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Assaggi di… Decimoprimo

decimoprimoSebbene nel sud Italia la birra artigianale non abbia ancora registrato quell’enorme successo riscontrabile nel resto del paese, esistono alcune realtà che mostrano una “maturità birraria” non indifferente. La Puglia ad esempio è una regione sempre molto attiva e che rappresenta, insieme alla Campania, uno dei contesti più interessanti del Mezzogiorno. Oltre a nomi storici e prestigiosi come Svevo, Birranova e B94 (per citarne alcuni), negli ultimi anni sono comparsi nuovi birrifici, che hanno rimpolpato il numero dei produttori pugliesi – al momento sono 23. Tra questi ultimamente ho avuto modo di assaggiare le birre di Decimoprimo, azienda operativa soltanto dal 2012. Nonostante la giovane età, le relative creazioni mi hanno positivamente impressionato, confermando la crescita in atto nella regione. Ecco cosa ho bevuto…

Il Decimoprimo – nome completo Piccolo Birrificio Indipendente Decimoprimo – vanta una gamma ovviamente ancora piuttosto limitata. Le birre in catalogo sono cinque e abbracciano le principali scuole brassicole internazionali, almeno per quanto riguarda le alte fermentazioni. Ecco che allora in catalogo troviamo una India Pale Ale (UK), una Cream Ale (USA) e una Belgian Ale con speziatura da Blanche (Belgio). Ad esse si aggiungono una birra alla zucca e una natalizia, per completare un’offerta limitata – non che sia un male, sia chiaro – ma piuttosto variegata.

2_bp_blogspot_com_-PoLL8-e_Mfg_T7YhH-HSGbI_AAAAAAAAA7I_dF3qA74CFj8_s1600_karibuLa prima birra che ho provato è stata la Karibu (5% alc.), appartenente allo stile delle Cream Ale – una delle poche tipologie autoctone degli Stati Uniti. Si presenta di color giallo chiaro, alquanto velato, con riflessi dorati e una schiuma abbondante a bolle medio-piccole, compatta e persistente. Al naso si avvertono profumi di miele, cereali, fiori di campo. Gli aromi sono abbastanza intensi, ma non in modo esagerato, aspetto che comunque è previsto dallo stile. L’ingresso in bocca è morbido e dolce, la carbonazione è evidente ma senza eccessi, riuscendo anzi ad accompagnare bene la bevuta. Le prime sensazioni richiamano il miele e i fiori già riscontrati all’olfatto, poi subentra il luppolo in un finale bilanciato, dove l’amaro serve per equilibrare più che per caratterizzare la birra in maniera monocorde. Il retrogusto è abbastanza pulito.

La Karibu mi è piaciuta molto, l’ho trovata un’ottima interpretazione di Cream Ale. In particolare ho apprezzato l’equilibrio, la ricerca di eleganza e lo sforzo di evitare che il luppolo diventasse unico protagonista. Unico neo – se così vogliamo consideratlo – è la bottiglia da 25 cl, che per una birra del genere tende a svuotarsi nel giro di un batter d’occhio. Decisamente meglio quello da 50 cl.

2_bp_blogspot_com_-VYZ5gKvtRTE_T7YgtrZUZDI_AAAAAAAAA64_WRJbc_l0kRg_s1600_D-DaySuccessivamente sono passato alla D-Day (5,5% alc.), una India Pale Ale di stampo anglosassone. Alla vista si presenta di colore ambrato scarico con riflessi dorati, schiuma di discreta abbondanza, a bolle medie, un po’ disordinata e non molto persistente. Al naso emergono profumi non molto intensi di frutta a polpa gialla, crosta di pane, miele e una base di caramello che rimane abbastanza lieve. Al palato l’amaro diventa subito protagonista e tende a mettere in secondo piano gli stessi aromi già avvertiti a livello olfattivo. La birra procede senza colpi ad effetto, fino al finale lungo e secco.

La D-Day mi ha convinto meno della Karibu, nonostante sia una birra ben costruita e senza difetti apparenti. Ciò che le manca – a mio avviso – è quella marcia in più capace di elevarla dalla massa di IPA italiane pressoché anonime. Apprezzabile comunque l’idea di ricercare una maggiore aderenza all’incarnazione originale dello stile, senza abbandonarsi a facili (e stucchevoli) mode contemporanee.

2_bp_blogspot_com_-cEGnxdOE_YU_T7Yg-n20GbI_AAAAAAAAA7A_yeqhRzo97Cs_s1600_JouissanceCon la Jouissance (6,5%) sono entrato in territorio belga, poiché si tratta di un’alta fermentazione ispirata alle produzioni di quel paese e aromatizzata con gli ingredienti tipici da Blanche: scorza d’arancia e coriandolo – attenzione però, perché non è una birra di frumento. Si presenta di color rame, molto opalescente, con riflessi dorati; la schiuma è bianca a bolle medio-piccole, abbastanza copiosa e con una discreta aderenza e persistenza. Al naso emergono piacevoli note fruttate derivanti dal lievito, con banana e pera su tutto, oltre a una buona nota speziata di sottofondo, chiaramente riconducibile al coriandolo. L’arancia amara è quasi inavvertibile, ma non se ne sente la mancanza. L’ingresso in bocca è dolce a lungo, poi a metà corsa emergono le spezie e un agrumato che rende la bevuta molto snella e gustosa. La frutta gialla torna all’inizio, poi diventano protagonisti coriandolo e arancia. Il corpo è corretto, così come la carbonazione.

Non ho problemi a definire la Jouissance una delle mie più gradite sorprese degli ultimi tempi. È una birra che punta a esaltare al massimo le proprietà del lievito e vi riesce alla grande, pur mantenendosi straordinariamente bevibile. Ottimo il dosaggio del coriandolo e intelligente l’uso dell’arancia amara, irrilevante al naso ma protagonista in bocca nel finale. Splendido anche l’equilibrio. Insomma, come avrete capito mi ha davvero conquistato.

Come è facile intuire, la Sweet Noel è invece una natalizia aromatizzata con vin cotto di fichi, zenzero e cannella, che non presenta una gradazione alcolica particolarmente elevata (7%). Esteticamente si distingue per un colore sella di cavallo con riflessi ambrati, schiuma beige abbondante e a bolle piccole, ricca e persistente. Intensi sono i profumi di frutta secca, agrumi, zenzero, fichi. Contro ogni pronostico, si avverte quasi più freschezza che calore, tuttavia la nota alcolica è facilmente distinguibile. Buona complessità e persistenza. L’ingresso è molto dolce di miele di castagno, poi arrivano tutti gli aromi già incontrati all’olfatto. Il lievito gioca un ruolo importante, quindi tornano gli agrumi, i fichi, le spezie. Il corpo è di medio spessore, con una carbonazione generosa proprio al limite della correttezza. Il finale è appena amarognolo, accompagnato ancora da un netto agrumato.

La Sweet Noel è dunque una natalizia corretta e sui generis, che pur non entusiasmando rimane ampiamente godibile. Buona la trama aromatica, con un abile impiego delle spezie. Il limite è che ci si aspetterebbe che una birra del genere, peraltro ampiamente aromatizzata, sia in grado di scaldare con un abbraccio avvolgente, mentre emerge una freschezza di agrumi che, pur mantenendola facilmente bevibile, stona un po’ con il resto.

Infine ho terminato con la Kowacchy (6,7% alc.), una birra realizzata con l’impiego di zucche. Si presenta di color ambrato con sfumature sul marrone e riflessi arancio. La schiuma è buona: compatta e cremosa, abbondante e molto persistente. Al naso si distinguono note di miele di castagno, rabarbaro, frutta rossa e agrumi, insieme a una sfumatura di melassa. La zucca si avverte nei termini di una discreta dolcezza, che si confonde con sentori speziati di zenzero. L’ingresso al palato è dolce di zucca e caramello, il corpo si mantiene medio con una carbonazione evidente ma fine, forse un po’ troppo insistente. Il retrogusto infatti risulta un po’ coperto dal gas, dove torna il rabarbaro e una nota amara (non proprio armonica) a bilanciare, molto persistente.

Così come la D-Day, anche la Kowacchy mi è parsa una birra priva di carattere, che si limita a portare a termine il proprio compito (mantenere un grado soddisfacente di armonia e pulizia), ma senza emozionare. Del lotto è forse quella che mi ha convinto di meno, ma è anche la ricetta più giovane tra tutte, che quindi ha ampi margini di miglioramento.

In definitiva il Decimoprimo mi ha fatto una splendida impressione, calcolando anche che il birrificio è operante da poco tempo. In generale ho apprezzato il tentativo di spaziare in diversi universi brassicoli, cercando di rimanere aderenti agli stili di riferimento. Tutte le produzioni sono curate sotto ogni punto di vista, aspetto che si avverte già dal punto di vista estetico – mi riferisco non solo all’analisi visiva delle birre, ma anche al loro confezionamento. Chiaramente ci sono alti e bassi, ma il livello medio è già molto alto, con un paio di punte (su 5 birre assaggiate, badate bene) di grandissima qualità.

Tenete d’occhio questo produttore perché ne vale la pena. Nell’ormai affollata scena pugliese c’è un nuovo protagonista da seguire con attenzione.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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7 Commenti

  1. Le tre birre principali le trovo abbastanza aderenti alle rispettive tradizioni di riferimento. Il bravo Michele ha una mano prudente e garbata e fa bene ad evitare pazzie che possano stravolgere l’armonia di base delle sue birre.
    Tra l’altro un miglioramento da un anno a questa parte si avverte, segno degli effettivi sforzi di migliorare esaltando certe caratteristiche e smussando qualche imperfezione.
    In generale concordo con la tua opinione sulla Kowacchy e Sweet Noel, mentre su secchezza e terrosità della D-Day sono più consenziente.
    Jouissance a mio parere prende il meglio da diversi stili belgi armonizzandoli in una birra amabile ed avvolgente come poche. Mentre la Karibu ha una beverinità molto interessante, rubata a quella delle lager e completata da quei toni campestri.

  2. I birrifici pugliesi non sono affatto 23. Ad esempio se si volessero trovare i prodotti del “Birrificio Agricolo Altamurano” o del “Barbarossa” occorrerebbe rivolgersi alla redazione del programma “Chi l’ha visto”. Parliamo di microbirrifici o di creature mitologiche?
    Non voglio poi infierire su quei produttori che vergognosamente utilizzano estratti o che trovano più facile e remunerativo imbottigliare la birra prodotta da birrai ben più noti e affermati (sigh!).
    Per quanto mi riguarda i nomi che da sempre contano in Puglia sono due: “Birranova” e “B94”. E adesso c’è “Decimoprimo” (del quale adoro la “Jouissance) che promette bene e potrebbe ritagliarsi uno spazio importante in futuro.

    • Ieri sera ero a Barletta e girando per il centro storico ad un certo punto mi sono ritrovato davanti alla saracinesca del brewpub “Il Birraio” tristemente abbassata.
      Mi è stato detto che ha chiuso definitivamente alcuni mesi fa…

  3. Birrificio Decimoprimo

    Grazie mille Andrea! Sono Michele, il birraio del Piccolo Birrificio Indipendente Decimoprimo. Leggendo il tuo articolo traspare la professionalità con cui ti approcci ad un argomento così bello e leggero come la Birra. Negli anni il tuo blog è diventato un riferimento proprio per questo approccio… Anche noi abbiamo un approccio professionale a quello che facciamo e la passione? Quella è il motore che muove il tutto, ma guai ad ostentarla e a fare tutto in funzione della sola passione. Noi birrai dovremmo tenere a mente che nonostante siamo produttori di un gran bell’alimento, produciamo un alimento e come tale dovremmo trattare il “pane liquido” che produciamo… con tanto amore, passione e soprattutto con professionalità e competenza tecnico-scientifica. Tornando all’articolo, spero a breve, magari quando ci conosceremo personalmente, di farti cambiare idea su D-Day e Kowacchy… ma questa è un’altra storia

    • ciao Michele innanzitutto complimenti per il coraggio di aprire un birrificio in un momento di crisi economica del genere e in un contesto territoriale difficile come quello pugliese. A tal proposito da pugliese (della prov.di Foggia) ti chiedo dove posso avere il piacere di assaggiare anche una sola delle tue creazioni..ovviamente nella mia zona…sono curiosissimo.
      ti ringrazio e ti faccio un grosso in bocca al lupo per il futuro!

  4. Orgogliosissima della mia terra! ho assagiato le birre a RhEX!

  5. Ciao io ho assaggiato la Jouissance, mi sembrata molto bananosa, direi troppo. Non vi sembra?

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