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Una visita al birrificio Turbacci

turbacciQualche giorno fa ero in giro dalle parti di Mentana – comune distante una ventina di chilometri da Roma – e ne ho approfittato per fare un salto al birrificio Turbacci. Non so se ne siete a conoscenza, ma il produttore in questione è attivo da ben 15 anni, tanto che è stato uno dei primi ad aprire nel centro-sud Italia. Un periodo in cui la birra artigianale, soprattutto a simili latitudini, era ancora in una fase primordiale. Nonostante tutto, avevo visitato Turbacci solo un paio di volte e l’ultima risaliva a qualche anno fa. Così quando mi sono trovato nei dintorni, mi è balenata l’idea di tornare a vedere come procedevano le cose…

Sebbene sia presente sul mercato da tempo immemore, bisogna ammettere che Turbacci non è un nome molto conosciuto nell’ambiente nazionale, o almeno non quanto la sua anzianità suggerirebbe. Anche per questa ragione non sono mai stato un frequentatore assiduo, ma su questo punto tornerò successivamente.  Quando sono arrivato era ora di pranzo e speravo anche di mettere qualcosa sotto i denti, salvo scoprire che il locale è aperto solo la sera. Tuttavia quando mi sono avvicinato, sono stato accolto da Giovanni e Stefano, che gentilmente hanno interrotto ciò che stavano facendo per intraprendere una piacevole chiacchierata con il sottoscritto.

Mi hanno così proposto di assaggiare la Quinn, che in ordine di tempo è una delle loro ultime creazioni. Si tratta di una bassa fermentazione in stile Pils, che mi ha subito rinvigorito dopo le ore passate in macchina sotto un sole cocente. E’ una birra molto piacevole e beverina, ben equilibrata, sebbene mi aspettassi un tocco amaro più deciso nel finale. E qui i due mi hanno spiegato che hanno plasmato la Quinn – come le altre produzioni della casa – sui propri gusti: non amando particolarmente l’amaro, hanno preferito puntare su una luppolatura alquanto contenuta.

Ho avuto anche occasione di assaggiare la Black, recentemente vincitrice della medaglia d’argento all’International Beer Challenge. E’ una scura in stile Porter, con un naso caratterizzato dai malti tostati e un corpo leggero, ma non banale. Il finale è lungo, con un amaro appena accennato, giusto per confermare quanto sopra. L’ho provata successivamente in bottiglia e mi è sembrata meno interessante, più anonima. Alla spina invece è davvero un’ottima birra.

Sempre in bottiglia – a proposito, il packaging è davvero ben fatto – ho provato altre produzioni firmate Turbacci. L’Eroica è stata creata in occasione del centenario del museo garibaldino di Mentana. Credo che la ricorrenza abbia legami solo col nome della birra, poiché l’ispirazione arriva dall’Inghilterra: a detta del produttore è una Bitter, ben realizzata e con un profilo aromatico molto intrigante, nonostante anche in questo caso l’amaro nel finale sia decisamente “timido”.

Controversa mi è sembrata la Weiss. Al naso mi ha assolutamente rapito, ricordandomi le migliori incarnazioni tedesche dello stile. In bocca invece mi ha deluso: tutto ciò che i profumi preannunciavano non si è palesato al palato, eccezion fatta per il classico chiodo di garofano, che mi è apparso troppo solo e predominante. Ho assaggiato anche la Strong Ale, birra fruttata e alcolica, piacevole e senza difetti.

Con Giovanni e Stefano abbiamo chiacchierato del più e del meno, ma sempre parlando di birra. Ho così saputo che hanno aperto un nuovo locale a Tivoli Terme (20 km da Roma), dove non c’è produzione, ma solo somministrazione; che la burocrazia italiana è in grado di raggiungere vette di humour (humour nero, direi) assolutamente inimmaginabili; che i tanti avventori dopo 15 anni continuano a premiare la formula del brewpub di Mentana, rimasta invariata fino ad oggi. In generale scambiare qualche battuta con chi rientra nella ridotta schiera dei pionieri del settore italiano è sempre un’esperienza molto formativa.

E così dopo tanto tempo ho aggiornato le mie considerazioni su Turbacci. E’ una meta che sicuramente merita una sosta, tanto che – riprendendo l’argomento di apertura – probabilmente gode di una fama sottodimensionata rispetto alle qualità che possiede: una carriera che pochi altri birrifici italiani possono vantare e una gamma di birre ben realizzate, ancorché poco caratterizzate. E ripensando a tanti altri birrifici che ho conosciuto con le stesse caratteristiche, mi sono convinto che per emergere dalla “massa” bisogna essere capaci di differenziarsi. Che forse significa osare un minimo, anticipare e cogliere i gusti dei consumatori e farsi conoscere per questi elementi.

Se pensiamo ai birrifici che vanno per la maggiore in Italia (almeno nelle considerazioni di noi appassionati) ci accorgiamo che nella loro gamma sono presenti birre di carattere, che magari al tempo hanno rappresentato una totale rottura con le abitudini brassicole dominanti. Attenzione, non sto parlando di chi “urla” ogni sua nuova creazione, magari caricandola di effetti speciali come ingredienti assurdi o marketing spinto (fortunatamente è una pratica poco diffusa in Italia), ma di chi riesce ad allontanarsi dalla banalità in modo intelligente, con prodotti coraggiosi e ben progettati.

Così ho immaginato quanta fama avrebbe potuto portare a Turbacci una Quinn o un’Eroica un po’ più caratterizzata, fermo restando che le ricette attuali sono comunque ottime. Non sto evidentemente parlando di qualità del prodotto finale, ma di “vendibilità” dello stesso e di capacità di affermarsi nelle opinioni degli appassionati. Ovviamente non è l’unica via per diventare un produttore conosciuto, bisogna anche sapersi vendere e far parte dell’ambiente, cioè viverlo di persona. Ma senza una gamma di birre di carattere, credo che tutto il resto sia superfluo. Che ne dite?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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10 Commenti

  1. io ci sono stato una volta lo scorso anno. C’era una festa a mentana con uno stand di turbacci. Abbiamo assaggiato qualche birra e poi abbiamo chiesto dov’era precisamente la posizione del birrificio. Ci siamo messi in moto e diretti verso il locale.

    Devo dire che è molto grande sia all’esterno che all’interno ed è ottimo per fuggire dall’afa della capitale.

    Le birre le abbiamo provate quasi tutte e non erano per nulla male. Mi sono anche portato a casa una bottiglia di Eroica.

    Più volte mi sono riproposto di fare un salto ma da dove sto io è una bella passeggiata. Spero di riuscire presto a farci un salto

  2. Secondo me emergere per la capacità di “differenziarsi”, fare “birre di carattere” o “prodotti coraggiosi” (io lo chiamo “cercare di fare i fighi a tutti i costi”) vale maggiormente in Italia e non negli altri paesi.
    Escludendo un caso limite come Brewdog, a me pare che negli altri paesi emerga semplicemente chi sia capace di realizzare buone birre e soprattutto *negli stili classici*. Non mi pare che i birrifici più in voga sul mercato negli ultimi anni debbano la loro affermazione a birre all’estratto di palle di pecora o che prevedono l’infusione di radici che crescono sul Monte Bianco solo a duemila metri.
    Di sicuro non è mia intenzione negare che il marketing reciti la sua parte (Mikkeller fa diecimila versioni della Beer Geek Breakfast, ma, prima di tutto, esiste LA Beer Geek Breakfast versione base, che è semplicemente ottima). Tuttavia, per me in Italia domina un certo stravolgimento del concetto di successo a scapito di un altro concetto chiamato qualità…

    Non mi pronuncio su Turbacci in particolare, di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza prima di leggere l’articolo. Magari, se non ha sfondato in quindici anni, le sue birre non sono niente di che; o forse sono ottime, chi lo sa. Dovrei assaggiarle per dare un giudizio (strettamente personale, ovvio).
    Resta il fatto che molto spesso, da noi, vengono strombazzate birre concepite con le più assurde velleità, quando poi un’onesta lager/weizen/dubbel/blonde/eccetera priva di fregni e cazzi sarebbe maggiormente apprezzata. Ma forse la “ricerca” e la “sperimentazione”, come la chiamano loro, è il trucco da prestigiatore, la *svolta*, per dirla con Christopher Nolan, buona per nascondere la mediocrità che in uno stile classico non troverebbe la minima scusa. Ma forse sono malizioso io… 😛

  3. @Patrick
    Però quando mi riferivo a birre coraggiose e di carattere, non intendevo certo le produzioni che hai citato. Penso alla Tipopils, alla Re Ale, alla ArtigianALE, che non sono certo diventate famose per essere strane sperimentazioni, quanto piuttosto per aver rappresentato qualcosa di veramente nuovo nel panorama del tempo.

    Le birre di Turbacci sono ben fatte, cioè non presentano difetti e hanno un loro senso. Però gli manca quel “quid” (anche se, come ho detto, a mio parere a un paio di loro basterebbe davvero poco) per ottenere il successo tra gli appassionati. E di conseguenza per far conoscere il birrificio nell’ambiente. D’altra parte non ti sembra assurdo che prima di questo articolo tu neanche fossi a conoscenza che a pochi chilometri da te c’era uno dei pionieri del movimento italiano?

  4. Be’, Andrea, non so: la Tipopils e la ReAle non mi sembrano (per quanto buone!) esempi di cotanta innovazione e novità applicati al panorama birraio. La stessa descrizione della ReAle, sul sito del Borgo, parla di una birra ispirata alle IPA del ‘700 e personalizzata con luppoli americani: dov’è l’originalità? ^^
    Penso che non si discostino poi tanto da una linea classica; e non è affatto una critica, anzi. Probabilmente, proprio per tale motivo, il Birrificio Italiano e il Borgo non hanno la necessità di puntare sullo stupire a tutti i costi con chissà quale bizzarria o stranezza.

    Su Turbacci e il quid mancante: secondo me il discorso è un po’ più complicato della singola variabile legata al sapersi differenziare o all’avere coraggio. C’è la distribuzione (com’è che non le ho mai viste in nessun beer-shop di Roma?), la qualità (a te sono sembrate buone e ben fatte, è stato così per chiunque le abbia assaggiate?), il passaparola (a quanta gente capita di passare per Mentana e di farsi venire in mente una visita al birrificio locale?), e così via. Chissà, magari loro stessi non si sono mai preoccupati di scalare le vette e di “sapersi vendere”… comunque è già positivo che tu ne abbia parlato, qualcuno sarà senz’altro invogliato a farci una scappata.

  5. @Patrick
    “La stessa descrizione della ReAle, sul sito del Borgo, parla di una birra ispirata alle IPA del ‘700 e personalizzata con luppoli americani: dov’è l’originalità? ^^”

    L’originalità è nell’essere stata la prima birra del genere in Italia. Non vorrei sbagliarmi, ma credo sia stata la prima birra italiana ad usare Cascade (e a farlo in modo fenomenale). Così come la Tipopils probabilmente è stata la prima Pils italiana di carattere, diversa dalle tante semplici “pils” di ispirazione tedesca o ceca. Per me sono queste le vere innovazioni, per te invece quali sono?

    Su Turbacci. Se non hai mai visto le loro bottiglie in giro è perché fino a qualche mese fa hanno avuto dei problemi con la solita assurda burocrazia, che ha impedito loro di vendere fuori dal brewpub. Ora le cose probabilmente cambieranno, almeno in parte. Quello della distribuzione è un freno, è vero, ma è anche vero che in altre situazioni c’è chi si fa decine di km solo per bere la birra di un determinato produttore.

  6. Non capisco. Altro che quid! Le birre di Turbacci io le ho provate tutte e le ho trovate pessime. Sembrano birre da estratto luppolato (e neanche tanto). Non hanno sapore e non fanno schiuma. Lasciano la bocca dolciatra e appiccicosa. Ma de gustibus…

  7. @Presidente:
    Curioso leggerti proprio a casa di colui forse la prima birra del genere l’ha portata a conoscenza degli appassionati romani, la mistica Pioneer di Mike Murphy (che ti saluta!)…E a tal proposito ho assaggiato la prima birra da lui creata per il birrificio norvegese per cui lavora: una pale ale ovviamente americanamente luppolata di 4,7 gradi eccezionale nella sua semplice beverinita’, ne sto abusando…Senza considerare che sulla mensola c’e’ la citata (da Bateman) Beer Geek Breakfast del 2006, “LA”…E’ bello assaggiarla da chi si e’ sporcato realmente le mani per farla! Ottima!!!
    Per il resto ti quoto in pieno!!!

  8. Grande Colonna, porta a Mike i miei saluti!
    Parlando di birre di carattere, la Pioneer ne aveva da vendere. Nome azzeccatissimo, tra l’altro 🙂

  9. Miiiii la pioneer…me la sogno la notte!

    La reale e la Tipo Pils si sono affermate in quanto ottimi prodotti ottimamente presentati ad un pubblico pronto ad accoglierli.

    Sul birrificio Turbacci: ma c’è ancora la birra “estrema” ?

  10. @Demis
    Quale sarebbe?

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