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Assaggi di… Birrificio del Gomito

Logo-Birrificio-del-Gomito-250x189Tra le birre dei vari produttori che ho occasione di assaggiare di tanto in tanto, negli ultimi tempi mi sono capitate tra le mani quelle del Birrificio del Gomito. Anche questa azienda fa parte delle nuove leve della scena nazionale, avendo aperto i battenti solo nel 2012. La sede  si trova ad Agugliano, piccolo comune non distante da Ancona. Il nome del birrificio si ispira proprio al capoluogo marchigiano, e in particolare a come veniva chiamato dagli antichi greci: “ankon”, che per l’appunto significa “gomito” (è la forma del promontorio su cui la città sorge). Il birraio si chiama Paolo Ragni, che ringrazio per avermi dato l’opportunità di assaggiare le sue creazioni.

Come si può immaginare, la gamma del Birrificio del Gomito è ancora piuttosto limitata e consta di sole quattro produzioni – aspetto normalissimo, sia chiaro. Sono contemplate sia alte che basse fermentazioni, con riferimento nello specifico alle culture brassicole angloamericana e tedesca.

I miei assaggi sono partiti dalla Bestiale (6,6% alc.), ispirata allo stile delle Extra Special Bitter. Si presenta molto bene, con un colore ambrato carico e riflessi arancio e una schiuma beige a bolle medio-piccole, duratura, aderente e molto compatta (non troppo abbondante, come richiede la tipologia). La prima buona impressione continua all’analisi olfattiva, con un naso molto “british”, dove il caramello si presenta in primo piano insieme a note fruttate e leggermente torrefatte. Tutti i profumi sono eleganti, ma anche decisi. Al palato l’ingresso è dolce e floreale, poi arriva il caramello a dominare la scena, senza risultare però invasivo. Corretto il corpo: la birra risulta scorrevole ma allo stesso tempo abbastanza rotonda. Si perde un po’ nel finale amaro da liquirizia, che risulta corto e poco armonico con il resto.

La Bestiale può essere dunque considerata una ESB discreta, che per lunghi tratti appare davvero be costruita. Il caramello è protagonista sia al naso che in bocca, ma senza mai oscurare tutto il resto. Buono l’equilibrio generale. Peccato per il finale, che lascia un senso di incompiutezza dopo una serie di impressioni davvero convincenti. Correggendo questo aspetto potrebbe diventare una tra le migliori ESB italiane.

Successivamente ho provato l’Abissale (6,6% alc.), che appartiene invece alla copiosa famiglia delle American Pale Ale. Alla vista si contraddistingue per un colore dorato scarico, e una schiuma ricca, che, anche rivelandosi non propriamente ordinata, risulta comunque persistente e mediamente compatta. I profumi non sono molto intensi: troviamo miele, note fruttate e agrumate, più in lontananza fiori di campo e una suggestione di mandorla. L’ingresso è dolce di malto, il corpo di rivela tendente al watery, ma senza sfociare in un difetto. A metà corsa emerge il luppolo, con un amaro che cresce d’intensità senza però accompagnarsi a un aroma corrispettivo. Nel retrogusto emergono anche una leggera acidità e un tocco metallico non certamente piacevole.

L’Abissale è dunque un’APA che punta molto alla bevibilità e in parte vi riesce. Ne esce però penalizzata da aromi di luppolo poco intensi e da un metallico finale da dimenticare. È una delle tante APA italiane con ampi margini di miglioramento e che, pur offrendo spunti interessanti, alla fine non sono che un’imprecisa imitazione delle loro controparti statunitensi.

La Kate (5,8% alc.) è stata la terza birra che ho assaggiato. Si tratta di una Weizen di colore tra il dorato e l’arancio, nella quale l’opalescenza è meno decisa di quanto ci si aspetterebbe. Rispetta le previsioni invece la schiuma, decisamente abbondante, mentre la carbonazione appare piuttosto evidente. Al naso si ritrovano i tipici sentori da Weizen, sebbene il profumi di banana rimanga molto più in secondo piano rispetto allo speziato da chiodi di garofano. Se fino all’analisi olfattiva presenta qualche tentennamento, è in bocca che mostra i limiti maggiori: risulta timida, gli aromi sono poco intensi e a livello di corpo manca della “masticabilità” tipica dello stile. Nel finale è assente la classica acidità da Weizen e compare una fastidiosa nota metallica.

Della gamma del Gomito, la Kate è indubbiamente quella che mi ha convinto di meno, distante anni luce dalle sorelle. È una Weizen che risulta poco godibile e che per alcuni aspetti è da considerare persino fuori stile. C’è da lavorarci su parecchio: di esempi da prendere a modello ce ne sono a bizzeffe anche in Italia, quindi sono convinto che potrà migliorare drasticamente in tempi brevi.

L’ultima birra che ho assaggiato è stata la Phili (6% alc.), una Dortmunder Export. Si ispira a uno stile in via di estinzione (nato ovviamente nell’omonima città tedesca) e per questo motivo mi ha incuriosito parecchio. Si presenta di colore dorato carico, con riflessi ambrato chiaro e una leggerissima opalescenza. La schiuma bianca è a bolle medie, abbondante, compatta e con una buona struttura. Al naso emergono profumi delicati, ma decisi e puliti: miele su tutto, poi fiori di campo e crosta di pane, più dietro una sfumatura erbacea fresca, quasi balsamica. L’ingresso al palato è meno dolce del previsto e accompagnato da una nota terrosa, quindi subentra un fine amaro che dura a lungo. Corretta la carbonazione, così come il corpo. Unico neo nel finale: ricompare la solita nota ematica e ferrosa già riscontrata in altre birre.

Tutto sommato la Phili può essere considerata un bel tentativo di proporre uno stile poco diffuso. Rispetto ai canoni tradizionali è forse un po’ sbilanciata sulla parte amara, ma al netto del BJCP questo aspetto risulta assai gradevole. La chiusura metallica tende a ridursi dopo qualche minuto, tuttavia finisce per compromettere il piacere generale della bevuta, contribuendo a un palato non perfettamente pulito.

In definitiva il Birrificio del Gomito propone un’offerta varia, non solo a livello stilistico, ma anche qualitativo. Due delle quattro birre in catalogo (Abissale e Phili) sono per un motivo o per un altro assai apprezzabili; altre due devono e possono migliorare ancora (in particolare la Kate, vero punto debole della gamma). La scelta di Paolo sembra orientata verso il costante perfezionamento di poche ricette: è una scelta che non posso non condividere e che sono convinto porterà ottimi frutti sin da subito.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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8 Commenti

  1. se non finiscono per -ale non le vogliamo eh

  2. Quindi la Phili è praticamente una pilsener 😀 ?

    • Beh se consideri che per il BJCP una Dortmunder Export è a metà strada tra una Helles e una Pils… diciamo che rispetto a quest’ultima ha un profilo maltato più evidente

  3. Ma è vero che il birraio gioca benissimo a tennis?

  4. Bella recensione, complimenti.
    Una piccola precisazione per chi volesse farsi una gita per prendersi qualche bottiglia: il birrificio si trova ad Agugliano non ad Apugliuano.

  5. Grande Paolone!!
    Persona magnifica, non dubito che saprà diventare una certezza anche come birraio.
    I miei migliori auguri.

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