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Gli storici marchi di birra italiani (parte III): Moretti, Poretti, Spluga, Forst e Messina

Sappiamo che oggi in Italia sono presenti più di 800 birrifici, quasi tutti nati negli ultimi 20 anni. È il risultato della rivoluzione della birra artigianale, iniziata nel nostro paese nella seconda metà degli anni ’90 e ancora in corso. Qualcosa di molto simile – pur con proporzioni diverse – avvenne però tra la seconda metà del XIX secolo e l’inizio del Novecento, quando nel giro di poco tempo comparvero su tutto il territorio nazionale decine, se non centinaia, di marchi birrari. Ecco come Wikipedia racconta il fenomeno:

In generale la metà del XIX secolo vede la nascita di piccoli impianti industriali per la produzione di birra; a fine secolo XIX si contavano in Italia già circa 140 birrerie a produzione industriale ma con tecniche poco più che artigianali, tra le quali si annoverano le marche Wührer, Peroni, Menabrea. Produzione e consumo, in costante ascesa, raggiungono il picco alla fine degli anni venti, con 1.569.000 hl prodotti nel 1925. A partire però dal 1927, con la famigerata Legge Marescalchi e con l’aumento della tassazione sulla birra, il consumo e quindi la produzione di birra calano rapidamente (a favore di chi produceva vino).

Per rendere omaggio a quell’epoca pionieristica, oggi ripercorriamo la storia di cinque marchi storici italiani, che si aggiungono ai dieci già incontrati nelle due precedenti puntate di questo interessantissimo viaggio.

Birra Moretti

Nel 1859 l’imprenditore Luigi Moretti fondò a Udine la sua Fabbrica di Birra e Ghiaccio, con una produzione nei primi tempi non superiore ai 2.500 hl annui, sufficiente tuttavia a soddisfare il mercato della provincia. L’ascesa dell’azienda fu costante fino ai primi anni del XX secolo, poi si arrestò a causa dei due conflitti mondiali. Nel secondo dopoguerra la crescita riprese grazie anche al famoso “Baffo”, l’anziano divenuto tuttora simbolo dei Birra Moretti: la storia vuole che a ritrarlo fu proprio il commendatore Lao Menazzi Moretti, all’epoca alla guida della società e grande appassionato di fotografia. La famiglia Moretti mantenne il controllo delle quote fino al 1989, quando decise di cederle: negli anni successivi il marchio passò di proprietà in proprietà, finché non fu rilevata da Heineken (1996). La multinazionale olandese decise di chiudere lo storico stabilimento di Udine e di spostare la produzione a San Giorgio di Nogaro, sempre in Friuli.

L’anno successivo l’Antitrust condannò Heineken per posizione dominante sul mercato italiano e la costrinse a cedere lo stabilimento di San Giorgio di Nogaro, che passò nelle mani di Birra Castello. La produzione di Birra Moretti fu distribuita in varie fabbriche italiane e precisamente quelle di Assemini, Comun Nuovo, Massafra e Pollein. Gli anni recenti sono stati quelli delle grandi sponsorizzazioni calcistiche e del lancio dei prodotti crafty (Le Regionali) secondo una scelta comune a molti altri marchi industriali.

Birrificio Angelo Poretti

La storia di uno dei più importanti marchi crafty dei nostri giorni comincia nel 1876, quando il lombardo Angelo Poretti acquistò un’area industriale nella provincia di Varese con l’intento di costruirvi il suo birrificio. La prima birra vide la luce nel 1877: era una Pils realizzata con materie prime provenienti dall’estero e con l’acqua della fontana degli ammalati, situata poco distante. La crescita fu rapida: un anno dopo Poretti aprì una sua birreria in centro a Varese e altre successivamente nel resto d’Italia. Nel luglio del 1878 fu inaugurato un deposito a Novara e 10 anni dopo Angelo Poretti fu nominato presidente del Comitato Permanente dell’associazione dei birrai italiani.

Nel 1901 il fondatore morì senza dei figli a cui lasciare l’attività, che invece passò nelle mani di suoi quattro nipoti. Fino al 1912 si susseguirono i lavori di rinnovo e ampliamento della sede produttiva e un decennio più tardi l’azienda si quotò in borsa. Ma l’ascesa subì un grave arresto a causa di vari fattori: la depressione economica del 1929, la prematura scomparsa degli eredi e il fallimentare tentativo di espandersi in Tripolitania. La chiusura fu evitata con la cessione del marchio alla famiglia Bassetti (1939), già proprietaria del birrificio Spluga. Per diversi anni il Birrificio Poretti prosperò, ma la crisi economica di inizio anni ’70 lo portò di nuovo sull’orlo del fallimento. Così nel 1982 l’azienda fu in parte venduta alla multinazionale Carlsberg (con cui erano già in atto degli accordi commerciali), che ne ottenne il totale controllo nel 2002. Da una decina di anni la birra Poretti è stata rilanciata in chiave crafty, con un apparente buon riscontro di mercato.

Birrificio Spluga

Il birrificio Spluga, citato nella storia di Poretti, fu uno dei primissimi produttori italiani e il maggiore esponente di una zona – quella dei dintorni di Sondrio – dove nella seconda parte dell’Ottocento sorsero molte aziende analoghe, come Ritter, Mattoi – Vanossi, Coray, Franz Hagen e altre. Questa abbondanza di birrifici si deve alla disponibilità di ottima acqua e alla presenza di crotti, cioè cavità naturali nelle rocce delle Alpi particolarmente adatte alla conservazione di alimenti a temperature costanti (e dunque alla maturazione della birra). Il Birrificio Spluga di Chiavenna aprì i battenti nel 1840 e non solo ottenne successo molto velocemente, ma fu anche l’unico rimasto in attività in zona all’inizio del XX secolo: gli altri furono penalizzati da scelte commerciali errate, come la corsa al ribasso dei prezzi favorita dall’adozione di materie prime di qualità inferiore.

L’ascesa del birrificio Spluga continuò inarrestabile e non subì contraccolpi neanche durante i due conflitti mondiali. A Chiavenna rimase l’attività di imbottigliamento, mentre la produzione fu spostata a Santa Croce: il trasporto della birra tra i due siti avveniva in grandi contenitori cilindrici detti “bonze”, trainati da trattori. Inoltre Spluga possedeva una propria malteria. La svolta nell’evoluzione dell’azienda avvenne agli inizi degli anni ’50, quando i proprietari di Spluga acquistarono Poretti, decidendo di investire tutto su quest’ultimo marchio. La fabbrica di Chiavenna fu chiusa nel 1957 e l’eredità del birrificio fu incarnata dai marchi Splugen Brau e Splugen Bock, commercializzati da Poretti. Nel 1999 Giandomenico Marocchi rilanciò il marchio in chiave artigianale, aprendo il suo Birrificio Spluga, che produce diverse basse fermentazioni.

Forst

La storia dell’attuale maggiore produttore indipendente d’Italia cominciò nel 1857, quando fu fondato da due imprenditori maranesi: Johann Wallnofer e Franz Tappeiner. Per i primi tempi la produzione fu molto limitata (circa 230 ettolitri annui), finché nel 1863 non fu acquistata da Josef Fuchs: da quel momento l’azienda cominciò un’ascesa importante tra i birrifici italiani. Fu costruito un vero e proprio impianto produttivo e nel 1892, alla morte di Josef, la gestione passò nelle mani del figlio Hans, che la guidò fino al 1917. All’inizio del secolo Forst aveva superato i 20.000 hl annui, vantava una solida rete commerciale e diverse innovazioni strutturali (malteria, nuova sala cotte). Da segnalare il complesso delle cantine di maturazione, costruite nella roccia e considerate un capolavoro tecnologico per l’epoca.

Nel 1917 le redini della società passarono a Fanny, moglie di Hans, che poi abdicò a favore del figlio Luis nel 1933. Luis Fuchs restò alla conduzione di Forst per ben 56 anni, guidando il birrificio verso una crescita inarrestabile: fu un periodo di grandi ampliamenti e diverse acquisizioni, ma anche di difficoltà legate alla Seconda Guerra Mondiale. Nel 1989 Luis Fuchs morì e gli subentrò la moglie Margarethe, che è tutt’oggi a capo di Forst. Una fase importante si ebbe nel 1991, quando l’azienda acquisì il marchio Menabrea di Biella, lasciandone tuttavia inalterata l’autonomia gestionale (la proprietà è ancora appannaggio della famiglia Thedy). Attualmente Forst produce circa 700.000 hl annui e la sua conduzione è in mano alla quarta generazione della dinastia Fuchs.

Birra Messina

Nel 1923 la famiglia Lo Presti – Faranda fondò a Messina il marchio Birra Trinacria, ribattezzato successivamente col nome della città. La crescita fu costante per gran parte del XX secolo, grazie all’ampliamento del mercato in tutta la Sicilia e in Calabria. I problemi subentrarono negli anni ’70 a causa della congiuntura economica e dell’inasprimento della concorrenza, così nel 1988 le quote passarono a Dreher, al tempo già sotto il controllo della multinazionale Heineken. La produzione fu lentamente spostata in altri impianti, tanto che nel 1999 la fabbrica messinese era poco più di una sede di imbottigliamento. Nel 2007, quando ormai la produzione era completamente gestita dall’impianto pugliese di Massafra, Heineken scelse di chiudere l’impianto di Messina.

Nel 2008 la fabbrica messinese fu acquistata dalla famiglia Faranda, che fece ripartire la produzione senza tuttavia poter utilizzare il marchio storico, ancora di proprietà di Heineken. L’avventura si concluse nel 2011 con la chiusura degli stabilimenti e il licenziamento di 42 lavoratori. Intanto l’anno prima l’Antitrust aveva accolto un ricorso di Confconsumatori nei confronti della multinazionale olandese, rea di utilizzare in maniera ingannevole i riferimenti alla città di Messina – essendovi ormai la produzione del tutto estranea. Nel 2015 alcuni ex dipendenti di Birra Triscele si unirono in una cooperativa che rilanciò l’impianto con il nome di Birra dello Stretto.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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4 Commenti

  1. Interessanti questi articoli storici, ma perché manca la Itala Pilsen?

    • Non sono riuscito a metterli tutti, magari in futuro integrerò citando anche l’Itala Pilsen

      • Grazie Andrea, cosa ne pensa del rilancio della Itala Pilsen da parte della Peroni dal 2016? Mi sembra che vogliano rimettere sul mercato vecchi marchi legati ai diversi territori, come anche con la Dormisch.

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