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Carcere e riscatto sociale: le birre italiane “inclusive” prodotte dai detenuti

Uno degli aspetti poco conosciuti del mondo della birra è la sua forza inclusiva. Molti la associano al momento del consumo, magari nel pub di turno, quando è possibile avvertire nitidamente il potere socializzante di questa straordinaria bevanda millenaria. In realtà limitarne gli effetti alla parte finale della filiera è assolutamente riduttivo, poiché le sue ripercussioni sono rilevabili già in sala cottura. Anzi, la produzione brassicola in quanto tale è un’attività altamente inclusiva, tanto da essere al centro di numerosi progetti senza scopo di lucro che puntano al riscatto sociale di determinate categorie di persone svantaggiate. Una fattispecie molto interessante è rappresentata dalle birre prodotte all’interno delle carceri italiane o comunque con il contributo fattivo di detenuti. Queste iniziative cercano da un lato di fornire al singolo individuo uno strumento di reintegrazione nella società (ovviamente una volta scontata la pena), dall’altra di sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema piuttosto spinoso, ma sempre sottovalutato: quello appunto del reinserimento degli ex carcerati nel mondo del lavoro.

Nonostante progetti del genere non siano certo all’ordine del giorno, in Italia ne esistono alcuni sviluppatisi proprio all’interno del mondo della birra artigianale. A ben vedere si tratta di una costante del nostro settore, poiché casi del genere si ritrovano sin dalle origini (o quasi) del movimento nazionale. Oggi quindi possiamo contare birrifici “inclusivi” storici, altri nati in tempi più recenti e altri ancora sorti proprio negli ultimi mesi.

Pausa Cafè

La cooperativa sociale Pausa Cafè nacque a metà degli anni 2000 con un obiettivo ben preciso: offrire percorsi di reinserimento sociale e lavorativo ai detenuti degli istituiti di pena italiani. La sua attività conquistò gli onori delle cronache grazie al lavoro compiuto con il caffè in Centro America, dove opera a fianco di comunità indigene storicamente escluse dai benefici del proprio impegno. Ma importantissimo è anche il coinvolgimento dei detenuti nelle funzioni dell’associazione: negli anni Pausa Cafè ha realizzato all’interno delle carceri di Torino, Saluzzo e Alessandria una torrefazione, un forno per la produzione di pane biologico a lievitazione naturale e – come potete immaginare – un birrificio.

L’apertura del birrificio risale al 2008, opera all’interno dell’istituto penitenziario di Saluzzo (CN) e per molti anni si è avvalso della collaborazione del birraio Andrea Bertola. La gamma è incentrata su stili tradizionali come dimostrano la P.I.L.S. (realizzata con luppolo Saaz in fiore e tripla decozione) e la T.I.P.A (classica English IPA), ma tantissime sono le creazioni aromatizzate con ingredienti legati all’attività della cooperativa. Ad esempio la Chicca prevede l’aggiunta di caffè guatemalteco Huehuetenango, la Taquamari ricorre a un mix di tapioca, quinoa, amaranto e riso basmati, la Dui e Mes è speziata con zafferano di Taliouine e pepe nero di Rimbàs.

Vale La Pena

È strettamente legato al carcere romano di Rebibbia il progetto di inclusione Vale La Pena, cofinanziato dal Ministero dell’Università e Ricerca e dal Ministero della Giustizia e realizzato dalla onlus Semi di Libertà. Come si può leggere sul relativo sito, l’opera di integrazione sociale non si limita solo ai detenuti di Rebibbia, ma coinvolge altri tipi di soggetti anche grazie alla collaborazione con associazioni del territorio. L’impianto è situato nei locali dell’Istituto Tecnico Agrario Emilio Sereni di Roma, i cui studenti partecipano con i detenuti alle attività formative sui temi della legalità e del consumo alcolico consapevole, oltre a venire introdotti ai valori dell’accoglienza e dell’inclusione. In aggiunta l’etichettatura delle bottiglie ed il packaging sono realizzati in team con dei ragazzi autistici.

Interessante l’impostazione con cui Vale La Pena si presentò al pubblico nel 2014: una sorta di marchio “gipsy” le cui birre erano prodotte in collaborazione con alcuni importanti birrai italiani, che dunque finivano per ricoprire anche il ruolo di formatori. Ricordiamo ad esempio il coinvolgimento di Valter Loverier (Loverbeer), Agostino Arioli (Birrificio Italiano), Luigi D’Amelio (Extraomnes) e molti altri, oltre alla collaborazione con Porto Conte Ricerche per la gluten free della casa. Le birre sono generalmente ispirate ai grandi stili classici europei e si contraddistinguono per i nomi a tema, decisamente simpatici: segnaliamo ad esempio la Gnente Grane (una Honey Beer senza glutine), la Buona Condotta (una IPA con solo 1,2% di contenuto alcolico) o la Chiave de Cioccolata (una Milk Chocolate Stout). Lo scorso anno Vale La Pena ha aperto un suo locale a Roma, definito spazio di “economia carceraria” per la presenza non solo di birra, ma anche di altri prodotti creati in carcere.

Malnatt

È stato annunciato solo qualche giorno fa il progetto milanese Malnatt, che coinvolge gli istituti penitenziari di San Vittore, Bollate e Opera e nasce dalla collaborazione con il birrificio agricolo La Morosina di Abbiategrasso. Sono una decina i detenuti provenienti dalle tre carceri che sono stati inseriti all’interno del processo produttivo, guidati dal mastro birraio Jens Berthelsen. Attualmente il marchio consta di tre birre, ognuna battezzata con il nome del carcere di riferimento: Malnatt San Vittore (5,5%) è una Belgian Blond Ale molto facile da bere; Malnatt Opera (5,5%) una Red Ale con aromi di frutti di bosco, caramello e liquirizia; Malnatt Bollate (5,2%) infine è una Weizen brassata sul tradizionale modello bavarese.

Malnatt è una birra che impiega solo materie prime locali, poiché sia l’orzo che il luppolo sono coltivati da La Morosina. I prodotti sono disponibili da un paio di settimane in alcuni locali di Milano e del resto della Lombardia, rigorosamente in bottiglie da 33 cl. I fusti cominceranno a girare non prima di settembre. Se ne volete sapere di più potete consultare il sito di questa interessante iniziativa.

Altri progetti

Dal 2016 è attivo a Canicattini Bagni, in provincia di Siracusa, il birrificio Panta Rei. Come si può leggere sulla relativa pagina Facebook, il birrificio si trova all’interno di una grotta naturale, che assicura una temperatura costante in tutte le stagioni e che favorisce la stabilità della maturazione delle birre, senza l’ausilio di celle calde o fredde. La cooperativa che gestisce il birrificio impiega al lavoro soggetti svantaggiati e, in particolare, i detenuti della Casa Circondariale di Siracusa. Le birre prodotte sono tre: Hopportunity (American Amber Ale), Experience (Witbier) e My Rei (Blond Ale).

Nel 2012 sarebbe dovuto partire nel carcere di Cerignola, in provincia di Foggia, il progetto Campus Felix: la creazione di un microbirrificio all’interno dell’istituto penitenziario per la reintroduzione dei detenuti all’interno della società. Campus Felix avrebbe promosso anche corsi sulla filiera agricola, realizzazione di prodotti biologici e forme di imprenditoria sociale. Da allora però non si sono avute più notizie e l’impressione è che quella lodevole idea sia rimasta un progetto solo sulla carta.

All’incirca nello stesso periodo fu presentata l’iniziativa Birra della legalità per la costruzione di un birrificio nel carcere di alta sicurezza di Carinola, in provincia di Caserta. Il progetto prevedeva di realizzare l’intero ciclo produttivo all’interno del carcere, grazie alla coltivazione biologica delle materie prime sui circa 35 mila metri quadrati di terreni adiacenti all’istituto penitenziario. Anche in questo caso non credo che l’idea abbia ancora trovato concretizzazione, nonostante prevedesse il supporto del già citato Andrea Bertola. Vale la pena però citare gli obiettivi del progetto, perché sono comuni alle fattispecie presentate in precedenza:

Lo scopo è non solo ridurre le distanze tra la popolazione carceraria e la società civile favorendo il recupero sociale dei detenuti, ma soprattutto creare un’impresa che sia eco-sostenibile e costituisca per questo un antidoto all’impresa criminale. Un progetto che punta ad ampliare le già consolidate esperienze di recupero e assistenza dei soggetti svantaggiati condotte sui beni confiscati, coinvolgendo i detenuti e offrendo loro reali opportunità di riscatto sociale volti alla costruzione di percorsi di recupero non solo materiali, ma anche e soprattutto delle coscienze di quei tanti protagonisti di una criminalità organizzata che nel passato hanno devastato questo territorio.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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Un commento

  1. Pausa Cafè è una cooperativa sociale come tutte le realtà che si adoperano per l’inclusione sociale dei detenuti. Dal 2016 il mastro birraio, referente di progetto, è Emiliano Andreatta. Chiedo scusa se mi sono permessa queste precisazioni, ma proprio ieri ho discusso la mia tesi da tecnico gastronomo su di loro.

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