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Gli storici marchi di birra italiani (parte I): Menabrea, Dreher, Metzger e altri

Da un punto di vista birrario c’è un periodo della storia dell’Italia che mi ha sempre incuriosito: quello tra la metà del XIX secolo e il secondo dopoguerra, quando nel nostro paese erano attive decine di aziende brassicole. Le più note sono ancora operative ai giorni nostri, sebbene quasi sempre sotto il controllo della multinazionale di turno. Però questa manciata di marchi sopravvissuti negli anni non è altro che la punta dell’iceberg, l’impronta di un’epoca lontana in cui la nazione (soprattutto nelle sue regioni settentrionali) era un vero e proprio pullulare di birrifici. Mi piacerebbe approfondire l’argomento e capire come veniva prodotta e percepita la birra al tempo, ma per il momento ci limiteremo a ripercorrere la storia di alcuni brand. Ho dovuto dividere il percorso in più puntate, che comunque non basteranno a riassumere tutte le aziende storiche del settore. Basti pensare che a Torino, probabilmente la capitale birraria dell’epoca, i birrifici attivi era tantissimi.

Birra Metzger

Definita la “Birra di Torino dal 1848”, è considerata un marchio storico della città piemontese. Fu proprio in quell’anno che l’alsaziano Carlo Metzger fondò la sua fabbrica di birra, producendo quello che venivo descritto come un “liquido amaro dissetantissimo e nutrichevole dal sapore speciale”. La prima sede si trovava in rione Valdocco, finché nel 1862 fu spostata a via San Donato. Il controllo dell’azienda venne assunto dal figlio Francesco Giuseppe fino al 1914, quando fu ceduta al cavalier Dorna. Complici le politiche autarchiche del Fascismo, durante il ventennio la produzione aumentò sensibilmente e Birra Metzger fu esportata nelle colonie italiche in Africa. Negli stessi anni fu compiuta un’importante scelta d’immagine: il noto artista futurista di origini bulgare Nicolay Diulgheroff fu ingaggiato per ridisegnare il logo in stile razionalista.

Nel 1944 la società venne rilevata dal Gruppo Luciani (già proprietario di Pedavena) e, dopo alterne vicissitudini, nel 1970 fu assorbito totalmente da Dreher. Fu l’inizio della fine: nel 1975 lo stabilimento torinese venne chiuso per sempre. Il marchio tuttavia è tornato in vita nel 2015, quando è stato rilevato da un imprenditore torinese. Attualmente Birra Metzger è una Lager da 4,8%, realizzata (con una percentuale di mais) presso gli impianti del birrificio Soralama.

Bosio & Caratsch

Diretto competitor di Birra Metzger a Torino fu il Birrificio Bosio, fondato nel 1845 da Giacomo Bosio e considerato un dei primi birrifici d’Italia. La sede originale fu aperta nel centro storico della città, poi quando le redini dell’azienda passarono al figlio Edoardo la produzione fu spostata nel borgo San Donato. Era il 1887: la produzione si attestava sugli 7.000 hl annui, i dipendenti erano una trentina e annualmente nel birrificio si celebrava una versione torinese del celebre Oktoberfest. L’anno successivo l’azienda assunse la denominazione Bosio & Caratsch e iniziò a ottenere riconoscimenti internazionali.

Come per il marchio concorrente, il ventennio fascista rappresentò un momento di grande crescita produttiva, anche grazie alle esportazioni verso le colonie in Africa. Lo stabilimento fu in parte demolito per far spazio al nuovo ampliamento su via Principessa Clotilde e la produzione raggiunse i 15.000 hl annui. Nel 1937 il marchio passò sotto il controllo del gruppo Pedavena, ma circa trent’anni dopo, nel 1969, la birra fu ritirata dal mercato e gli stabilimenti chiusi per sempre.

Dreher

Uno dei marchi più influenti nella storia della bevanda aprì una sua importante fabbrica a Trieste nel 1870, per mano del figlio di Anton Dreher, considerato uno dei birrai più geniali di sempre. A quell’epoca la città giuliana era ancora sotto il controllo dell’Impero Austro-Ungarico, quindi la fabbrica diventò effettivamente italiana solo nel 1920 con il trattato di Rapallo. Negli anni ’60 del XX secolo fu aperto uno stabilimento in Puglia a Massafra (TA), mentre nel 1974 il controllo del marchio passò in mano a Heineken, che lo gestisce tuttora. Per tornare alle atmosfere dell’epoca d’oro di Dreher, riporto un estratto proveniente da Trieste ieri e oggi:

A. Dreher fece eseguire numerosi lavori, nella fabbrica di via Giulia, vennero ammodernate le cantine di raffreddamento, la sala cottura e le fosse del ghiaccio, che proveniva dal lago Zirknitz, vicino a Postumia. Ma l’innovazione più importante fu una Kaeltemaschine, una macchina del freddo. Di grande suggestione erano i locali che ospitavano la Birreria, caratterizzati da ampie volte sorrette da imponenti colonne. L’aspetto della Birreria era volutamente rustico.

La scritta apposta all’ingresso: il carpe diem, stimolava gli avventori al consumo della bionda bevanda e al divertimento. Non si poteva ordinare meno di mezzo litro di birra anche se era in voga l’usanza tedesca di trangugiare un intero litro dal classico boccale a forma di stivale, lo stiefel.

Menabrea

La storia di uno dei marchi familiari più conosciuti in Italia comincia nel 1846, quando a Biella fu aperto un laboratorio per la produzione di birra per opera della famiglia Welf (di origine Walser) e dai fratelli Caraccio. La svolta avvenne del 1864, quando questi ultimi cedettero il birrificio per 95.000 lire a due aostani: Jean Joseph Menabrea e Antonio Zimmermann. Il primo dei due assunse il totale controllo dell’azienda nel 1872. Il marchio ottenne un’ampia fama e non subì contraccolpi quando il controllo passò nelle mani di Emilio Thedy e Agostino Antoniotti, mariti delle eredi Menabrea Eugenia e Albertina. I discendenti della famiglia Thedy sono ancora in sella all’azienda, nonostante nel 1991 sia entrata nel gruppo Forst: Franco Thedy è tuttora amministratore delegato di Menabrea. All’inizio del 1900 la produzione annua era attestata intorno ai 10.000 hl, oggi ha raggiunto i 110.000 hl.

Birra Busalla

Alcuni di voi conosceranno il marchio Busalla per essere stato uno dei primi birrifici artigianali nati in Liguria, eppure il suo nome è legato a quello di un’antica fabbrica che fu fondata nel 1905 a Savignone (GE). I fondatori erano tre imprenditori: il commendator Giacomo Ricchini, il cavalier Giovanni Bagnasco e il sindaco di Busalla, cavalier Sisto Poggi. Quest’ultimo assunse il controllo dell’azienda cinque anni dopo, cambiando la ragione sociale in Fabbrica di Birra Poggi & Co. L’azienda crebbe a velocità impressionante, ma l’avvento della Prima Guerra Mondiale fu catastrofico: i danni provocati furono ingenti e la produzione fu interrotta nel 1929.

Avrete già capito l’epilogo di questa storia: in tempi relativamente recenti, e cioè nel 1999, il marchio è stato rilevato e Birra Busalla è tornata in vita, in chiave artigianale. Gli stabilimenti di produzione sono ancora quelli storici, rimessi a nuovo dopo i lavori di ristrutturazione, e ospitano anche il ristorante del birrificio.

Come potete verificare, le storie di tutti questi marchi hanno diversi punti in comune: la nascita nella seconda metà del XIX secolo, la crescita costante, gli ovvi problemi durante i due conflitti mondiali, intervallati dallo sprint ottenuto sotto il Fascismo. Poi quasi tutti sono finiti sotto il controllo dell’industria, che ne ha decretato la chiusura o comunque la totale decontestualizzazione dalla propria storia. Un fenomeno recente è quello del recupero di questi marchi, in chiave artigianale. Troveremo le stesse tendenze anche negli altri marchi storici? Lo scoprirete nella seconda puntata.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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10 Commenti

  1. Bell’articolo, anche a me ha sempre affascinato questo periodo storico birrario. Spero citerai anche il primo birrificio Italiano, risalente proprio a quegli anni.

    • Intendi Wuhrer? Te lo chiedo perché ho trovato almeno 3 marchi che rivendicano il primato

      • Intendo il birrificio Spluga, poi diventato Splugen. Nato in Valchiavenna grazie alla refrigerazione naturale dei crotti oltre all’ottima fonte d’acqua.

        • Ne parlerò in futuro, però credo che Wuhrer fosse precedente

          • Che io sappia il primo è stato il birrificio Spluga, Parlando più volte anche con il Sig. Wuhrer, mai l’ho sentito vantarsi di questa cosa. Anche perché ne sarei felice, visto che abito a Brescia.

          • Dalle fonti che trovo in giro si parla della nascita del birrificio Spluga agli inizi del ‘900, dalla fusione di altre fabbriche di birra.

  2. Abbiamo evidentemente fonti diverse. Ho visto cartoni di birra Wuhrer con la dicitura il primo birrificio Italiano, ma se nemmeno l’erede del fondatore lo rivendica, lo escluderei. Parlando col Sig. Thedy padre, quando ancora era tra noi, illustrando suo birrificio, non ha mai rivendicato questa cosa, quindi escluderei anche Menabrea Secondo le tue fonti chi sarebbe stato il primo’

    • Te l’ho detto, Wuhrer. Che il discendente non lo ostenti non prova che non sia così. Hai provato a chiederglielo?

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