

  1. Andrea, se ti capita di passare a Milano il Lambrate è tappa obbligata e non si discute. Ma per una Stout (classica) con i controc**** ti suggerisco la Baghera del Birrificio La Ribalta. Cmq stasera “abbasso l’asticella”e vado di Beamish e Stufato alla Guinness. Per le Dieu du Ciel che ho in cantina c’è sempre tempo domani !

    • La Baghera l’ho bevuta l’altra sera al Maltese qui a Roma. Non la definirei proprio classica (molto caffè e cioccolato al naso, più di una normale Dry Stout), ma è davvero buona. Quindi te l’appoggio!

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