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Emergere con una beer firm? Ecco 5 casi italiani di successo

Il B94 di Raffaele Longo operò per anni come semplice beer firm (foto: Mondobirra.org)
Il B94 di Raffaele Longo operò per anni come semplice beer firm (foto: Mondobirra.org)

In un periodo in cui gran parte della discussione birraria è incentrata sulle beer firm (non solo in Italia), ha senso tornare sull’argomento per approfondire il discorso. Cosa ha causato la recente esplosione di questo modello di business brassicolo? Sicuramente la possibilità di lanciarsi sul mercato a fronte di investimenti contenuti, o quantomeno molto più ridotti rispetti a quelli di un normale birrificio. Ma se il motivo fosse solo questo non si spiegherebbe perché i marchi senza impianto stiano vivendo il loro boom in questo preciso momento, visto che qualche anno fa in Italia il mercato era meno ampio e le difficoltà di fare impresa non dissimili da quelle di oggi (la crisi non è certo iniziata nel 2014). Probabilmente allora alla base c’è anche una spinta all’emulazione, maturata dopo che il numero delle prime beer firm è aumentato fino a trasformarle in un fenomeno di successo. Basta quindi inventarsi delle ricette e trovare un birrificio che le produca? Assolutamente no, anzi emergere oggi con una beer firm è un’impresa titanica.

In effetti la ricetta per creare una beer firm di successo non è semplice e a volte non basta neanche saper realizzare birre valide – conditio sine qua non per ogni impresa brassicola. Nel post di oggi allora vi presento alcune beer firm italiane che si sono imposte sulla scena nazionale, riuscendo a stagliarsi dal mare magnum di imprese analoghe.

B94

b94Ma come, B94 non è un birrificio? Assolutamente sì, ma per lunghi anni è stato una “semplice” beer firm. L’azienda di Raffaele Longo fu fondata nel 2008 ma fino al 2012 operò senza impianto di proprietà, appoggiandosi – se non ricordo male – a quello di Birranova. Credo di non sbagliare affermando che fu una delle prime beer firm italiane, dettaglio che permise a Raffaele di operare in relativa tranquillità perfezionando costantemente le proprie ricette. Oggi il B94 non solo è un birrificio a tutti gli effetti, ma anche una delle migliori realtà brassicole di tutto il Sud Italia, in grado di vantare birre di primissimo livello.

Via Priula

via priulaSebbene abbia aperto nel 2010, cioè 2 anni dopo B94, anche Via Priula può rientrare nel novero delle beer firm italiane storiche. Come riporta Una birra al giorno, il primo successo per Giovanni Fumagalli arrivò nel 2010 durante il concorso di homebrewing di Piozzo, vittoria che lo spinse al grande salto appoggiandosi al birrificio Babb per la produzione. Dell’acquisto di un impianto proprio si parla dal 2012, ma a oggi lo stato dell’azienda ancora non è cambiato. Questo non le ha impedito di imporsi come una delle realtà più interessanti di tutto il Nord Italia, apprezzata per l’ottimo livello delle sue birre.

MC-77

mc77L’avventura di Cecilia Scisciani e Matteo Pomposini è partita nel 2012 e anche se oggi MC-77 è un vero birrificio, per un breve periodo è stata una semplice beer firm. Ho avuto la fortuna di seguire la resa delle ricette sin dall’inizio e devo ammettere che il salto di qualità raggiunto con l’impianto di proprietà è stato clamoroso: da prodotti anonimi e lontani dall’eccellenza, le birre di MC-77 si sono trasformate in bevande di elevata qualità e degne della massima attenzione. Questa evoluzione non è casuale e sottolinea ancora una volta l’importanza di lavorare su un impianto proprio, situazione che garantisce il massimo livello di libertà, controllo e elasticità produttiva.

Stavio

stavioAperta nel 2011, Birra Stavio si è inserita cronologicamente nel pieno della seconda primavera birraria del Lazio, riuscendo però a imporsi subito nel settore, non solo a livello regionale. Gran parte del merito è da ricondurre alla passione e alla competenza di Luca Parisi e Marco Meneghin, quest’ultimo in grado di portare in dote la grande esperienza maturata in diversi birrifici italiani. Come molte beer firm, l’obiettivo di Stavio è quello di arrivare a possedere un proprio impianto, ma per il momento la più importante novità all’orizzonte riguarda l’apertura del relativo locale a Roma. I ragazzi non hanno certo profuso investimenti importanti sul fronte grafico, ma le loro etichette completamente fuori di testa sono ormai un segno distintivo unico e inimitabile.

Buskers

BuskersTra le varie forme di beer firm possibile, Mirko Caretta è stato tra i primi in Italia a proporsi come gipsy brewer(y). La sua idea fu chiara: brassare diverse birre presso birrifici amici e puntare forte sull’aspetto grafico. Probabilmente uno dei punti di forza dell’ascesa di Buskers Beer risiede nelle splendide etichette, frutto del lavoro di alcuni artisti internazionali. Dal 2011 a oggi Mirko ha puntellato il suo progetto con altre importanti mosse: l’apertura del pub omonimo, in grado di garantire un canale sicuro di vendita, e – notizia recente – l’acquisto di fermentatori dedicati da inserire in alcuni tra i birrifici che si sono legati al marchio.

Ovviamente oltre a quelle citate ci sono altre esperienze di beer firm di successo in Italia, ma la selezione qui presente permette di avere una visione abbastanza variegata in termini di anzianità e scelte strategiche. Qual è dunque la formula giusta per emergere? Come accennato la risposta più importante è forse la più semplice: essere in grado di proporre birre valide. Ma oltre a questo c’è anche un mix di altre componenti: serve competenza, passione, capacità imprenditoriale, creatività. Quasi sempre quella della beer firm deve essere una fase, un momento di passaggio prima che di diventare birrificio a tutti gli effetti. Più questo tempo si riduce, meglio è per l’azienda. E nel frattempo è importante testare continuamente le proprie ricette su impianti pilota e magari gestire (o stabilire accordi con) un locale capace di rappresentare un canale di vendita sicuro e costante.

Secondo voi bisogna tenere in considerazione altri aspetti? Aggiungereste altre beer firm (presenti o passate) all’elenco da me proposto?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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37 Commenti

  1. alexander_douglas

    ci aggiungerei anche Eastside Brewery e Cerevisia Vetus a questo elenco 🙂

    • Con tutto il bene che voglio ai ragazzi di Cerevisia Vetus non mi sembra che abbiano (ancora) raggiunto la stessa diffusione di quelli qui menzionati. Idem per Eastside che neanche conosco.

      • alexander_douglas

        male male ( per la eastside)…io parlo comunque anche di un discorso di qualità….beerfirm che non sono solo grossisti ma ci mettono la faccia in tutto e per tutto. Tra l’altro Eastside è citata pure sulla nuova guida birre d’italia tra le uscite recenti più promettenti e dovrebbe fare il grande passo a.s.a.p. 🙂

        • Ma il mio post non è per dire quali sono le beer firm più buone, ognuno ha le sue preferite e non è questo il punto. Due di quelle citate non sono neanche più beer firm, figuriamoci. Ho preso 5 esempi di marchi ampiamente diffusi e che si sono imposti seguendo diverse strade.

      • Credo che Cerevisia Vetus vada considerato per aver fortemente creduto fin da subito nell’importanza per una beer firm di un locale di mescita.
        Scelta che, come detto, ora stanno facendo in molti.
        Certo, il farlo subito implica investimenti iniziali maggiori e meno riflettori puntati di una beer firm gipsy, ma così forse le birre sono più protagoniste rispetto al contorno. IMHO.

        • Sì l’accoppiata beer firm + locale di mescita credo sia una delle migliori soluzioni possibili.
          Poi nella fattispecie c’è da dire che anche Cerevisia Vetus è partita subito con l’idea di trasformarsi in birrificio nel minor tempo possibile, almeno nelle intenzioni.

  2. Non credo il salto beer firm-birrificio sia necessario. Esistono esperienze di successo – una su tutte: Mikkeller – che dimostrano la fattibilità del contrario. Non ci vedo niente di male in un bravo birraio che decide per scelta e filosofia di sposare l’approccio “birrificio girovago”. Per il resto, la qualità prima di tutto. Ma anche (e soprattutto) in questo caso, mestizia e grande, grandissima iniziativa commerciale!

  3. Eternal City in pochi mesi ha confermato la bontà del progetto, je danno er gasse….

  4. Beer firm si nasce e si rimane!!!
    Questa è la mia opinione, condividendo solo in parte le considerazione dell’articolo. Credo fortemente che l’unione tra produzione e commercializzazione/distribuzione da parte di due entità aziendali differenti possa essere vincente e duratura;
    non deve necessariamente sussistere una separazione specie se si raggiungono elevati standard qualitativi e quantitativi delle birre proposte.
    Birrificio+beer firm=mix vincente

    • Eh sì giustamente è il caso di citare anche Revelation Cat, anche se l’evoluzione che ha avuto è stata assolutamente unica e non penso replicabile con gli stessi caratteri.

      • PatrickBateman

        Ma io l’avrei citato anche perché una delle due menti di Stavio proprio da lì è passato, e non per poco. Senza offesa nei loro riguardi, ma per B94 e Via Priula si potrebbe fare lo stesso discorso che ha portato ad escludere Cerevisia ed Eastside. E proprio in quanto caso assolutamente unico, specie per l’acquisto di una quota di un intero birrificio estero (senza contare la produzione in Rep. Ceca), a maggior ragione RevCat andava a mio avviso inserito nei primi cinque…

        • Ma Eastside e Cerevisia non sono stati “esclusi”, né questi sono i “primi” cinque marchi. Non è una classifica.

          • PatrickBateman

            Mi sono espresso male, vero, “primi cinque” non è pertinente.
            Più semplicemente intendevo che, almeno io, se proprio dovessi indicare cinque realtà di beer firm di successo, be’, non potrei escludere in alcun modo RevCat.
            Siccome hai parlato di *diffusione* come parametro che ti ha portato a non considerare tra gli esempi Cerevisia ed Eastside, ti dico che anche B94 e Via Priula stanno lì se paragonati a RevCat. Per dirti: relativamente a B94, in Campania penso di poterti nominare giusto DUE locali (BAI e Ottavonano) che lo annoverano tra le referenze. E a Roma, tranne al Domus, non so proprio dove potresti prenderle, non so nemmeno se passa da Open… figuriamoci nel resto dell’Italia. 🙂

          • Al Serpente alla spina ad esempio…

            Comunque non capisco, io al commento di Velleitario non è che ho risposto “Velleitario che cazzo dici”. Ho risposto “Eh sì giustamente è il caso di citare anche Revelation Cat”.

        • In Provincia di Bergamo Via Priula è presente in numerosissimi locali:
          http://www.birrificioviapriula.it/p/dove-acquistare.html

  5. enrico cornelli

    Ogni beer firm ha bisogno di un birrificio “complice” migliori sono le abitudini brassicole del birrificio migliori saranno i prodotti della beer firm.Poi serve la capacita’ commerciale grafica e via discorrendo ma questo lo intuiscono tutti, era solo per dire che se una beer firm di successo avesse possibilita’ o voglia di acquistare un impianto sarebbe quasi sicuramente un marchio affermato.Ancora non capisco pero’ questo “razzismo” di alcuni birrifici verso le beer firm.

  6. Dal mio punto di vista, obiettivo di ogni titolare di beerfirm è quello di passare nel breve/medio periodo ad una produzione con impianto di proprietà. Non credo possa essere gestibile una situazione di “birrificazione gitana” per lungo tempo sia per motivi economici ( non diventi ricco con un birrificio figuriamoci con una beerfirm), logistici ( stress, spostamenti, ecc..) e personali ( reputazione, orgoglio).
    Sta di fatto che queste realtà secondo me rappresentano una grossa opportunità per tutti (produttori,consumatori, distributori..) e se sfruttate al meglio dal pdv commerciale e produttivo/qualitativo, possono creare un piccolo indotto economico a livello territoriale e “sfornare” prodotti di eccellenza.

  7. Anche Via Priula ha un suo locale da due anni, a San Pellegrino, cittadina a cui i titolari sono molto legati.
    Io comunque inizierei ad applicare anche in Italia la differenza terminologica tra brewfirm e beerfirm che adottano gli anglosassoni: i primi ci mettono del proprio, dalla ricetta fino, a volte, all’intervento diretto nella produzione; gli altri comprano una ricetta d’altri e demandano tutto, mettendoci di proprio marketing e commercializzazione.
    C’è una bella differenza: i ‘birrifici’, seppure in senso lato, sono solo i primi!

  8. Suggerisco Les Bieres des Salasses che sono beer firm sul Birrificio Aosta in Val d’Aosta.
    3 specialita’ birrarie in fase di sviluppo adesso anche fuori regione.

  9. Buongiorno sono Luciano di Eastside Brewing (non Brewery :-)) intervengo innanzitutto per ringraziare chi ci ha citato e poi per dare il mio punto di vista sulla convenienza di creare brew firm. Quando 1 anno fa abbiamo iniziato questo cammino già avevamo chiara l’idea che senza uno “sbocco” (che fosse un birrificio, un pub o un brew pub) il nostro sarebbe stato un suicidio economico. Produrre in conto terzi ha dei costi alti sia in termini di prodotto (d’altronde il birrificio ospitante qualcosa ci dovrà pur guadagnare) che (cosa spesso trascurata) in termini di trasporto del prodotto stesso al magazzino e sua consegna al locale. Alla fine il margine di guadagno già risicato deve essere anche investito in immagine (magliette, bicchieri, locandine, spillatore ecc.) e da questo si capisce che far tornare i conti senza il già citato “sbocco” è utopia. C’è anche da dire che chi ha un locale o un beer shop, oltre a guadagnare maggiormente su un prodotto che fa in conto terzi (rispetto ad uno che compra da un birrificio estraneo), ha una chiave (la rivendita dei prodotti del birrificio dove va a cuocere) che gli permette di poter lavorare in birrifici che normalmente non si prestano al conto terzi. Un semplice appassionato come il sottoscritto non ha nessuna possibilità, ad esempio, di andare da extraomnes a cuocere come fa buskers. Il mio spassionato consiglio per chi si vuole gettare in questa impresa è quello di farsi bene i conti… Molti non tengono conto di tante cose e pensano che tutto si riduca a fare birra in un birrificio salvo accorgersi a cose fatte che stoccare e distribuire ettolitri di birra non è uno scherzo in termini di spesa e tempo. Sulla polemica tra birrifici e firm non ho molto da dire a parte il fatto che sono d’accordo quando si chiede la trasparenza per il consumatore che deve sapere se sta bevendo un prodotto di chi un impianto ce l’ha o di chi lo “affitta” quindi per me il termine birrificio non può essere utilizzato da tutti. Per quanto ci riguarda a breve faremo il grande passo e inizieremo a lavorare concretamente per il nostro birrificio di proprietà a Latina. Nel frattempo ed ancora per 1 annetto o giù di lì saremo ospiti da Luigi Serpe al suo birrificio Maltovivo.

    P.S.: Turco ma davvero non ci conoscevi? Strana sta cosa.. Dobbiamo rimediare..

    • Luciano la mia memoria con l’età sta andando a farsi benedire, magari ci conosciamo di persona (ti risulta?). L’unica cosa certa è che comunque non ho ancora avuto il piacere di assaggiare le tue birre.

    • Ciao East!!!
      Che bello…sono felicissimo di leggere belle parole sulle tue creature…ottimo! 😉
      Grande ed in bocca al lupo per tutto.
      Un saluto.

      • Ciao Conco. Grazie mille per gli auguri, poter condividere con un pubblico più vasto la propria passione è una bella cosa. Spero di trasformare il brewing in brewery entro e non oltre la prossima primavera 😉

        • Ho letto….Latina.
          Ottimo!
          Spero che mi capiti di assaggiarle, anche se forse ricordi che sono pantofolaio e non sono un gran frequentatore di beershop, pub o festival.
          Poi in ogni caso qui in polentonia non credo arrivino per ora.
          Ma quando sarà, se mai sarà, non mi farò di certo scappare la pinta!
          Un saluto

          • per ora le trovi in bottiglia da Birralab a Brescia e a breve anche alla spina all’Ines Stube a Nibionno (LC)…dacci tempo 🙂

  10. No di persona non ci siamo mai visti. Siamo solo “amici” su fb :-). Comunque dalla settimana prossima ci troverai tra macché, hop & pork e tanti altre belle spine della capitale. Magari ci si vede a breve…

  11. roberto faenza

    luciano….al di là degli entusismi, mi piace la chiarezza con cui li hai spenti, beer firm deve necessariamente essere propedeutico alla realizzazione di un progetto che abbia la finalità di avere un birrificio proprio altrimenti i costi da te esposti non ti permetteranno di essere in linea con i prezzi delle distribuzioni…..complimenti per le tue birre, sarà un piacere conoscerti.

    • Grazie dei complimenti Roberto. Nel mio piccolo cerco di far capire a chi pensa di iniziare a lavorare come brew firm che questa “moda” senza un progetto serio alle spalle puo essere fonte di delusione e remissione….

  12. anche birrificio sorrento potrebbe far parte del gruppo.

  13. Innanzitutto …mi presento sono Eddy Di Nardo titolare del birrificio ,Forestiera Birra Artigianale…( Toscana)
    Ringrazio il Sig. Turco,per aver introdotto questo post,interessantissimo e da approfondire. Le realtà del beer FIRM,mi riguardono molto..anche io nato nel 2010 sono partito con una beer firm,con un obbiettivo molto preciso creare qualcosa di identificativo,valorizzando il territorio e con un packegim interessante e 100% toscano… Ci sono riuscito,noleggiando un impianto di amici,senza ricorrere a birrifici che mi volevano fare la birra,utilizzando orzo di 3 az. Agr. Biologiche sparse in Toscana,facendomi maltare l’orzo toscano,e usando il 4 elemento,spaziando per il mondo. Ed é nata Forestiera Birra Artigianale 1% Birra 99% Toscana ( http://www.forestiera.it ).
    Vi assicuro,come ho potuto leggere tra vari commenti,che il successo é arrivato! Ed ora con 7 birre di produzione con il grande passo dopo 2 anni e mezzo di un impianto grande tutto mio… Grazie e continuate…tutte le Beer Firm a credere nel vostro sogno!!!

  14. Mi pare di ricordare, che anche Luigi Serpe e Leonardo di Vincenzo iniziarono come Beerfirm, (all’epoca non esisteva neanche un nome per definirli). In attesa di avere un loro impianto. Direi che a livello italiano il papà di tutti i beerfirm sia l’azienda Zago con le sue Hy e, personalmente, mi preoccupano di più i distributori di bevande con le loro beerfirm puramente “commerciali” e spesso di discutibile origine artigianale, che stanno occupando spazio locale impedendo ai micro di entrare in pub e “feste della birra”.
    A proposito Andrea, quando mi fai un post sul fatto che io a Cuneo di sagre dell’uva col Tavernello non ne ho mai viste, mentre di “feste della birra” con birre “non locali” e di dubbia qualità continuo a vederne tutti i giorni?
    Le pro loco sono associazioni locali nate con scopi di promozione e sviluppo del territorio.(wikipedia cit). Quindi che ci azzecca una birra olandese con la sagra del fagiolo o delle fragole. Scusa l’ Ot. ciao. Lelio

    • Leonardo per un breve periodo sostituì Mike allo Starbess, ma mi risulta che le prime Birra del Borgo uscirono direttamente da Borgorose.
      Vero HY, mentre il fenomeno di cui parli purtroppo non lo conosco al punto di scriverci un post

  15. mi risultano cotte fatte all’Olmaia in attesa che il primo impianto fosse operativo.

  16. Visto che sono stati tirati in ballo anche altri nomi, io direi che una beer firm è di successo quando riesce a mettere sul mercato un certo numero di ettolitri (magari mettendoli in relazione con i numeri che fanno i birrifici).
    Altro fattore per decretare la pseudo “Top Five” (è una battuta nell’articolo non c’è nessuna classifica) è quello territoriale; voglio dire che se una beer firm riesce a piazzare fusti e bottiglie nella sua città/provincia siamo nell’ambito dell’ordinaria amministrazione, niente di eclatante.
    In ogni modo, cosa abbastanza ovvia, il ruolo più importante lo gioca sempre il distributore.

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