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Prima o poi doveva accadere: Cantillon annuncia la sua Lambic IPA

Il mio personale rapporto con la birra è tendenzialmente romantico. Se siete lettori assidui di Cronache di Birra, saprete che sono affascinato dalle tradizioni brassicole internazionali, spesso relegate a zone geografiche ben precise. Guardo con curiosità alle nuove tendenze del settore, ma mi piace credere che alcune consuetudini birrarie saranno sempre lì, nei decenni, con le loro caratteristiche immutabili che si tramandano da generazioni. Penso allo straordinario patrimonio della Franconia, alla poesia della birra trappista, all’atmosfera dei classici pub anglosassoni, alla magia che si respira nei birrifici del Pajottenland. Nella vita però le certezze non sono destinate a durare per sempre, quindi può accadere di imbattersi, ad esempio, in una IPA prodotta da Cantillon, il più celebre produttore di fermentazioni spontanee, e svelata direttamente dal suo birraio, Jean Van Roy.

L’annuncio è arrivato nella giornata di ieri, quando sulla pagina Facebook del Moeder Lambic Fontainas – importante birreria di Bruxelles, strettamente legata al birrificio di Anderlecht – è apparso un post dello stesso Van Roy. Come un fulmine a ciel sereno il birraio ha reso noto che alle spine del locale è disponibile la sua ultima creazione, battezzata Brussels Lambic IPA. Ecco il suo messaggio, nel quale si possono ritrovare anche alcuni spunti autoironici:

Una Zwanze prima della Zwanze!

Dopo le NEIPA, Black IPA, West Coast, East Coast, Fruit, Double, Brut, ne mancava solo una! Secondo la tradizione della Cuvée-Saint-Gilloise, questo Lambic di 20 mesi è stato luppolato a freddo con un mix di luppoli Hallertau, Mosaic, Cascade, Simcoe e Sorachi per apportare un bell’equilibrio tra l’acidità della birra e il lato floreale e fruttato del luppolo.

Disponibile in fusto! Giusto in tempo per la partita del Belgio.

Dalle parole di Jean Van Roy capiamo quindi che non siamo assolutamente al cospetto di un’IPA, ma di una fermentazione spontanea che ricorre a una tecnica produttiva resa celebre da questo stile birrario, soprattutto nella sua incarnazione statunitense: il dry hopping, anche detto luppolatura a freddo. In Cantillon hanno dunque preso un Lambic invecchiato 20 mesi e lo hanno infustato, non prima di passarlo per un fase di dry hopping nel quale sono state impiegate varietà quasi esclusivamente moderne: a parte l’Hallertau, infatti, Van Roy ha utilizzato Mosaic, Cascade, Simcoe (di origine americana) e Sorachi (giapponese). La loro aromaticità fruttata e floreale tenderebbe a bilanciare la classica acidità della fermentazione spontanea.

Chiaramente siamo lontani anni luce delle tradizionali pratiche produttive del Lambic, soprattutto se consideriamo che in queste birre il contributo del luppolo è sempre inesistente. Viene infatti utilizzato suranné, cioè una versione invecchiata diversi anni, praticamente priva di potere amaricante e con un aroma di “formaggio maturo”, impiegato sostanzialmente per le sue proprietà antisettiche e antiossidanti (che si mantengono invariate nonostante la maturazione). In questo caso invece siamo di fronte a una concezione diametralmente opposta: il luppolo è utilizzato nel modo più efficace per esaltare la sua forza aromatica, che in questo caso vira su sfumature erbacee e floreali, ma soprattutto agrumate e resinose.

Al di là del risultato finale, ciò che salta all’occhio è la scelta decisamente non convenzionale di Jean Van Roy, che lancia sul mercato un prodotto non certo ortodosso per quelle che sono le convenzioni del Lambic. Non è il primo esperimento del genere: a parte un episodio che vide coinvolto in passato lo stesso birraio di Cantillon, in passato diversi appassionati si sono cimentati con soluzioni del genere. In Italia ad esempio ricordo qualche iniziativa analoga da parte di Alex Liberati di Revelation Cat, ma è chiaro che se a farsi promotore di un prodotto simile è lo stesso Cantillon, allora la vicenda acquista tutto un altro significato. Non nascondo che ho sempre considerato certi esercizi di stile qualcosa di profondamente eretico in termini di cultura brassicola e non cambio certo idea perché ora a farsene promotore è uno dei principali produttori di fermentazioni spontanee.

D’altro canto Cantillon ha da tempo intrapreso la rotta delle sperimentazioni e delle edizioni limitate, strizzando l’occhio alla sempre più vasta comunità internazionale dei beer geek. Da birrificio di culto per una ristretta cerchia di appassionati, ora Cantillon è diventato un nome capace di far schizzare i livelli di hype nell’ambiente, mostrandosi molto abile nello sfruttare l’attesa che si crea a ogni annuncio di una nuova release. Fino a oggi, tuttavia, mai si era allontanato così tanto dalle fragili tradizioni brassicole delle birre a fermentazioni spontanea: è il motivo per cui l’annuncio della Brussels Lambic IPA (o BLIPA) ha creato un simile scalpore nel settore.

Di fronte a questa novità, la comunità degli appassionati è destinata a dividersi in almeno due fazioni. Da una parte ci saranno i talebani delle tradizioni – nei quali, francamente, un po’ mi riconosco – che grideranno allo scandalo di fronte a una birra che stravolge le consuetudini produttive di un mondo fragile e delicato, sopravvissuto miracolosamente fino ai giorni nostri proprio per non aver mai tradito le proprie tradizioni. Dall’altra ci saranno gli appassionati più aperti alle novità – o semplicemente le groupies di Cantillon – che tenderanno a sottolineare la natura sperimentale del prodotto e la sua sostanziale fedeltà ai dettami delle fermentazioni spontanee: in definitiva è un Lambic semplicemente luppolato a freddo e il risultato è magari anche straordinario.

Non so verso quale estremo tendete a posizionarvi nella polemica che andrà avanti nei prossimi giorni, ma avrete capito dove mi colloco io. In questi mesi ho sentito gente scandalizzarsi per birre glitterate, Brut IPA e “juicy” dall’aspetto totalmente torbido. A me sinceramente fa molto più effetto sapere che a Bruxelles è disponibile il primo Lambic IPA di Cantillon, per quanto possa essere squisito. E a dirla tutta non ho neanche tutta questa voglia di assaggiarlo.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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7 Commenti

  1. Concordo con la tua non volgia di asaggiarlo, il labic è talmente lontano dalle nuove tecniche, dalle innovazioni birraie, dai nuovi aromi, dal nuovo, che fare una birra lambic ipa è assurdo.
    sono un venditore di professione, quindi posso capire che si voglia vendere di più, ma hai una tua nicchia ben specifica, che non deve mischiarsi alle altre, il lambic è il lambic, punto!!!
    Se fossi un super appassionato delle acide mi sentirei tradito!!!! rimango infastidito

  2. Io sono curioso invece, non mi nego mai un assaggio (d’altronde l’esclamazione al primo Lambic fu “ma puzza da morire, bevilo te”, e me lo propose Kuaska), e se non va ad intaccare la tradizione e la qualità del prodotto per cui Cantillon è famoso, perché non sperimentare?

  3. Concordo con te Andrea, non mi reputo un talebano della birra e sono aperto a novità per cui proverò questa nuova creazione se ne dovessi avere la possibilità (a proposito: arriverà in Italia? Beh, se dovesse arrivare non potrebbero far leva sull’aspetto calcistico…). Tuttavia non nego che inconsciamente ho provato un minimo di dispiacere, non so bene perché. Speriamo che dietro tutto questo ci sia solo una sana voglia di sperimentazione e non un tentativo di assecondare una fetta di pubblico un pò modaiola. Cantillon è emblema di tradizione quindi voglio essere fiducioso…

  4. Tanto ormai lo stile IPA è stato talmente stravolto che se fai assaggiare una vera IPA, penso ad esempio a Meantime, a un appassionato ti dice che non è una IPA. Bravo Andrea noto con piacere il tuo schierarti.

    • Certo che tu hai proprio un debole per le industriali…

      • Ho un debole per la birra buona, non distinguo tra industriale e artigianale, ma tra birra buona e birra non buona. La birra buona può essere un discorso soggettivo e ognuno ha il proprio insindacabile gusto, oppure un discorso oggettivo. Oggettivamente una birra per essere definita buona, deve essere corrispondente allo stile d’appartenenza e priva di quelli che per definizione vengono definiti difetti. Ad esempio la Spaceman di Brewfist è molto buona, ma non è una IPA è una APA. Questo insegno quando faccio il docente di degustazione.

  5. Io passo, grazie. Aspetto la Orval IPA.

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